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Psicologia Analitica e Filosofia Sperimentale
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GeaBlog: Riflessioni e Pensieri in libertà
  dal 9 al 3   
Ada Cortese Gen 2011
L’eredita' di Cristo

La morte della donna come morte dell’oggettualità inerte

Premessa
Il lavoro che segue è tratto dal pamplet “L’eredità di Cristo” (1983).
Un tentativo audace e ardito di analizzare il passaggio dal sistema psichico basato sulla contrapposizione ad un sistema psichico basato sul dialogo così come i sogni e le riflessioni del soggetto umano lo svelano.
In questo lavoro di spostamento verso un punto di visione superiore del sistema psichico (e dunque anche della coscienza) fondamentali si svelano altresì le implicazioni filosofiche e psicoanalitiche del pensiero cristico colto nelle sue valenze simboliche e prospettiche.

Si prende qui lo spunto dal rapporto per eccellenza: quello dell’uomo con la donna che spesso viene solo presentato sotto il suo aspetto conflittuale, come “crisi della coppia”. Ma così facendo occorre non dimenticare che si costringe in un fondamentale ma circoscritto copione sociale l’anelito identitario degli esseri umani.

In un’ottica psicoanaliticamente evolutiva che ipotizza il passaggio dal sistema psichico al sistema spirituale nel quale potrebbe finalmente dominare la manifestazione superiore delle attività del pensiero, non penso abbiano senso i tremori e le angosce che l’ approccio troppo “psichico” alla “crisi” del rapporto uomo-donna può ingenerare. Penso anzi che all’interno del procedere dialettico ed invisibile, sia elemento fisiologico, la difficoltà dell’uomo e della donna a comprendersi e a coniugarsi in modo soddisfacente se davvero ha significato spirituale, dunque evolutivo, la crisi di coppia di cui qui si vuole discorrere (di cui tanto si va dicendo nei convegni degli esperti e nei talk show dei mass media).


L’impossibilità di comunicare adeguatamente con l’Altro esterno a noi assurge a stimolo per la rigenerazione della Parola e della Weltanschauung, inchiodando il soggetto alla responsabilità del lavoro spirituale. Penso che l’incomunicabilità come limite al facile travaso ed alla circolazione dei singoli pensieri, siano sempre stati e oggi ancora espedienti funzionali alla vita psichica in quanto si costituiscono quale garanzia ontologica nell’essere umano contro il rischio della totale pietrificazione nel segno condiviso. Con parole più semplici: la difficoltà a comprendersi è anche prova e difesa contro l’omologazione generale.

La modalità dell’incontro-scontro è stato fin qui un modo di permettere alla vita simbolica di procedere e di svilupparsi sia pure perlopiù inconsciamente. Essa si è posta al servizio del divenire, del finito, affinchè potesse perennemente superar se stesso. Ma anche questa modalità spirituale o del conoscere, dello scontro-incontro intendo, sta maturando la sua morte.

L’eros infatti non pare ancora pronto a porsi in nuova modalità di esistenza eppure non può più esistere secondo la vecchia modalità paranoide: esso rischierebbe di venire sterilmente disperso e ucciso nelle battaglie relazionali quotidiane qualora non sapesse sottrarsi a tali terreni bellici, ove la lotta si fa polemica spesso consumata proprio per la sua innocuità.

Se l’eros nella divisione edipica dei ruoli è stato fin qui il feudo su cui regnava la donna, è allora forse vero che proprio a lei spetta testimoniarlo nuovo. L’inconscio sa trovare ancora una volta immagini molto nitide per giungere alla coscienza e raccontare l’inevitabilità del processo che porta con sé la morte della donna come eros fuori della storia, donna mai riconosciuta se non depredandola di tutto ciò di cui pur tuttavia è simbolo, ovvero dell’energia vitale. La donna, così esorcizzata, diventava troppo spesso contenitore dei residui maschili: ciò che era strategia (ad esempio: per indurre all’acquisto) nel mondo maschile, diventava per lei fede ultima con la quale si faceva ideologa del sistema edipico mortificando la sua affettività allo stato servile. E proprio perché questa non è mai stata la sua essenza, la costrizione al mutismo mentale l’ha necessariamente indotta spesso all’urlo isterico quale unico filo per sentirsi legata alla vita.


Muore uccisa l’ ultima assistita e la sognatrice, che nella realtà lavora in comunità terapeutica, parte in nave per New York alla ricerca dell’assassino. La nave ha un comandante donna. La sognatrice, pur possedendo biglietto di seconda classe, cerca d’introdursi in prima ma viene scoperta dal comandante che la riconduce al suo posto.

