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GeaBlog: Riflessioni e Pensieri in libertà |
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Ada Cortese
Mar 2011
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ARTOUR-O INSIDE
Performances ed Esposizioni d'Arte. Firenze 2011
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Artour-o Inside ha proposto un semplice ma tutt’altro che banale “gioco” ai visitatori di questo anno.
Esso si fa da un lato “messaggero degli dei” per così dire “offrendo” a ciascuno un “dono dell’universo” e dall’altro raccoglie le progettualità e i desideri di ciascuno esibendo la ricezione del bene più prezioso dell’umanità e della vita: la creatività. Il ricevere e l’offrire si uniscono in un solo gesto che sa rendere in modo leggero la profonda verità dell’esistenza, ciò che C. G. Jung studiò e nominò la sacra unione degli opposti (coniunctio oppositorum).
Mi ha coinvolto questa proposta di Artour-o di esaltare l’”Inside” rispettando i i fondamentali dell’evento: arte, valorizzazione di ogni progettualità con particolare attenzione alla forza delle nuove generazioni, disponibilità a raccogliere e ad aiutare la realizzazione ma soprattutto esaltazione della interiorità come risorsa principale per riattivare una spinta ideale che sposti la base identitaria del Soggetto dall’Io egoico e privatistico al Noi universale, già percepibile dentro ciascuno visto che ognuno di noi è una “moltitudine” universale.
Ricevere (i doni dell’universo) è facoltà a volte naturale a volte frutto di un lungo percorso di esercizio all’umiltà. Difficile riconoscere i doni della vita e dell’universo se non si esercita l’organo di ricezione degli stessi. E qui l’organo può essere fatto coincidere con la coscienza.
E’ esperienza, non formulabile in nessuna teoria “scientifica” e in nessun “a priori”, che il maggiore aiuto a riconoscere la preziosità dei doni provenga alla coscienza dalla consapevolezza del suo limite. Il limite è il paradosso della coscienza: la cosa più difficile da accettare ma anche il punto di partenza per ogni conquista. Dire limite è dire mancanza: nella mancanza posso esercitare il mio diritto di nominare ciò che a me manca. Sono desideri, sono bisogni. I desideri non implicano necessarietà di soddisfazione. Senza la soddisfazione dei miei desideri posso anche vivere. I bisogni implicano necessarietà di soddisfazione.
Come già avevano affermato Hegel prima e Marx dopo, i bisogni dell’uomo sono bisogni umani dunque di relazione stante che lo statuto fondamentale dell’uomo è la relazione. Dunque il bisogno dell’uomo è l’altro uomo, o meglio ancora è il bisogno di essere il bisogno dell’altro uomo. Il passaggio identitario dalla percezione interiore del ME come IO al ME come NOI è immediata e inevitabile conseguenza di questa consapevolezza.
Il percorso che sposta il Soggetto dalla sua dipendenza dalle cose – la quale ferma la modalità relazionale al desiderio (io “voglio” questa o quella cosa, questa o quella persona ma come cosa.
Lo schema è dunque quello della relazione “Soggetto-Oggetto”) - alla formulazione del suo reale e più profondo bisogno, quello che soddisfa la sua identità umana, è quel percorso che, liberando il soggetto dalla relazione solo alienante col mondo e con se stesso, paradossalmente lo rende libero e capace di reggere la sua mancanza (del rapporto che gli necessita e il cui schema relazionale sarebbe quello del “Soggetto-Soggetto”).
Mancanza che sempre si rinnova considerato che la tensione all’incontro intersoggettivo con l’altro si scontra sempre con le reciproche proiezioni, i reciproci nodi irrisolti, la colpevole negligenza sociale nel non proteggere e non sviluppare la interiorità di ogni soggetto. [Va da sé che qui intendo, e non mi dilungo, il rapporto intersoggettivo come quella modalità relazionale in cui ciascuno dei due regga diversità e libertà dell’altro. Valore del rapporto: accoglienza del cambiamento e della crescita. Cosa su cui tutti siamo razionalmente d’accordo salvo cozzare poi nella realtà con l’altra più “istintuale” e primitiva modalità relazionale: l’interdipendenza che si basa invece sulla suddivisione rigida dei ruoli forte/debole, governante/governato, e sulle corrispondenti aspettative. Valore del rapporto: cura esclusiva della conservazione, dello status quo.]
