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GeaBlog: Riflessioni e Pensieri in libertà |
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Giandomenico Montinari
Ago 2011
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Le peripezie antropologiche della Sessualità
A LETTO CON L' EVOLUZIONE
L'uomo e la donna non sono né "simili", né complementari; anzi a rigore non sembra neanche che siano stati fatti "l'uno per l'altra"
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"A letto con l'Evoluzione" è il titolo del mio ultimo libro, dedicato alla Sessualità. E' un titolo criptico? o forse bizzarro? o dissacrante? Non saprei dire. Mi è venuto in mente così, quando il manoscritto era ancora a metà e nessuno sapeva da che parte sarebbe andato a parare…
Ma poi si è rivelato un titolo terribilmente pertinente.
Perché lo sforzo di comprensione della Sessualità, una volta iniziato, si traduce ben presto in un'operazione molto complicata, che ci costringe a entrare in rotta di collisione con buona parte di quei capisaldi e di quei luoghi comuni insostenibili, che tutti prendiamo per buoni, con disarmante quanto sospetta ingenuità, forse perché rappresentano l'unico modo di gestire nel quotidiano una materia, a rigore, ingestibile.
Se invece qualcuno comincia ad andare per il sottile, se vuole cioè veramente cercare di capire come stanno le cose, la fragile incastellatura, mantenuta in piedi dal consenso di tutti, come nella favola del re nudo, salta.
Uomo e donna non sono né "simili", né, tanto meno, complementari: non sono, insomma, a rigore, "fatti l'uno per l'altra". Sono, da sempre, realtà molto lontane tra di loro, la cui convivenza è sempre stata ed è tuttora quanto meno problematica. Si tratta di una distanza, che risale agli albori della Vita e che, proprio per la sua incolmabilità (abbinata all'incoercibile necessità di colmarla), ha costituito con molta probabilità la principale molla dell'Evoluzione, sia di quella biologica sia di quella culturale. Tanto che non è più ben chiaro se sia la Sessualità una funzione umana o (ipotesi più probabile) l'Umanità una funzione sessuale!
Dalla risposta che diamo a questa domanda discendono conseguenze molto importanti per la nostra esistenza individuale e collettiva, da sempre basata su premesse, che in quest'ottica appaiono, come minimo, vacillanti e opinabili…
Per capire cosa è successo in realtà, non ci basta una riflessione basata sul buon senso tradizionale (impregnato, al riguardo, di luoghi comuni), né, tanto meno, un approccio su basi "scientifiche", largamente inadeguato, per la frammentazione e la settorialità delle conoscenze, a svelare una problematica intricata e complessa, che sembra fatta apposta per dare corpo a quel che diceva Eraclito: "la Natura ama nascondersi". Tanto più che la sua strategia di occultamento è resa vincente proprio dalle nostre categorie mentali, dal nostro atteggiamento conoscitivo saccente e fintamente critico, non dissimile da quello del manzoniano Don Ferrante, l'erudito personaggio convinto che la peste, dato che non era né aria, né acqua, né terra, né fuoco, non esisteva… destinato, naturalmente, a morire di peste.
Qual è la "logica" in base alla quale la nostra sessualità si è costruita?
Qual è il significato che si può assegnare al "fenomeno" sesso, partendo dalla Psicosociologia e muovendosi attraverso l'Antropologia Culturale, l'Archeologia e la Storia, l'Etologia, la Paletnologia, fino alla Paleobiologia… E' possibile individuare una "coerenza", qualcosa che si avvicini a una linea unitaria?
Il fatto è che una linea, un fil rouge, che colleghi "logicamente" i fatti, non c'è.
O, meglio, c'è, ma non ha quelle caratteristiche che noi consideriamo pertinenti alla "logica"!
In fondo tutti diamo per scontati certi schemi e certi dogmi del primo Evoluzionismo e siamo convinti che la sessualità sia un meccanismo di adattamento escogitato da alcuni nostri lontanissimi progenitori per avere un vantaggio di tipo adattativo/selettivo, legato al rimescolamento dei geni e quindi a una più ampia possibilità di sopravvivere a situazioni ambientali critiche.
Ciò non è affatto scontato. Anzi la mia riflessione arriva a una conclusione esattamente opposta: che la polarizzazione maschio-femmina sia stata, più che un fattore di vantaggio, il pedaggio pagato a un problema preesistente, che non si poteva eliminare, ma con il quale bisognava fare i conti in qualche modo…
L'aspetto, diciamo così, "positivo" della vicenda è che la necessità di far fronte a richieste così contrastanti mise in moto un forte incremento della complessità, biologica prima e psicologico-culturale poi, di cui l'Uomo e la Donna attuali sono, per il momento, il prodotto ultimo (v. nota 1).
