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Mario Quaglia Mar 2016
I SALOTTI ED IL MITO DEL ROMANTICISMO

Storie di pestifere esibizioni da salotto e sfide estreme tra l'impeto e le tempeste.

Dal punto di vista intellettuale l'800 è tutto un fiorire di movimenti che, in reazione all'idea newtoniana di una natura meccanica e deterministica, contrappongono e riscoprono i valori imprevedibili, imperscrutabili e violenti della natura creativa.
Così i pittori iniziano a disegnare paesaggi con tempeste e fulmini, i letterati scrivono del genio sregolato e creativo (e quindi figlio della natura), mentre i poeti inneggiano al sentimento forte e turgido come espressione immediata dello spirito e quindi anch'esso affine alla natura.
Questo movimento inizialmente prende il nome di “Sturm und Drang” (tempesta ed impeto) mediando il nome da una opera del 1776 di F. M. Klinger, originariamente intitolata Wirrwarr (confusione, caos), e ribattezzata spregiativamente Sturm und Drang da un suo amico detrattore (che poi tanto amico non era). Il movimento, sorto a fine 700, nell’800 si evolse nel Romanticismo.
Ciò che interessa a noi è che da quel momento ogni buon intellettuale europeo, travolto dalla nuova moda, abbandona la sua scrivania e parte alla ricerca dell'avventura, del viaggio per mare, della montagna da scalare, della tempesta perfetta da affrontare e da poter raccontare, al suo ritorno, da uomo nuovo e rinnovato: Da vero uomo vissuto.
La ricerca di avventure spinse il poeta romantico Byron lontano a combattere guerre non sue, il poeta Shelley trovò la morte nel naufragio della barca con cui solcava il mare in tempesta fra Pisa e Lerici, il poeta “maledetto“ Baudelaire finì per distruggersi in una vita dissoluta segnata da droghe, Rimbaud viaggiò tra mille pene per tutta la vita, riuscendo anche a farsi sparare da Verlaine, altro poeta maledetto, con cui aveva una relazione omosessuale. La leggenda dice che ad un certo punto addirittura commerciò in schiavi in Africa.
Cosi era inevitabile che cominciassero ad apparire nei salotti, reduci dai loro viaggi iniziatici, i primi ragazzotti con la loro brava pelle arsa dal sole dei tropici ed i segni delle avventure trascorse.

I salotti non erano ritrovi o locali commerciali ove attirare la gente a fine di lucro, erano proprio il salotto privato di alcuni nobili o di borghesi conosciuti nei quali, saltuariamente o intervalli regolari, con la scusa di promuovere artisti e musicisti venivano invitati amici, conoscenti o personaggi di riguardo destinati (questi ultimi) a dare rilevanza e lustro alla serata ed al Palazzo.
Prendevano di solito il nome della padrona di casa, come “I Venerdì di Madame Currò”, “il salotto delle Marchesa de Boulogne” ecc., ed il loro scopo era soprattutto quello di creare un po' di relazione, scambiarsi giudizi letterari, qualche libro e soprattutto pettegolezzi su tutte coloro che non erano presenti.
E poi c'era lo scopo segreto. Infatti, ancor prima che questi salotti cominciassero a affermarsi per la propria valenza riconosciuta (anche Sigmund Freud a Vienna ne aveva uno), lo scopo primitivo per il quale erano stati istituiti era l'esigenza di creare un spazio protetto ove i giovani rampolli figli delle amiche, potessero conoscere e frequentare le giovani rampolle della casa.
La scusa, di volta in volta diversa, era rappresentata dal poeta di turno che leggeva le sue poesie, dalla cugina Matilde che cinguettava qualcosa al clavicembalo, dalla nota o quasi-nota arpista che avrebbe “arpeggiato qualcos’altro”, e chi più ne ha più ne metta. Ma nessuna di queste cose era la ragione principale per partecipare a queste serate. Al massimo le possiamo considerare il pretesto - se non il prezzo da pagare - per essere presenti.
Bisogna infatti ricordare che a quei tempi non c'erano campi di calcio, cinematografi, centri commerciali, pub e discoteche, ed i giovani maschi non avevano molte occasioni per combinare qualcosa fuori di casa, mentre quando si era entro le mura domestiche oltre a leggere un buon libro (per altro raro e costosissimo) c’era ben poco altro da fare. Certo, in città c'era il teatro, la chiesa, la passeggiata nel parco, le avventure con qualche cameriera, ma finito questo non rimaneva altro che lasciarsi irretire da certi sordidi locali simili ai saloon dei film western, i nonni dei café-chantant, ove si poteva bere, giocare d'azzardo, guardare un balletto di ragazze discinte e farsi mungere quel poco o tanto denaro che fosse stato loro messo a disposizione dalla famiglia (la bisnonna della paghetta).
E per le ragazze bene non esisteva neanche questa opportunità. Quindi frequentare un salotto rappresentava, soprattutto d'inverno, ciò che di meglio si potesse fare, e per alcuni anche l'unica occasione per potere avvicinare e conoscere i misteriosi “animali” dell'altro sesso.
Il prezzo da pagare, come già detto, era la pestifera esibizione dell'ospite speciale di turno. D’altra parte, il pretesto della serata era ben quello.
Facendo “buon viso a cattiva sorte”, l'esibizione veniva quindi stoicamente ascoltata da tutti, senza che nessuno si lamentasse o cadesse addormentato; fatto salvo lo svenimento di qualche ragazza pallida che subito, però, veniva imputato alla salute cagionevole (allora era di moda essere un po' tisici e malaticci) o al solito bustino troppo stretto.
Insomma, una noia mortale in cui la speranza era quella di cogliere un'occhiata traversa, conquistare un sorriso ricambiato, prodigarsi in cenni ed ammiccamenti come in chiesa, ed a volte persino riuscire ad esibirsi in qualche audace scambio di opinioni, sulle quali costruire una settimana di sogni e di progetti.
E poi arrivederci alla prossima settimana.