La sognatrice, psichiatra nella realtà, in una stanza squallida dalle pareti rosa e crepate, partecipa al dramma dell’unica pazza rimasta in reparto. La donna vuole buttarsi dalla finestra e, mentre un collega agisce professionalmente nel tentativo di trattenerla dall’insano gesto ricorrendo a frasi caramellose e pietistiche, la sognatrice lo invita a fermarsi e a rispettare la volontà della poveretta.

La sognatrice si trova in un luogo pubblico adibito a mensa dove incontra le figure più significative della sua vita attuale e simboli, esse stesse, dei suoi più grossi impegni. Si accorge che tutti hanno consumato il pasto e a lei sono rimasti i resti: un panino che sa essere l’ultimo e che non riesce mai a completare, dunque neanche a mangiare. Operazione molto lenta e molto pesante.

Aria da giorno dopo la grande catastrofe nucleare. Tutto è raso al suolo, deserto. La sognatrice vede su di un altipiano l’imbocco a una caverna ed ella, che si sente divenire alternativamente ora donna ora uomo, vi entra: vede due cadaveri, un uomo, una donna, un abito da sposa e alcuni manufatti, gli ultimi creati da mano d’uomo.

L’eros nella sua forma assistenziale dunque muore ma le due classi distinte sopravvivono. Il che significa la necessità della tappa edipica (la contrapposizione) nel processo conoscitivo. La corsa alla prima classe può allora costituire un pericolo per la coscienza in quanto può segnalare il desiderio dell’immediata divinità (la prima intesa quale l’Originaria, l’Uno), quando è invece importante, e forse in particolare per la donna, il due, ovvero gli opposti quale allenamento ad un pensiero guidabile.

Restituendoci al tema dei diversi lavori cui sono chiamati i due della famiglia umana, l’uomo e la donna, si potrebbe supporre che alla donna, simbolo dell’eros, dunque del darsi immediato dell’essere, per parafrasare S. Montefoschi, e dunque in qualche modo già sintesi seppure inconscia, mentre per un verso spetti riconoscere la preziosità della sua specifica natura quale espressione della divinità (l’emozione, l’intuizione, il sentimento, la fantasia, il sogno, esprimono sempre una totalità di significati più o meno parzialmente afferrabili dal lavoro conoscitivo), per l’altro spetta allenare proprio l’attività del pensiero guidato, pensiero che non dovrebbe più risultare viziato dalla unilateralità, rischio insito nella tappa edipica fin qui, proprio grazie al matrimonio tra segno e simbolo, tra Io e Inconscio ovvero tra Edipo e la madre riconosciuta. All’uomo, invece, detentore fin qui del mondo del segno, e dunque della storia, pare spettare l’esercizio all’ascolto della divinità, ovvero dell’informe ancora perché totalmente simbolico, insieme ad un rinnovato riconoscimento del suo lavoro segnico fin qui. Ogni genere, dunque, solo attraverso questo intimo lavoro, si potrà ricongiungere all’altro.

A ciascuno viene restituita la responsabilità di lavorare (il viaggio): il sogno dice la necessità, oggi che l’uomo avverte il bisogno di sintesi nuova, di non dimenticare il due, ovvero il pensiero nutrito dai segni che esso stesso ha partorito; ovvero quell’immagine onirica come una esortazione ad affidarsi alla ragione così rinnegata ultimamente. Su questo tema mi pare insista anche il secondo sogno in cui la sognatrice vede il pericolo della divinità lasciata sola: essa è necessariamente follia nel mondo del divenire a meno di non farsi cibo per la coscienza.

La donna comandante della prima immagine onirica e la sognatrice stessa nella seconda impedendo l’una magiche scorciatoie e l’altra la perpetuazione di un delitto contro la divinità, ridotta spesso, nella figura di donna, all’impotenza folle rimossa del suo contrario (il potere di assistere e o di essere assistita), incalzano la donna a riconoscersi quale simbolo della nuova modalità conoscitiva.

La donna comandante può ben essere la nuova figura guida all’autocoscienza se è il femminile oggi ad ereditare il testimone.

Nei suoi stessi sogni l’umanità dice a se stessa che se avrà un futuro, ciò sarà grazie alla forza dell’amore. Non certo quell’amore che si dà gratuitamente o che resta, ghettizzato, complice e limite con e per il femminile, quanto amore che, al di là delle specificazioni del soggetto a cui si riferisce, resti al servizio della necessità.