Per fortuna nessuno di noi è i totalmente immerso nella interdipendenza e nessuno di noi è solo la somma di variabili esteriori, statistiche, sociali, religiosi, culturali che siano. Per fortuna c’è un mix di risorse in ciascuno di noi che rendono ognuno di noi sacro unico proprio perché irripetibile. E per fortuna in questo mix personale spesso si trova quanto è sufficiente per rispondere alle diverse circostanze della vita anzi è proprio in questo mix che sta quella risorsa interiore che ci può condurre via dalla dimensione superficiale dell’esistenza e dalla connotazione omologante collettiva restituendoci alla responsabilità individuale avanti alla nostra vita.
In questo percorso intimo e apparentemente solitario scopriamo gli opposti e impariamo ad amare il limite e la mancanza perché sono i nostri più fedeli alleati nel processo di crescita della nostra percezione del mistero e dello svelamento della vita. Quanto più siamo in contatto con la nostra base statutaria che ci rende umani, dunque quanto più sappiamo nominare il nostro vero bisogno (al di là della sua soddisfazione!!!) – che è bisogno dell’Altro universalmente inteso – tanto più saremo liberi dai falsi bisogni e dai desideri surrogati, tanto più saremo capaci di reggere la mancanza fondamentale. E l’Altro che ci manca è fuori e dentro di noi ad un tempo: fuori è l’uomo a noi coevo.
Dentro sono l’uomo millenario, l’evoluzione intera, pensiero e vita sepolti da riscoprire: Inconscio!
Più sapremo essere giusti e prestare orecchio a entrambi, il dentro e il fuori, il concreto e il simbolico, il visibile e l’invisibile, più raffineremo le nostre coscienze e il nostro spirito, più saremo capaci di accogliere i doni dell’universo con tutta la grazia che ci viene regalata. Potremmo affinare la nostra percezione e la nostra consapevolezza così da giungere (idealmente) a vivere ogni momento come dono, sottraendolo al continuum temporale e vivendolo come un intero, cioè, seguendo Meister Eckahrt, come “momento presente assoluto”.
Quanto meno percorreremo questo sentiero di liberazione da e di noi stessi, tanto più resteremo prigionieri del vissuto del limite e della mancanza non come risorsa ma come reale e dannata angoscia priva di possibile redenzione. Come può un soggetto che si identifichi solo con il suo piccolo privato Ego reggere il mondo che resta prevalentemente fuori di lui e di cui dunque quell’ego si sente privato?
Dopo aver considerato quello che potremmo definire della “passività consapevole” o con saggezza orientale “fare il non fare” per ricevere quanto la vita ci vuole regalare vorrei spendere alcune parole per l’altro lato della relazione che nel gioco del “ricevere” e del “dare” Artour-o ha suggerito. Mi riferisco a quello attivo e propositivo dell’offrire le proprie idee, i propri sogni progettuali, i propri desideri.
Per quanto detto sopra ne deriva che, anche per vivere questo lato che è anche un modo dinamico di essere nella relazione (l’agire) è importante non identificarsi con il proprio ego e dunque saper essere riconoscenti al proprio inconscio, al proprio mondo interiore per l’ idea concepita. Ciò permette di riconoscerle quella apertura ventosa di significato e di sacralità che l’appropriazione egoica non può vivere.
Non si può vivere su un solo lato del fiume. Non si può ricevere senza restituire. Il nostro impegno, il nostro progetto, piccolo o grande, piacevole o meno piacevole, forzato o volontario, saprà sempre riempire di senso e di spessore la nostra vita ed in questo vissuto, mai per merito né per logica di causa-effetto, sapremo ri-conoscerci come particelle universali di vita umana e divina ad un tempo.
Non avremo bisogno di esperti per godere del senso e della buona opportunità del gioco complementare del “dare-avere” di Artour-o Inside, non avremo dubbi che la nostra proposta, il nostro giusto intento sarà accolto!
Ada Cortese
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