Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Dicembre 2001 Pag. 8° Ada Cortese


Ada Cortese

 TEORIA 

LA STRUTTURA LINGUISTICA DELL'INCONSCIO

Omaggio a J. Lacan nel centenario della sua nascita
“Il bambino castrato, e cioè, separato dalla madre, dall'interdetto, deve rinunciare all'onnipotenza del suo desiderio e accettare la Legge che è limitazione, accettazione della privazione. Il bambino, con il suo accesso al Nome-del-Padre, dà un nome al suo desiderio (fallo), ma a costo di alienarlo. Infatti, il fallo, che è il vero oggetto del suo desiderio, viene respinto nell'inconscio. E' la rimozione originaria che, come sappiamo, determina l'accesso al linguaggio”

Le teorie di Lacan
Si basano sulle scoperte dell’antropologia strutturale di C. Levi-Strauss e sugli studi della linguistica di F. de Saussure.
Secondo Lacan è la struttura simbolica nel linguaggio (la parola non è la cosa) che, imponendosi al bambino, già prima che egli entri nel mondo del simbolico, come un qualcosa di preesistente, rappresenta l’unico modo in cui il bambino può venire a contatto con se stesso e poi con gli altri. In altri termini, secondo Lacan, l’ordine del simbolico non è un qualcosa che sta semplicemente all’esterno di noi, ma è anche dentro di noi: una forma di linguaggio primario s’inscrive in noi fin dalla nascita; nel nostro inconscio il simbolo è presente come contenuto e come meccanismo.
Lacan applica il modello linguistico alla struttura psichica, in particolare egli vede la struttura dell’inconscio come identica a quella del linguaggio: esso sarebbe una rete di significanti che, a mano a mano che il tempo passa, aumentano e si strutturano sempre di più. In questo modo il vissuto interiore che il soggetto vorrebbe comunicare agli altri sarà filtrato dai significanti interiorizzati e questa mediazione lo allontanerà sempre di più dalla sua verità immediatamente vissuta. Ciò sarà tanto più vero quanto più, di significante in significante, la verità fondamentale si allontanerà dal soggetto che tenderà ad identificarsi sempre più con il mero significante conscio (meccanismo dell’alienazione) o, in altri termini, con l’enunciato.

Enunciato ed enunciazione
Enunciato è, per Lacan , il messaggio nel discorso, ciò che viene effettivamente proferito. L’enunciazione resta invece nascosta in altro luogo rispetto all’Io: “Si apre così la strada alle lusinghe ed alle menzogne del discorso. Pertanto l’enunciato non dovrà mai essere preso in quanto tale ma come enigma, un rebus dentro cui il soggetto si nasconde” (Ecrits).
Secondo Lacan l’enunciazione, che rimane implicita, è il punto di partenza di una catena simbolica che di significante in significante inconscio porterebbe all’autentico soggetto.
Laddove, dunque, i linguisti opererebbero una unione funzionale tra enunciato ed enunciazione, attraverso gli “embrayeurs”, ossia i pronomi di prima e di seconda persona (che designano il soggetto dell’enunciazione ma non lo significano), Lacan opera una scissione per la sua concezione del linguaggio come possibile fonte di menzogna.