E se la donna sa uccidere in sé l’ombra dell’amore, ovvero l’assistenzialismo, uccide salutarmente la riduzione della sua vita spirituale, regredita fin là a pura oralità nutrita di avanzi. E così a questa si dice addio con l’ultimo faticosissimo panino.

La morte dell’oralità nel mondo del soggetto umano potrebbe portare in sé una grande capacità esplosiva capace di provocare un salto di qualità nell’autocoscienza pari per intensità al salto che divideva i Giganti (chissà, forse possibili superstiti Cromagnon) da Ulisse. Può morire la fenomenologia della coppia intesa come rigida separazione tra il mondo perennemente virginale (o demoniaco) del femminile (qui l’abito bianco) e lo spirito nella manualità tipicamente maschile.

Non una donna vergine, fuori dal mondo e dal tempo, né uomo che abbia da continuare a manipolare materia inerte fuori di se stesso, ma un nuovo Essere, ovvero una nuova condizione dell’esistenza, capace di trovare in sé la memoria congiunta di quelle antiche figure proteso ormai ad un nuovo elettivo compito: la massima intensificazione possibile dell’Autocoscienza e dunque del Pensiero.

Il Pensiero nuovo non vuole più essere staccato e contrapposto all’eros che lo fonda. Il corpo e l’abito verginale della donna da un lato e l’oggetto manufatto dall’altro sono le figure che ancora segnano la contrapposizione e su cui il soggetto umano, ufficialmente maschile, sotterrò, perdendola, la sua oggettualità.

E proprio alla donna, dunque, a quella che fin qui è stata l’Ombra e vissuta all’ombra dell’uomo, a lei che, per esistere socialmente, occorreva sposasse empiricamente e psicologicamente l’identità maschile, pare toccare la testimonianza del nuovo in cui restituirsi, ella stessa coscientizzata, quale necessario ed imprescindibile fattore del soggetto umano unico.

Se fin qui la donna ha fatto suo il linguaggio e la visione maschile, è vero che ella in se stessa ha maltrattato il femminile come molti sogni precedentemente richiamati peraltro testimoniano.

La conoscenza e la trasformazione del mondo spirituale mi pare comporti la ri-analisi in se stessa, donna, del mondo che fin qui l’umanità ha creato. La trasformazione comporta un pensiero nuovo supportato di un’affettività, ovvero di un pensiero precosciente e sovrarazionale, per lei forse più facilmente attingibile, che la rende capace, perciò stesso, di accorgersi immediatamente, in tempo reale, del totalmente inatteso che già sta emergendo. E ancora, la trasformazione di cui si discorre comporta l’assunzione della responsabilità di creare una nuova lingua nascente dall’unione di eros e logos che di questo nuovo sappia dire:

La sognatrice è su un pianeta sconosciuto. Gli abitanti di questo pianeta vivono la vita dando corpo a cose ed esperienze senza un linguaggio che vi corrisponda. Proprio a lei viene affidato il compito di dare il nome ad ogni forma.

Le donne di Russia verificano che la Rivoluzione Socialista è fallita [(sogno del 1982)[. Esse sanno però che il leone è morto. E’ questa una novità di estrema importanza ed esse sentono che è il loro precipuo compito comunicare tale notizia a tutto il mondo, perché con essa comunicheranno anche che si affermerà finalmente lo stato della libera necessità.

L’inconscio collettivo sposta il soggetto umano ad un grado di libertà in più restituendolo alla sostanza universale di cui si fa sempre di più autocoscienza. Mi pare sia proprio questo il significato forte del mondo ridefinito al femminile.

Ed ogni rivoluzione continuerà a fallire, pur portando tra le sue pieghe la voce del nuovo bisogno evolutivo, bisogno cioè di restituirsi al sociale e dunque all’immediatamente universale, fino a che l’uomo, trattenendo in sé il delirio di una onnipotenza antropomorfa sul mondo, si rapporterà unilateralmente ad esso da padrone a servo. Ma il re della foresta, dice il sogno, è morto: la presuntuosità leonina e dunque l’egoicità, basta guardare lo scempio egoico sotto i nostri occhi e il disgusto che provoca ,nonché l’antroporiferimento sono morti, recettivo per primo a tale novità il femminile, l’infinita profondità della mente capace di saper di se stessa anche nel mondo della coscienza, laddove essa si fa, ereditando precedente storia, oggettualità autocosciente.

(*) L’eredità di Cristo – Ada Cortese 1983


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