Qual è questo problema insuperabile e insuperato?
Siamo nel campo delle ipotesi, naturalmente, con ampi sconfinamenti nella filosofia, se non addirittura nel pensiero mitico. Ma i miti ci vogliono, perché sono il motore della Conoscenza, un ausilio nel contestualizzare e complessificare i dati sperimentali, nell'attribuire significati, nel personalizzare il processo conoscitivo.
Contrapposizione inconciliabile
La mia idea è che alla base di tutto, agli albori della Vitalizzazione, si sia creata una contrapposizione inconciliabile tra due modi diversi di concepire la futura organizzazione dell'essere vivente.
Il "gioco" della Vita consiste nel tenere assieme il "dentro" e il "fuori" di un individuo (che si tratti di una proteina, di una cellula, oppure di un protozoo o di un organismo complesso…), cioè salvaguardare la propria identità specifica e irripetibile, pur adattandosi all'ambiente, integrando parti estranee a sé e, ovviamente, viceversa. Cioè adattarsi e crescere, pur restando sempre sostanzialmente se stesso. Ogni essere vivente ha il compito di gestire al meglio e conciliare due istanze, cioè due forze divergenti che operano in senso opposto e che, in una specie di tiro alla fune, tenderebbero a spostare il punto di equilibrio all'interno o all'esterno dell'individuo.
Un essere vivente forte è quello che riesce a mantenere un equilibrio, un'equidistanza, anzi a creare strumenti originali e più efficaci per governare tale tensione.
Delle infinite forme escogitate dalla Vita in miliardi di anni per far fronte a questo compito, la maggior parte, probabilmente, sono state abbandonate perché inadeguate, mentre alcune hanno avuto più successo: quelle che la svolgevano meglio, di cui sappiamo poco, perché, proprio in virtù del loro buon funzionamento, erano e sono inappariscenti e difficili da evidenziare, e quelle che la svolgevano peggio, cioè quelle forme, che poi sarebbero divenute sessuate, incapaci di non privilegiare unilateralmente o il dentro o il fuori dell'essere vivente, a scapito dell'altra dimensione.
Si erano cioè formati, a partire da premesse "aberranti" e polarizzate, due modi di intendere la vita: uno centrato sul "dentro", cioè sul mantenimento prioritario (e trabordante) della continuità interna dell'individuo, e uno centrato sull'ambiente, che privilegiava le esigenze adattative, come cambiare, muoversi, interagire con gli altri organismi.
Il primo modo si tradusse in cellule poco mobili, meno numerose, spropositatamente grandi, forse per una ridotta capacità di definire i propri limiti rispetto all'ambiente. Il secondo modo diede origine a cellule piccole, numerose, mobili, aggressive, necessitate a esplorare, a penetrare, forse per una minore autosufficienza.
Erano evidentemente, ambedue, forme sbilanciate e anomale, sempre sul filo dell'estinzione. Per motivi e con modalità misteriose, si accorsero a un certo punto che, associandosi, potevano dar vita a organismi in grado di sopravvivere e magari anche di prevalere sulle altre forme. Oppure - chissà? - furono "costrette" a mettersi d'accordo perché la loro disuguaglianza disturbava gli equilibri generali della Natura.
Infatti, se è vero che, come dicevano i latini, "Natura non fecit saltus" ("la Natura non ha mai fatto salti"), tale discrepanza doveva essere mal tollerata dalla Natura stessa, era anzi qualcosa che essa voleva superare a tutti i costi, ma che non riusciva a eliminare, a causa della resistenza ostinata di tali organismi polarizzati, "orgogliosi" delle proprie scelte precedenti e irrigiditi nel voler mantenere certi paradigmi.
Sta di fatto che si arrivò a una specie di compromesso un po' "sporco": i due modelli si associarono, sì, per sopravvivere e collaborarono, ma senza integrarsi veramente, anzi lo fecero in modo tale che la dicotomia e la duplicità dei modelli rimasero e si consolidarono, impedendo una vera sintesi e rendendo anzi necessaria la creazione di forme sempre più complesse per essere elaborate adeguatamente.
E' così che si formarono i due sessi, che resero permanente la frattura originaria e la fecero diventare la principale e più determinante spinta evolutiva della Vita (v. nota 2 ).
Tale discrepanza primordiale, dunque, tra due differenti criteri organizzativi (uno orientato al "dentro" e uno orientato al "fuori"), per quanto mascherata e addirittura resa funzionale, rimase e persiste tuttora.
