Home Anno 17° N° 62 Pag. 3° Dicembre 2008 Ada Cortese


Ada Cortese
 TEORIA 

"PSICOANALISI RELAZIONALE": COSA ALTRO?

Poiché è da un po' di tempo che nuove generazioni di psicoanalisti all'estero come in Italia sventolano come fosse novità la psicoanalisi quale "Psicoanalisi Relazionale" (senza nemmeno proporla con ironia!!!) allora mi corre l'obbligo di rinverdire la memoria o correggere chi forse non conosce la psicoanalista Silvia Montefoschi, proprio riproponendo alcuni passi fondamentali, seppure sintetizzati, del suo pensiero, tratti dal suo primo lavoro "L'uno e l'altro" pubblicato nel lontano 1977 (*).

L'ANALISI DELL'ESPERIENZA

Silvia Montefoschi va oltre l'ortodossia dell'azione psicoanalitica che si dirige su istinti, affetti, struttura psichica, considerandoli alla stregua di "cose" oggettive.
Montefoschi considera l'azione l'azione psicoanalitica sotto il profilo relazionale. Il gesto psicoanalitico si dà all'interno di una relazione che vede totalmente coinvolti soggetto analizzato e soggetto analista.

L'oggetto del lavoro psicoanalitico:
il modo dell'altro di mettersi in rapporto con l'analista che passa inevitabilmente nel modo dell'altro di relazionarsi a se stesso.

Strumento del lavoro psicoanalitico:
il modo dell'analista di relazionarsi al paziente che passa inevitabilmente per il modo dell'analista di rapportarsi a se stesso.

Sulla nevrosi: il paziente conosce la sua sofferenza come "cosa"; la chiama malattia mentale, sintomo, conflitto, conosce anche i termini del conflitto, ma l'atto di conoscenza che non compie è quello del riconoscere tutto ciò come modi del suo stesso esistere.
Egli non si riconosce in questi vissuti, li aliena, li reifica e si pone nei loro confronti come oggetto in balìa (nevrosi è modo di vivere Alienato, attraverso cui si cede all'altro la capacità di gestire e decodificare il profondo significato del conflitto che si cela dietro ai vissuti, e ciò facendo nevrosi diventa svuotamento nell'uomo di ciò che lo rende umano: la gestione del conflitto come capacità di tollerare la tensione alla ricerca della riappropriazione del simbolo o scoperta del nuovo simbolo).
Oggetto e non soggetto passivo proprio perchè il paziente non si riconosce la possibilità di scelta e quindi neanche la passività, che ha un valore positivo quando è assunta come disponibilità consapevole agli eventi che ci agiscono dentro, non è scelta ma gli è estranea e la subisce senza mai potersi aprire alla dialettica del patire-agire.
Il modo del nevrotico di sperimentare se stesso è già un modo di stare nel rapporto, il modo dell'essere incapaci rispetto a chi è capace, il modo dell'essere privi rispetto a chi possiede il modo di non aver potere rispetto a chi ne ha.
Quindi rigida scissione nel nevrotico tra ruolo passivo (il suo) per cui il modo nevrotico di rapportarsi diventa quello di soddisfare coattivamente l'aspettativa altrui, laddove l'aspettativa è sempre quella di bisognosità da appagare, una impotenza cui provvedere ecc.

Ma qual è il modo di relazionarsi di un analista come Silvia Montefoschi?
Sono due i modelli di rapporto che l'analista utilizza (in ciò più ricco del paziente che ne ha uno solo):
A) quello comune anche al paziente ovvero l'interdipendenza.
B) quello dell'intersoggettivita'.

A) Il primo modello vede l'analista muoversi secondo gli stessi vissuti del paziente: così come il paziente si fa debole, passivo, impotente per soddisfare quella che pensa sia l'aspettativa dell'analista che così può fare il forte, l'attivo, l'autonomo ecc. Così l'analista si fa forte, attivo ecc. per soddisfare l'aspettativa del paziente di considerazione della bisognosità, dipendenza, passività Non è quindi solo il paziente a porsi in maniera dipendente.