Così quando nel Salotto di Madame Chissàchi apparve per la prima volta un ragazzotto con la pelle arsa dal sole dei tropici ed i segni della sua inconsueta avventura, l'ambiente cupo e vittoriano, solitamente annoiato e sonnacchioso, ne fu profondamente (ed irreversibilmente) scosso.
Di fronte ai racconti delle trascorse avventure, come per magia i ventagli delle giovinette, che generalmente si muovevano con pigrizia e noia, ripresero a fremere per l'eccitazione e l'interesse. E le tazze di tè delle zie cominciarono ad essere torturate dai cucchiaini che ne rimescolavano il contenuto con rinnovata lena.
Sicché l'ambiente dei salotti divenne tutto un frusciar di ventagli ed un tintinnio di cucchiaini, anzi la frenesia stessa con cui i ventagli venivano scossi e l'entità del tintinnare dei cucchiaini ben presto vennero a misurare l'indice del successo dell'ospite invitato.
Ovviamente, tra le benemerite organizzatrici dei salotti più rinomati iniziò una gara ad accaparrarsi le testimonianze di vita vissuta più rudi e significative. Il problema è che di baldi giovani intellettuali dalla genuina vita avventurosa non è che ce ne fossero poi così tanti in circolazione ed allora, esauriti rapidamente i poeti romantici ed i letterati tormentati, cominciarono a venir esibiti anche i personaggi più disparati: semplici mutilati di guerra, generici reduci di duelli, modesti ex marinai in pensione, insomma chiunque fosse portatore di qualsiasi segno che potesse essere riconducibile a viaggi, avventure ed in genere a quegli ambienti estremi che “temprano la vita” e tanto solleticano le fantasie delle pruriginose verginelle - più o meno tardive - dei salotti per bene.

Il fenomeno non passò inosservato e portò certamente un gran scompiglio tra quei giovani rampolli d’ordinaria banalità che da sempre frequentavano gli stessi salotti. Sicché questi, inizialmente impotenti verso l'esproprio d’attenzione subito con il diffondersi della nuova moda, si ritrovarono a dovere reinventarsi nella forma di un personaggio in grado di competere con questi nuovi eroi. I più intraprendenti reagirono imbarcandosi anche loro in qualche importante viaggio od avventura alla ricerca del sex appeal perduto, ma i più, per pigrizia o semplicemente perché non potevano permetterselo, si riversarono nelle periferie maleodoranti, nelle osterie malfamate, nei postriboli o negli angiporti violenti alla ricerca di esperienze forti e magari qualche rissa in grado di produrre le agognate stigmate che si sarebbero potute esibire e spendere nei salotti per bene: i segni evidenti di una vita vissuta.
Come sempre però dopo la prima ondata di genuine pelli arse, cicatrici e segni vari originati da vere avventure, cominciarono ad apparire i primi “taroccamenti”.
Fu presto chiaro che nei salotti non contava tanto avere veramente corso i rischi del viaggio e dell'avventura della quale si riportavano i “segni”. Quello che contava era solo poter mostrare un segno qualsiasi in grado di evocare l’esistenza di questi benedetti – anzi, maledetti - rischi scampati.
Così alcuni amici solidali cominciarono a consorziarsi e a riunirsi, tra le sicure ed asettiche pareti domestiche, per procurarsi l'un l'altro i segni di avventure o risse alle quali nessuno di essi aveva mai partecipato.
Le cronache dell'epoca raccontano come nei collegi militari della Prussia fosse scoppiata una vera e propria epidemia di sfregi in faccia, alludenti a fantomatici duelli mai avvenuti, che i cadetti in realtà erano usi infliggersi l'un l'altro nei bagni dei collegi.
Insomma, frequentare i salotti per i più miti e/o pigri diventava di giorno in giorno sempre più arduo ed il tutto, in definitiva, al solo scopo di strappare alle giovinette un misero e benevole sorrisetto: perché, si sa, a quei tempi nel bel mondo era difficile sperare in qualcosa di più.