Anche se maschio e femmina si cercano, si desiderano e "si amano", sembrano fare di tutto per stare assieme e per collaborare, sono in realtà, ancora, i rappresentanti di due modi molto lontani di intendere la vita, modi formatisi in epoche remotissime (un miliardo di anni fa?) e tuttora reciprocamente incompatibili, proprio a causa del persistere della loro primordiale radicalità.
Tale dualismo ancestrale, negato e "dolosamente" occultato dai suoi stessi protagonisti (parlo di cellule e di celenterati, si badi bene!), ma di fatto eretto a sistema riproduttivo di base, è appunto, come dicevo, il fil rouge dell'Evoluzione, che ha avuto implicazioni infinite in ogni branca della Vita e dato origine a innumerevoli forme di compromesso-integrazione, tutte più o meno mal riuscite e "provvisorie" (cioè in attesa di essere sostituite da altre migliori) e sempre difficili da individuare nella loro intimo divenire.
Di tutti questi tentativi, almeno di quelli meno disfunzionali e comunque persistenti da milioni di anni, si occupano le Scienze Naturali.
E proprio le Scienze Naturali ci spiegano come, per molto tempo, maschio e femmina siano state controparti irriducibili, salvo che nell'istante della fecondazione. Col procedere dell'Evoluzione i due generi si sono avvicinati sempre di più, anzi, recentemente (a partire dai primati, diciamo, dieci milioni di anni fa), troppo, fino a perdere il senso sia della distanza originaria, sia della necessità di perseguire un'integrazione futura, di alto profilo, anzi di qualità "divina", destinata ad avvenire in un'altra dimensione.
Il dualismo veniva, per così dire, superato illusoriamente (cioè negato) attraverso un'attività sessuale esasperata e promiscua, che contemplava accoppiamenti continui di ciascun membro del gruppo con tutti gli altri (prescindendo da considerazioni di età, parentela, sesso del partner), osservabile tuttora nelle scimmie più evolute (scimpanzé e bonobo). Si trattava di "edonismo", di "rassicurazione esistenziale", di controllo sociale del gruppo, di contenimento della violenza? O non, piuttosto, di un bisogno di fusione, di identificazione reciproca, volta a negare distanze e differenze inquietanti?
A un certo punto (centomila anni fa?), comunque, vi fu una violenta sterzata. Tale attività "orgiastica" venne bloccata e severamente messa al bando in base a istanze "superiori", collegate al progressivo formarsi del religioso (v. nota 3 ). La distanza originaria veniva bruscamente ripristinata, all'interno di una concezione rigida e fortemente improntata ai meccanismi di formazione del sacro e quindi intrinsecamente legata alla struttura stessa del rito, ai suoi tabù e alle sue dicotomie, come quelle tra sacro e profano, tra lecito e illecito, tra umano e divino.
Si trattò però solo di un ribaltamento, non del ripristino dell'equidistanza originaria. Il "quadrato" (cioè il discontinuo) prendeva il sopravvento sul "cerchio" (il continuo) e lo mandava nelle catacombe: qualsiasi dialettica, qualsiasi riconoscimento pubblico e qualunque gioco di integrazione dell'altra dimensione (quella interna) era da allora vietato.
Tale fase dura tuttora.
Futuribile Integrazione?
Il che equivale a dire che, con tutta la nostra orgogliosa razionalità, siamo ancora all'interno di un rito del Paleolitico!
Con l'insorgere, quindi, della protocultura animale e poi della Cultura Umana, il problema della distanza originaria è rimasto quasi identico, ma ancora più difficile da individuare, perché occultato in maniera sempre più abile.
I nostri Antenati conservavano tuttavia, nonostante ciò, una percezione molto forte di un dualismo strutturale, fondante, col quale bisognava confrontarsi, per raggiungere la Saggezza o comunque livelli superiori di spiritualità.
Esso è il prototipo, il paradigma di tutte le dicotomie e le polarità settoriali che sono state individuate e gestite dalle culture più antiche: dallo Yin e Yang (che è la più nota e recente formalizzazione di uno schema antichissimo, già individuabile nell'arte e nel pensiero paleolitico di 30.000 anni fa) alle polarizzazioni dei presocratici (come "indefinito" o àpeiron e "definito"), fino a Eros e Thanatos di Freud, Anima e Animus di Jung, Energia e Massa di Einstein, Sinistra e Destra nel pensiero politico, cioè sempre una contrapposizione tra un "Continuo" e un "Discontinuo" in tutte le loro forme e manifestazioni possibili, contrapposizione finalizzata alla perenne ricerca di una, per ora improbabile, integrazione.
