Home Anno 15° N° 56 Pag. 9° Maggio 2006 Carla Piccini


Carla Piccini
 RICERCHE 

IO E LORO - IO E L'ORO - FRAMMENTI DI RICERCA

Solo io insieme a....esisto.

Un certo aspetto del corpo che ci è ostico evoca in me l'"Impermanenza". Quello che muore in un corpo ci riguarda, la malattia, il gesto che ha creato dolore o di cui noi siamo stati responsabili, ci riguardano.
L'incontro con l'impermanenza è l'incontro con la morte.
E' anche il grande incontro con sè stessi. L'incontro con l'impermanenza è un po' l'incontro col sapore della vita, che soffia nel cortile di ogni casa a scuotere i panni e ogni ordine precostituito, con la sottile leggerezza, inconsistenza, precarietà e divinità dell'essere.
Là dove l'essere è "grande".
In realtà siamo noi che siamo spesso piccoli, tutte le volte, almeno, che chiudiamo gli occhi e ci tappiamo le orecchie proprio mentre in noi si sta svolgendo qualcosa di eccezionale, di grande.
Potremmo essere più accoglienti e amorosi verso questa grandezza.
A volte mi capita, sento "una cosa grande" e la strada tutto a un tratto mi appare, mi sento come in un paese a festa sotto il sole, il posto di tutte le possibilità e di tutti gli incontri. E' la beatitudine del paese delle meraviglie.
L'impermanenza è quella qualità della vita che ci fa sentire a nostro agio seduti sopra a un muretto di una città sconosciuta. Che ci fa amare appassionatamente tutto ciò che è diverso ma , proprio per questo, familiare, simile a tutto il "diverso" che con attenzione, vediamo in noi. E' quel valore della vita che ci fa dire "così sia".
Si apre adesso, a partire dalla impermanenza, l'altra possibilità, la chiamerei della "pace". Se la vita è una continua trasformazione, un continuo superamento, essa è veramente molto simile alla morte, anzi la morte ne potrebbe rappresentare l'esaltazione.
Ogni giorno che si compie qualcosa, e sempre di diverso, qualcosa muore. E in questo incessante divenire, il distacco, la coscienza che riflette, l'occhio che vede tutto ciò, sono l'essere.
La vita non è solo una ricerca di forma che tenta di opporsi al fluire della materia, dal nulla , presumibilmente, di nuovo al nulla.
Anche se niente sarà mai più, l'Assoluto, il Bello, i valori trascendono il tempo, anche se sono prodotti dalla stessa materia.
La meravigliosa bellezza della natura (bella dentro e fuori di noi, attraverso una sottile linea di confine di cui è difficile definire lo spessore) è comunque indiscutibilmente tale. Allora scopro la trascendenza a partire dall'immanenza: stando ben saldi e ancorati alla realtà, ci si può distaccare con gioia.
Siamo ritornati alla scuola del dolore, ma siamo analfabeti di ritorno nella sperimentazione della gioia e della "pace".
Per "stare bene" ancora acquistiamo, progettiamo; ma spesso non sappiamo dare un valore intrinseco, una categoria estetica, uno Spirito a ciò che "abbiamo", a ciò che facciamo, a ciò che ci anima o ai nostri dialoghi.
Ogni cosa è effimera e al tempo stesso non lo è.
Qual è la nostra percezione del quotidiano, il nostro rapporto col tempo, con lo spazio? In quale dimensione siamo a volte ottusamente calati, da che cosa siamo appagati?
Oppure: riusciamo ogni tanto a non consumare emozioni, aspettative, per rimanere sempre più sorpresi, poveri, inappagati, e dimentichi di sè . L'atteggiamento potrebbe essere l'affidamento alla grande risorsa che è in noi e che è l'amore.
L'amore che supera tutto, l'amore che è eterno così come viene percepito.
"Siate buoni" ha detto un grande Papa, e in questa frase così semplice sembra esserci un invito a un grande compito, difficile, lungo, doloroso: un impegno costante a dimenticarci di noi e a rivolgerci all'Altro. Se lo sentiamo, il nostro corpo, nelle sue pulsazioni, nella sua pelle, nel suo respiro, ci fa compagnia, ci accompagna verso gli altri e verso il mondo, e ci può aiutare ad accogliere e "com-prendere" tutto quello che è possibile comprendere in questa stanza buia, in cui attraverso gli scuri filtrano sottili raggi di luce.
Nell' "essere buoni", e dimentichi di sè la luce inizia ad essere un po' meno flebile.... Dimenticandosi di sè si fa avanti una differenza.
E' la differenza tra pensare di dover ricevere e pensare di possedere già (nei termini nei quali ci è possibile possedere, cioè transitori e relativi alle circostanze contingenti).
E' nostra solo la capacità di percepire l'attimo presente.
Noi possiamo, potremmo sentire sempre nostro ciò che accade nel momento in cui siamo in relazione. In qualsiasi modo riusciamo ad essere in relazione. Allora il mondo, l'altro, non ci deve niente, non deve far niente per attivare in noi il bene prezioso, quello di esistere. Solo io insieme a....esisto. L'abitudine di frapporre gli altri o qualcuno in particolare tra noi e la vita, (per cui vivere o agli occhi dei quali pensare di dover essere e quindi apparire) distorce la nostra identità, - cioè la nostra vita -, che non è più riposta in quello che di volta in volta pensiamo, percepiamo, decidiamo, scegliamo o subiamo ma è riposta in un ruolo che dovrebbe metterci in grado di stare al mondo, quando invece ce ne allontana tragicamente. Molto diverso è il compito, che ogni uomo per la sua piccola porzione ha e che più spesso si percepisce in solitudine.
Ci aiuta in ciò il nostro arrenderci al male e soprattutto alla nostra fetta di male, di chiusura di angoscia di debolezza di isolamento.
Quando dentro al posto del cuore c'è la mancanza lancinante, o ancor più giù il buco nero, proviamo, ma almeno una volta, a seguire il prezioso consiglio di Madre Teresa: "quanto più hai bisogno, tanto più rivolgi e dona agli altri proprio quello che vorresti fosse dato a te".
Proprio a partire da qui, dalle nostre dannate ombre, ma quanto autentiche, è possibile il riscatto, la libertà.
"Libertà è partecipazione" diceva G. Gaber, un amato cantautore da pochi anni scomparso.
Quando profondamente si è accettato quanto più è possibile, e cioè amato, con vera compassione, allora ci si può liberare anche dalle aspettative di ricevere dagli altri, nei confronti dei quali non c'è più alcun credito da avanzare ma solo il desiderio, che corrisponde a un sincero bisogno, di fondersi con loro e con tutte le creature, di partecipazione. L'identità sfugge scappa scivola tra le mani e rapidamente si trasforma, l'identità è la nostra ricchezza più profonda, e va custodita gelosamente, va protetta, va soprattutto amata perchè è la nostra vita stessa in tutto ciò che siamo stati e siamo. Non va tradita, va solo seguita perchè è mutevole, e spesso anche fragile, o sembra come un nulla, un vuoto, in cui può essere compreso tutto.
E' senza limiti e barriere, e quindi anche grandiosa; piccola e grandiosa, che sono le qualità della vita stessa, perciò sarebbe bene non attaccarsi a nessuna identità ma stare col tutto. Essere una cosa sola col vero.
L'identità è quando potentemente la natura ci invade con le chiome dei suoi alberi, e ci entra dentro, mentre ammiriamo come vola un passero, o mentre sfioriamo con lo sguardo un fiore. E' presente nella bellezza di ogni relazione vera, folgorante.


Carla Piccini


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