Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Dicembre 2002 Pag. 9° Cristina Allegretti


Cristina Allegretti

 MITI E LEGGENDE 

IL FANTASMA


"...é l'errore che nasce da se stesso, il terrore paralizzante di quell'inafferrabile non-essere, che non ha forma e divora i limiti del nostro pensiero" (*)

Dal greco phàntasma: "apparizione". Viene spesso indicato come "ombra, spettro, soprannaturale di solito malefico, immaginato dalla fantasia popolare", oppure: "immagine non corrispondente a realtà, simulacro ingannatore, cosa inesistente, illusione, puro prodotto di fantasia." Se con la fantasia si può volare, per quanto riguarda il fantasma, nell'immaginario collettivo, è solo lui a volare e a spaventarci.
In filosofia incontriamo il fantasmatismo: concezione psicologica e gnoseologica secondo cui ciò che viene percepito non è che il fantasma, appunto, della realtà. Proprio come nel mito della caverna di Platone. Vi si può far rientrare anche la dottrina di Democrito nonché di certe scuole moderne che vi sono approdate attraverso una sorta di commistione tra idealismo e sensualismo.
In psicoanalisi fantasma "è un termine freudiano che indica la scena immaginaria in cui il soggetto è presente come protagonista e come osservatore, in cui si realizza l'appagamento dei suoi desideri inconsci". Intimamente collegato al desiderio (Freud parla di fantasma di desiderio) e al contempo al suo opposto (il divieto), il fantasma è il luogo di processi difensivi per lo più primitivi, come la proiezione e la conversione nell'opposto.
La dimensione del fantasma è il luogo del rischio mortale che corrono i grandi sogni dell'umanità, quando essa, non riuscendo ad affidarsi a se stessa, preferisce brancolare nel buio della propria istintualità conservativa.
Il fantasma è una metafora che l'uomo ha creato con la sua fantasia per evocare realtà interiori e soprasensibili, dove il gioco tra realtà e apparenza tocca corde profondissime che coinvolgono il senso dell'esistenza e la mancanza di sicurezze.
Laudisi in "Così è se vi pare" di Luigi Pirandello, parlando con la propria immagine riflessa allo specchio, si dice:
"Il guaio è che, come ti vedo io, non ti vedono gli altri! E allora, caro mio, che diventi tu? Dico per me che, qua di fronte a te, mi vedo e mi tocco _ tu, per come ti vedono gli altri _ chi diventi? _ Un fantasma, caro, un fantasma! _ Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa." Il fantasma ci rimanda al nostro perderci dentro l'abisso delle nostre singole vite, smarrendo la percezione universale e facendo del frammento il tutto e del tutto un incubo notturno.
Il fantasma è l'invisibile consapevole di sè e della propria invisibilità; simboleggia, a mio avviso, i diversi livelli in cui l'uomo può vivere la propria esistenza e l'impossibilità di trovarsi con l'altro nella relazione contemporaneamente allo stesso livello o nello stesso registro concreto, simbolico, metasimbolico. Il fantasma interessa dunque la relazione, ha a che fare con la proiezione ed interessa l'orizzonte clinico, quello psicologico e quello spirituale.
Dal punto di vista spirituale il fantasma è lo spirito negato quale realtà esistente; diventando l'Ombra di se stesso, ci spaventa ma non lo vediamo. A questo proposito riportiamo il discorso dell'inconscio:
La sognatrice è con altre persone con cui lavora analiticamente, incontrano un cane lupo che fa loro da guida e che li porta in un bosco dove ci sono gli spiriti delle stesse persone pronti ad incontrarsi.
La sognatrice e i compagni non vedono i loro spiriti e passano oltre.
L'uomo che non si riconosca anche spirito rende se stesso un fantasma ai propri occhi.
Dal punto di vista psicologico il fantasma è ciò che la nostra mente crea; è l'incoscienza della ragione, sono i pensieri senza realtà che ci portano via dalla vita.
