Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Home Anno 12° N° 46
Dicembre 2003 Pag. 4° Cristina Allegretti


Cristina Allegretti

 PROFILI 

YEUDI MENUHIN

L'educatore alla musica quale bisogno universale

Musicista, convinto assertore della musica come bisogno universale dell'essere umano, con un linguaggio semplice e quotidiano, è capace di condurci per mano in una dimensione della vita che poco spazio lascia alla "disperazione e all'impotenza".
Egli attinge dalla propria esperienza di musicista riflessioni sulla vita e sulle cause della sofferenza nelle società urbane, non cedendo però spazio alla negatività.
Menuhin ha svolto attività in campo umanitario: ha proposto piani di studi nuovi per incanalare le energie degli studenti delle scuole dove è presente molta violenza e nel 1960 gli fu assegnato il Premio per la Pace Nehru per la Comprensione Internazionale; nel 1997, ha fondato l'Accademia Internazionale della Musica per giovani Laureati come Suonatori di Strumenti a corde a Gstaad (dove si svolge l'annuale Festival Menuhin) ed ha fondato un'organizzazione internazionale che porta la musica a chi non può recarsi ai concerti di persona. Menuhin è deceduto il 12 marzo del 1999.
Egli afferma di vivere fuori da ogni definizione: questa condizione la deve ad una vita dedicata alla musica.
La musica è terapeutica sia per chi la suona sia per chi l'ascolta, è quell'arte privilegiata capace di portare fuori da se stessi chi entra in contatto con essa.
Egli ricorda se stesso quando da bambino suonava con il violino pezzi di Mozart e Bethoveen, prima di aver saputo qualcosa su di loro, e prima di aver vissuto una vita da adulto, poiché ciò non gli impediva di sentire quella musica.
Menuhin è colpito "dalla capacità dei bambini non solo di imparare ma anche di ricordare. Credo che si nasca con una memoria che non si riesce a esprimere verbalmente ma che qualche volta si riesce a esprimere con la musica. C'è una memoria che risale al periodo prima della nascita e poi a questa memoria si continuano ad aggiungere cose, esperienze".
Egli ama "il suo strumento", il violino: ne ama il suono, la forma; suonarlo significa per lui corteggiarlo, trattarlo con rispetto, senza violenza e lasciarlo libero di esprimere le "sue capacità latenti".
Il rapporto intimo col violino gli ha insegnato "l'inutilità di ogni autorità arbitraria e di ogni punizione". Per Menuhin: "La musica fondamentalmente è l'organizzazione delle vibrazioni e del suono prima di una disciplina e poi in un'arte, è incredibile che siamo riusciti a organizzare suoni fino a produrre un'espressione musicale, tutto questo si basa sulla periodicità di certe vibrazioni". L'autore ci fa riflettere sul fatto che nella musica contemporanea si può convivere con la dissonanza: la dissonanza è infatti la parte espressiva, non solo della musica ma anche della vita, essa rappresenta la tensione e non c'è vita senza tensione, in quanto gran parte della melodia non è altro che dissonanze risolvibili. Questo concetto che riprende l'eracliteo: "Ciò che si oppone converge, e dai discordanti bellissima armonia", ci porta a vedere come la musica, le sue regole e le sue variazioni altro non siano che metafore della dinamica della vita.
Nell'associare l'arte all'artigianato, Menuhin non si ferma alla purezza del pensiero che l'arte può rappresentare ma riconosce fondamentale importanza anche all'uso delle mani, ovvero alla dimensione del "fare", dell'essere e quindi del corpo, il che ci riporta a ciò che diceva Anassagora ovvero che l'uomo è il più intelligente degli esseri viventi perché ha le mani.
I lavori artigianali sono indispensabili per l'educazione di ogni essere umano in quanto richiedono un uso delle sensazioni umane capace di accuratezza, di precisione e di perfezione.
Egli considera criticamente come spesso nelle scuole gli allievi vengano giudicati per le loro conoscenze astratte e non per quello che sanno fare, o che hanno da dare come esseri umani.
Dalla sua esperienza di musicista egli riflette sulla società e vede il pubblico come un "paziente molto sensibile, vedo delle persone che soffrono per la mancanza della musica e voglio offrirgliela ma è inutile parlare perché in realtà quando suono sono soprattutto io che ho bisogno della musica più di ogni altro", queste parole a mio avviso sono parole di un "sociologo" attento e saggio che mi fanno ricordare la metafora del "guaritore ferito".
Egli critica argutamente la mancanza di educazione all'ascolto della musica nelle scuole: "i bambini infatti nelle scuole non imparano né il canto né la musica, ciò crea una carenza che crea sofferenza anche se il bambino non sa cosa gli manca perché non sa cosa sia la musica. La musica è una delle necessità principali, ma è anche una specie di purificazione dei sentimenti negativi". Attraverso l'ascolto della musica l'essere umano entra dentro tutti gli stati emotivi: dalla tenerezza alla violenza, dalla compassione alla crudeltà, dall'amore all'odio, dalla tranquillità e dalla serenità alle passioni distruttive e omicide, ma non ha bisogno di viverle di persona, e ciò elimina il desiderio di vivere queste emozioni che sono già state purificate.
"La musica, ovvero il suono che opera all'interno del nostro corpo e del nostro stato coscienziale in un modo singolare", non lo si può vivere se non si conosce il silenzio, "come un pittore non può dipingere che su una tela bianca". Molte persone soffrono per la mancanza di silenzio, la gente è ammassata e viene colpita continuamente da rumori senza senso, "e poi ci si aspetta che le persone possano crescere in questo ambiente sviluppando una personalità con un senso delle proporzioni. La gente continua ad inseguire una soddisfazione temporanea che riduce l'ampiezza del pensiero." Egli distingue il piacere dalla felicità:
il piacere è breve mentre la felicità perdura nel tempo; entrambi sono indispensabili ma pochi conoscono il vero piacere e la vera felicità e spesso si ricercano i surrogati del piacere per scaricare immediatamente le proprie pulsioni senza tensione per poi finire nella disperazione e nella mancanza di fede:
"la maggior parte dell'infelicità deriva da circostanze che producono negli esseri umani: nervosismo, disperazione e mancanza di fede Non ci insegna nessuno a prendersi cura del proprio corpo che è l'unica cosa che si ha, non ci insegna nessuno a essere responsabili per gli altri a interessarci alle esperienze delle culture vicine." "Il corpo e la vita non ci appartengono, ci sono stati affidati affinché ce ne prendiamo cura, per fare tutto ciò che ci è possibile fare".
Eppure, nonostante le difficoltà che nascono dalla mancanza di educazione all'essenziale, Menuhin si stupisce sempre che ci siano ancora tante persone buone, oneste e sane nel mondo: la speranza per l'umanità è quella "dello sviluppo dell'affinamento della percezione, solo il raffinamento e la sottigliezza ci possono redimere dalla bestialità." Per Menuhin tutta l'umanità vive periodi buoni e periodi brutti, dovremmo imparare a sfruttare i periodi buoni per prepararci a ridurre gli effetti di quelli negativi; oggi non ci curiamo della prevenzione: viviamo in modo schizofrenico i due momenti, per poi superficialmente cercare di rimediare alle calamità laddove esse scoppiano nel mondo, senza riflessione, senza storicizzare in modo costruttivo nè il nostro divenire come umanità nè la nostra percezione; così evitiamo o rimuoviamo quell'esercizio alla memoria che ci permetterebbe di vivere anche solo in modo intuitivo al di là dello specifico impegno la musica e quindi la vita.
(Da un'intervista rilasciata a W. Weick)


Cristina Allegretti


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