La dipendenza pare essere il primo modo di venirsi incontro (l'uno tende a soddisfare ciò che nel rapporto si pone di volta in volta come aspettativa dell'altro).
Il dare e il ricevere assumono il carattere del rapporto unidirezionale tra chi ha e chi non ha, chi produce e chi consuma, così che il dare diviene svuotamento di chi dà e il ricevere diviene furto da parte di chi riceve; il dare diviene invadenza e dominio; il ricevere diventa soffocamento e perdita d'identità (sensi di colpa del paziente che nella vita utilizza la conoscenza che emerge in analisi ma che egli vive come proprietà dell'analista e non come processo che il paziente viene scoprendo in sé. Egli è per se stesso vuoto).

B) Solo se l'analista riesce a realizzare, nei confronti dei suoi stessi vissuti, quel distacco che lo fa soggetto responsabile di essi, egli riesce a controllare e a vietarsi, se necessario la sua tendenza a calarsi nella interdipendenza e a recuperare, cosi, entro il rapporto, la liberta di scegliere il suo atteggiamento interdipendente dall aspettativa altrui.
Ma in ciò rompe col primo modello e già ne fonda un altro: l'intersoggettività come rivelazione esperenziale di una possibilità di relazionarsi anche fuori della dipendenza.
Con la rottura-mutamento l'analista infligge una frustrazione al bisogno affettivo che il paziente trasferisce su di lui.

N.B. : l'intenzionalità dell'atto frustrante non è rivolta al paziente ma all'analista stesso, non al bisogno del primo quanto al bisogno dell'analista di rispondere al bisogno del paziente.

Ciò che il paziente sperimenta in quel momento è un cambiamento dell'analista nel rapporto.
Sperimenta che l'analista resta nella relazione senza piu' chiedere a lui paziente la dipendenza, sperimenta che l'analista può rinunciare alla dipendenza da lui senza temere di distruggerlo e di distruggere con lui la vita stessa.
Questi due modelli si rifanno a due istanze presenti fin dall'inizio nel rapporto:
- La prima si manifesta nella immediatezza delle risposte alle reciproche aspettative ed è quella di salvare una sorta di "totalità simbiotica" in cui ciascuno trova la propria identita' se pur limitata e limitante qualsiasi altra possibilità di darsi entro il rapporto.
- La seconda istanza che si presenta nei vissuti d'angoscia e d'aggressivita', che la celano e la rivelano, è quella di recuperare la libertà nei confronti dell'aspettativa altrui; questa seconda istanza tende a rompere proprio l'unità simbiotica del reciproco appagamento dei bisogni;è in esso dunque che si dà come progetto, possibilità, speranza, il nuovo modello di rappporto, che salvi la relazione con il tu dal vincolo dell'interdipendenza.

L'istanza di libertà porta con sè, quando emerge alla coscienza, angoscia di morte, (se l'interdipendenza è l'unica vita relazionale che mi do ed è prigionia non più tollerabile, allora per liberarmi devo eliminare l'altro "carceriere", devo cioè eliminare la vita di relazione tout-court ritraendomi in una soluzione autistica) e aggressivita' (banalizzata a lite istericoide che, in quanto tale, significa: "io non posso aggredirti veramente perchè temo di distruggerti, gioca quindi con me di tanto in tanto quel po' che serve a entrambi per illuderci d'essere indipendenti"). Questi vissuti imprigionano in un feroce paradosso: "si odia e si vuol distruggere l'altro a cui si resta dipendenti per non fargli male".
Il ricostituirsi in libertà entro il rapporto è un vissuto così doloroso che chiunque lo vorrebbe evitare (morte - rinascita).
Nel momento in cui l'analista, sospende la risposta alla richiesta verifica che anche il paziente sostiene la tensione della diversità e la rottura della identità simbiotica, senza morirne, e insieme fanno l'esperienza che l'essere con non imprigiona nella dipendenza, perchè non è nelle loro reciproche aspettative la negazione della reciproca libertà.

Riepilogando:
Silvia Montefoschi assume il nevrotico come tale proprio in quanto, nell'approccio analitico, porge all'analista la sua problematica come cosa che questi deve trattare.
Questo atteggiamento esprime l'alienazione e la reificazione di vissuti soggettivi e la demandazione ad altri di potere conoscitivo e gestionale sui medesimi. E' in ciò stesso, in tali processi il senso dell'essere nevrotico.
Quindi il senso della azione psiconalitica, secondo S. Montefoschi, sta nel promuovere la presa di coscienza del paziente, non tanto sui contenuti psichici reificati, quanto sul suo stesso alienarli e reificarli.


Ada Cortese


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