Il destino dell'Uomo è muoversi tra le due dimensioni senza poterle mai conciliare, come è espresso bene dall'icona dell'Uomo Vitruviano, che, come sappiamo, è inscrivibile tanto in un cerchio (continuo) quanto in un quadrato (discontinuo), ma con centri diversi (sull'ombelico o sui genitali), che non collimano.
Il "peccato" più grave dell'Uomo è invece, da sempre, quello di voler "quadrare il cerchio", cioè voler negare questo dualismo irriducibile, che non è in grado né di superare né di trascendere dinamicamente (Nota 4).
Voler considerare uomini e donne sostanzialmente uguali e anzi complementari, deriva da questo appiattimento, da questa omologazione.
Ed è un grave errore, in mezzo ad altri.
Uomo e donna si sono evoluti parallelamente e sono arrivati agli stessi risultati, in termini di prestazionalità, forza, intelligenza e sono funzionalmente intercambiabili in qualunque compito, ma sono tuttora molto diversi. Per quanto abituati a contenere e a dissimulare le proprie peculiarità, in realtà intendono tutto in maniera differente, in base a criteri opposti, che privilegiano la continuità, le donne, (cioè l'adesione al contesto e l'attenzione alle situazioni nel loro complesso, il mantenimento o il ripristino degli equilibri, la negazione di differenze, distanze e barriere) o la discontinuità, gli uomini (definizione di ambiti, accentuazione di distanze e differenze, tagli, rotture di equilibri, decontestualizzazione e finalizzazione precisa degli atti).
Per fare un esempio, intendono molto diversamente i rapporti sessuali: per la donna devono essere carichi di significati, inseriti in un contesto umano, sociale, affettivo, estetico, immersi cioè in qualcosa di ampio respiro (di nobile o meno nobile) che ne trascenda gli aspetti concreti e prosaici, devono essere rarefatti, cioè replicati tanto meno quanto più sono ben riusciti... Per l'uomo invece devono essere perseguiti di per sé, immediati e svincolati da implicazioni estrinseche, rivolti a più partner, esplicati nella loro pienezza, trasformativi, frequentissimi …
Ripensare la struttura Famigliare?
Ambedue le posizioni, allo stato puro, porterebbero alla distruzione del sistema. Ciò rende indispensabile, per la convivenza di una coppia come di una società, cercare di armonizzare e rendere compatibili, pur riconoscendole nella loro distanza, le rispettive differenze.
Il che non significa, però, improntare le regole sociali e culturali a un comportamento unico, intermedio, ibrido, che scontenta tutti, non solo nell'esercizio della sessualità, ma nella convivenza in genere tra uomini e donne, in tutti i campi.
E' necessaria una ricerca psico-sociologico-culturale di alto profilo per ipotizzare forme diverse di aggregazione famigliare e sociale, magari anche riscoprendo, in termini nuovi, alcuni istituti delle società cosiddette tradizionali.
Se la donna ragiona in termini di continuità e quindi di adesione al contesto (cioè fa tutto per creare o ripristinare degli equilibri con ciò che la circonda), non deve né essere costretta a funzionare in maniera individualistica (cioè discontinua), né assecondata nella sua, almeno apparente, richiesta di essere chiusa entro steccati famigliari o di coppia, come succede nella famiglia moderna.
Ambedue le condizioni (di natura opposta) non le giovano, perché non soddisfano i suoi bisogni profondi e non la aiutano a lavorare sul suo problema: crescere come persona e costruirsi attivamente i suoi limiti. Dovrebbe esplorare altre forme di apertura responsabilizzante (che peraltro lei raramente chiede!), ma in un contesto di parziale continuità col gruppo.
L'uomo invece sembra volere maggiore autonomia individuale (cioè rottura con l'ambiente), maggiore discontinuità con ciò che lo circonda, perché non tollera le varie pastoie relazionali, che non gestisce bene, che considera invasive e teme come foriere di allagamento emotivo. Non viene aiutato a lavorare sul suo problema (la gestione della complessità, soprattutto nelle relazioni) né da una concessione di maggiore libertà, né da un incremento dei legami affettivi con le donne e da una eccessiva contiguità con loro.
Al contrario è aiutato da un certo grado di "militarizzazione" extrafamiliare (scuola, squadretta di calcio, boy scouts o simili, da piccolo, altre forme aggregative in seguito), che escluda le donne, sia limitativa dell'individualità, ma contenitiva e rassicurante e gli permetta di migliorare il suo contatto con l'ambiente e gestire meglio la complessità dei rapporti che vi sono insiti.