Da un punto di vista clinico, il sentirsi un fantasma produce l'urlo di dolore che esce dalla bocca di chi viene investito dal vissuto psicotico: è la frantumazione del soggetto come persona, è la sua morte, è l'irrealtà di tutta l'esistenza.
In tutti e tre i livelli il fantasma simboleggia qualcosa di negativo in quanto non ha uno statuto di realtà e in ciò è ingannevole, ciò spaventa proprio perché mette in crisi il nostro bisogno di certezze sensibili.
Spaventa simbolicamente perché denuncia il rischio di ogni novità coscienziale che non siamo disposti ad accogliere.
E' ciò che ci perseguita, è l'ombra che trova nell'irreale il suo dominio per farsi ascoltare.
Il fantasma rimanda al sonno della ragione dogmatica che Goya, nelle sue incisioni, ha così bene colto: esso domina quel momento psicologico in cui, nella nostra mente, galoppano fantasie sul reale che denunciano la nostra assenza.
Il fantasma ci richiede un gesto concreto per sparire, per non inseguirci più, ci richiede di non scindere, di passare ad altra logica rispetto a quella "naturale", come suggeriscono i sogni già da tanto tempo; come pure le usanze primitive australiane ricordate da Freud, in cui i vincitori avevano cura di chiedere scusa al morto, da loro ucciso, per non essere inseguiti dal suo spettro.
Jung ci fa notare come l'atteggiamento di tranquilla curiosità di Faust davanti ai fantasmi antichi della Notte di Valpurga sia dovuto all'aiuto di Mefistofele, simbolo dell'intelletto, considerato dunque come il male e come il "figlio del caos".
Sappiamo che l'intelletto "separato", ossia l'intelletto che perda il contatto con l'inconscio si vota all'impotenza, allo "sradicamento" del pensiero e dunque all'atteggiamento di sfiducia verso se stesso in quanto percepisce, a un qualche livello, un anello mancante nella relazione con la "realtà" sicché non si fa mai persuaso delle sue attività e relega se stesso nel fantasmatismo.
Il fantasma è anche, a mio avviso, l'espediente attraverso cui l'inconscio non ci permette di dimenticare la scissione che nel nostro quotidiano operiamo tra la vita e la morte.
Già nell'Alto Medio Evo, la Chiesa si preoccupava della credenza secondo cui i morti possono tornare al mondo per visitare i loro parenti; i padri della Chiesa reputano le credenze popolari sull'opposizionismo degli spiriti sopravvivenze del paganesimo.
Anche S. Agostino sbarra la strada, da un punto di vista cristiano, ai fantasmi.
Il fantasma nella letteratura ha spesso segnalato un disagio esistenziale dell'umanità; da Goethe a Pirandello il fantasma è stato spesso un soggetto affascinante per la letteratura dell'orrore, per le storie del terrore; oggi la paura del fantasma viene esorcizzata deridendolo in film come "Gostbuster", addolcendolo in film come "Casper", o rendendocelo romantico in film come "Gost".
In Amleto il fantasma del padre, chiedendo vendetta per la propria morte, dà coraggio alla follia del cuore di Amleto.
Il fantasma ci rimanda alla domanda esistenziale per eccellenza che nella filosofia antica coinvolgeva l'essere e nella modernità l'uomo: essere o non essere? Questo è il problema, o questo è il problema di un'umanità fantasma che non sa?
Nel Golem di Meyrink il protagonista rifiuta l'iniziazione respingendo dal fantasma i grani perché lo riconosce fantasma.
Ma che differenza c'è tra il fantasma e lo spirito? Forse il dramma del fantasma è che appare anche se non esiste; il dramma dello spirito è di non essere visto pur esistendo.
L'uomo non può fare a meno di recuperare una dimensione soprannaturale, (senza limiti, misteriosa ma consapevole) dimensione a cui il fantasma rimanda denunciando i limiti della propria.

(*) Gustav Meyrink - Il Golem


Cristina Allegretti


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