Bisognava inventarsi qualcosa!
Era assolutamente necessario trovare un modo per bypassare la necessità sociale di questo iter cruento e restituire le schermaglie d'amore al loro contesto tradizionale: la conversazione e la simpatia.
Naturalmente non si sa quanto tempo dovette passare, ignoriamo come accadde e chissà chi se ne accorse per primo. Ma alla fine il miracolo si compì.
Successe che osservando la relazione tra i racconti dei reduci dalla vita vissuta ed il fermento dei ventagli, qualcuno notò che il fermento aumentava quando nel racconto veniva utilizzata una espressione colorita. Quando cioè nella foga del racconto il relatore - inconsciamente o per meglio evocare l'ambiente estremo della descrizione - utilizzava parole che fuori da quel contesto sarebbero state giudicate assolutamente sconvenienti. Per esempio qualche cruda espressione udita nei bassifondi o in un bordello.
Quello che faceva fremere i ventagli e tintinnare le tazzine da tè, non erano più tanto la pelle riarsa o le cicatrici, che ormai in troppi avevano, e la cui eccessiva ostentazione aveva provocato tolleranza, ma erano proprio quei termini arditi, coloriti e sconvenienti che il relatore aveva imparato nei luoghi dei suoi racconti, e che nel suo narrare venivano “involontariamente” usati per meglio evocarne lo spirito e l'asprezza.
Per la vasta massa dei mediocri, degli imboscati, dei “vorrei (una vita spericolata) ma non posso”, dei taroccatori da salotto, dei mitomani da quattro soldi, il compito divenne immediatamente più facile e meno cruento. Non era più necessario procurarsi cicatrici per farsi notare, ormai era sufficiente imparare il linguaggio giusto ed imitando questo modo di parlare era possibile anche ai meno dotati di assumere l’ambito ruolo di personaggio maledetto.

Ci piace immaginare questi “sfigati” rannicchiati in un angolo dei salotti mentre, una volta scoperto il trucco, se ne stanno nascosti ad annotare e memorizzare tutti i termini “arditi” che capitava loro di sentire, per poi giocarseli consapevolmente alla prima occasione come se fossero il residuo delle proprie mai accadute avventure. Ma assai più probabilmente, il fenomeno avvenne senza tante riflessioni ed elucubrazioni, propagandosi nel modo completamente irriflessivo in cui si diffondono tutte le mode.
La natura umana è fatta così, le persone mediocri tendono istintivamente ad imitare quei segni ed quei comportamenti che, ai loro occhi, rendono così speciali i cosiddetti individui "alfa" del gruppo, quei personaggi di riferimento che proprio perché dominanti finiscono per "fare tendenza".
A tutti è sicuramente capitato di sperimentare la irresistibile forza di una moda e l'irrazionale compulsione ad adottare comportamenti od oggetti giudicati in quel momento portatori di un forte significato simbolico. Sia che si tratti di comperare un iphone, un abito di marca, un’automobile “figa” oppure indossare pantaloni lacerati ad arte e col cavallo così basso che lasciano intravedere le mutande, poco importa: il meccanismo è sempre lo stesso.
Ed è proprio quello che con tutta probabilità avvenne nel periodo che ora stiamo esaminando, quando la necessità di ostentare una “vita vissuta” divenne così di moda da prescindere dal fatto di averla vissuta davvero.

Il Romanticismo è stato un movimento intellettuale vasto, complesso e profondo, ma le vette della sua complessità non erano per tutti. In cima alla piramide si muovevano i Goethe, i Byron, i Baudelaire, ma i livelli più bassi erano popolati da gente assai più banale, priva di grande immaginazione, per i quali l’idea di una vita pericolosa e trasgressiva non andava oltre all’escursione in un qualche bordello di periferia alla ricerca di un’esperienza di vita con una “donna perduta”.
Ma nei salotti borghesi di serie b, quelli dei paesini, anche questi personaggi erano probabilmente degni di essere esibiti e ai pigri mitomani di questi salotti non rimaneva che imparare da costoro l’efficacia di tutte quelle espressioni forti, inusuali e vivaci di cui trasudavano i loro invidiati racconti. Evidentemente copiare il gergo di costoro era di gran lunga l’espediente più semplice e nel contempo più “economico” per ottenere, con il minimo sforzo, la tanto agognata emancipazione sociale, e pazienza se di tutti gli aspetti più affascinanti del Romanticismo in ciò non rimaneva più traccia.

Estratto dal pamplet "La lingua è la spada" di Mario Quaglia (2004)

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