Non si tratta di ripristinare passivamente cose già fatte in passato, di cui esistono infiniti esempi nella storia e nell'antropologia (a partire dalle "società segrete" per soli uomini e sole donne, presenti in tutte le culture tradizionali), bensì di concepire e sviluppare una filosofia della diversità, nonostante che l'attuale contesto culturale esiga ed imponga l'omologazione.
Quindi educazione famigliare, rapporti di lavoro, di formazione, di amicizia e tutte le altre relazioni umane vanno gestite in maniera differenziata per i due generi, pur nell'ambito di una piattaforma di principi e di diritti/doveri comuni e sempre in vista, s'intende, di una futura, remotissima integrazione.
La vita famigliare e di coppia è invece tuttora improntata a principi, a regole, a comportamenti che sono funzionali, forse, a un certo schema di Società (mutuato dall'alveare e relativo ad un'impersonalità di rapporti inesistente), ma non ai singoli, cioè a ciascuno di noi, e rende tutti infelici. La stessa struttura famigliare (stabile, monogamica, mononucleare ecc.) andrebbe forse rivista, e richiederebbe una ricerca più orientata ad aiutare uomini e donne a trovare, nei rapporti con l'altro sesso, una minore frustrazione.
Un singolo uomo e una singola donna non sono complementari e, in un contesto chiuso come la coppia, non sono in grado né di completarsi reciprocamente, né di dare compimento alle reciproche aspettative di fondo; anzi il più delle volte si danneggiano, a meno che non siano in grado di sacrificare drasticamente gran parte delle rispettive istanze.
Operazione che tutti ci sentiamo in dovere di compiere, ma la cui opportunità è tutta da dimostrare, perché solo pochi di noi ci riescono e non sempre. Quelli che sono incapaci di esercitare una capacità di autodominio totale (cioè quasi tutti) soffrono, si deprimono e affollano gli studi degli psicoterapeuti e degli psichiatri.
Come si vede, si tratta di un lavoro immenso, in gran parte ancora da intraprendere, volto a separare ciò che va separato, distinguere ciò che va distinto, ripristinare distanze e diversità, in vista di un più favorevole, futuro assemblaggio dei costituenti.
Ma una gran parte del lavoro deve essere dedicato anche a capire e a gestire quella che io chiamo la "Sessualità sommersa", cioè i residui nascosti di quell'attività esasperata e promiscua, che è stata la nostra per milioni di anni, dai tempi dei primi Primati a quelli degli Australopitechi, fino a… ieri… e che ha lasciato tracce importanti, per quanto rimosse e inconsapevoli, nel nostro inconscio collettivo.
Come gestire questo materiale, che non è affatto diventato "fossile", che anzi è sempre presente e parte integrante di noi? Il classificarlo come patologico e "perverso" (incesto, omosessualità, satiriasi/ninfomania, pedofilia, esibizionismo/voyeurismo e simili) non aiuta a recuperarne gli aspetti positivi e comunque a riconoscerlo come nostro.
Ma qualunque ricerca, qualunque tentativo di parlare di queste cose in termini più sereni e costruttivi trova ostacoli pressoché insormontabili, strutturalmente simili a tabù, a riprova di come tutta la materia sia collettivamente gestita con criteri ancora del tutto irrazionali.
Giandomenico Montinari
- Nota 1) . Ciò significa che, in fin dei conti, l'Uomo, con i suoi attributi di cui andiamo tanto fieri, è nato come la "foglia di fico" destinata a coprire una carenza, un vuoto, di cui la Natura si vergogna!
- Nota 2) . Nel suo famoso mito, Platone, senza sapere niente di cellule, dà di questi eventi una versione un po' differente. Immagina un essere originario bisessuato, l'Androgino, sferico, con quattro gambe e quattro braccia e ambedue gli organi genitali, che era forte e contento. Ma fu proprio questa sua tracotanza a far indispettire gli dei, che decisero di tagliarlo in due, condannando ciascuna parte a cercare continuamente l'altra, senza mai riuscire a ricongiungersi con lei.
- Nota 3) . Il tutto adombrato dal mito biblico della cacciata o, meglio, dell'autoespulsione dal Paradiso Terrestre
- Nota 4) L'Uomo Vitruviano messo sulla moneta da un euro può essere vista come un'inconsapevole metafora. Ma di che cosa? Di una impotenza senza via d'uscita o di un futuro, auspicabile superamento di una situazione di stallo?…
Titolo del Libro:
A LETTO CON L'EVOLUZIONE
Le peripezie antropologiche della Sessualità
Autore: Giandomenico Montinari
Edizione: Cortocircuito
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1992 "Inaugurazione di Gea"
Estratto intervista su Rai 3
Alejandro Jodorowsky a Gea
Presentazione libri
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