Immaginario e Simbolico
La simbolizzazione ed il linguaggio rappresentano dunque il tema centrale nel pensiero di Lacan, il quale in esso vede l’unico mezzo per pervenire alla conoscenza di noi stessi ma, contemporaneamente ed inevitabilmente, un forte strumento d’alienazione.
Egli intravvede quest’arma a doppio taglio che è esattamente il simbolo, attivo fin dalla primissima infanzia e precisamente in quella fase che ha definito come lo “stadio dello specchio”.
E’ proprio nell’analisi di tale stadio che Lacan dimostra come sia già operante nel piccolo la legge del simbolo, pur essendone egli ancora fuori (vi entrerà con “l’Edipo”). Il bambino riconosce l’immagine che vede riflessa nello specchio come propria, iniziando così il “processo d’identificazione”. Secondo Lacan tale identificazione primaria, rappresenta la matrice di tutte le successive identificazioni; in questa fase, essa è ovviamente solo “duale”, ossia ridotta al corpo e all’immagine. Essa è, poi, per Lacan, “narcisistica” e “immaginaria” perché il bambino si serve della sua immagine, e quindi di un falso sé, al fine di pervenire al riconoscimento di se stesso.
Ecco dunque che già ai primordi della sua vita, l’uomo deve alienarsi se vuole scoprirsi. E’ ovvio che qui non si tratta della stessa alienazione che si riscontra nel mondo del simbolico, poiché il bambino è ancora assoggettato completamente alla sua immagine, anche se vedremo come, per Lacan, nel mondo dell’adulto troppo spesso prevale un tipo di processo immaginario su quello simbolico (eccessiva alienazione dell’uomo moderno).
Secondo Lacan il bambino desidera inizialmente essere il complemento di sua madre e cioè il fallo, ovvero desidera essere il desiderio di sua madre, ciò che la madre desidererebbe. Ciò perché, strettamente legata al fenomeno della nascita, è la sensazione del bambino della “mancanza a essere”: non è più nella madre, non è più “uno” con lei; il neonato manca di complemento anatomico.
La pulsione è allora energia non solo sessuale ma rappresenta il mezzo attraverso cui il bambino ricerca il ricongiungimento con la madre. Il suo desiderio è desiderio di unità con la madre.
Nella fase edipica la frustrazione di questo primitivo desiderio, causata dalla Legge del Padre, provoca l’ingresso nel simbolico, nel linguaggio, attraverso la “domanda”.
Nella primaria relazione diadica prevalgono la non distinzione, l’identificazione narcisistica, l’alienazione.
Secondo Lacan, lo stadio dello specchio rappresenta il primo stadio dell’Edipo.
Il secondo stadio sopraggiunge quando l’intervento del padre provoca il forzato distacco dalla madre e l’accettazione della Legge del Padre; nel terzo stadio, conclusivo dell’Edipo, il bambino s’identifica col padre ed è in questa fase che egli, appropriandosi del linguaggio e della Legge tramite il padre, entra nel simbolico.
Se la madre intralcia il padre ed il piccolo rifiuta la legge paterna, questi rimane nell’immaginario, ossia nel completo assoggettamento alla madre.
Il bambino che si identifica con il padre incorpora la legge ed incorpora ciò che il padre possiede e ciò che lui stesso vuole avere: l’oggetto del suo desiderio: il fallo.
Occorre precisare che per Lacan , fallo non è sesso biologico ma “metafora paterna”, un significato inconscio.
In altri termini, si può dire che la fase dell’immaginario coincide con la fase del “processo primario”, mentre la fase dell’identificazione con la Legge coincide con il “processo secondario”.
Secondo Lacan tutti i successivi desideri nascondono il contenuto del primissimo desiderio, il quale non è soprattutto desiderio del piacere, come per Freud, ma bisogno organico e precisamente desiderio di colmare la “mancanza a essere” (vuoto o “béance”) conseguente alla separazione dalla madre.
Ciò che Lacan chiama desiderio di essere il fallo della madre altro non è che desiderio di unità con la madre. Ma non potendo essere soddisfatto questo desiderio si riporterà successivamente su dei sostituti materni.
Con l’accesso all’ordine simbolico del linguaggio, il desiderio primario, sotto mentite spoglie, si esprime nella “domanda”. Ciò che il bambino, e poi l’adulto, chiede, è di essere riconosciuto come il desiderio dell’altro. Il desiderio dell’uomo è che l’altro lo desideri “…vuol essere ciò che manca all’altro, essere la causa del desiderio dell’altro” ... Il desiderio primario di completare la figura materna diventa ora desiderio di completare l’altro.
Col passaggio dall’immaginario al simbolico, ossia dall’ “essere” (il fallo della madre) all’ “avere” (il desiderio sostitutivo), inizia il processo di costituzione dell’Io e quindi la scissione, la “Spaltung” del soggetto nella sua struttura psichica che è dovuta essenzialmente al rapporto che il soggetto vive con il significante.
Per Lacan, che si rifà, a Ferdinand de Saussure, significante è la parte percettibile, udibile, mentre significato è la parte invisibile, “concettuale”.
Mentre da un punto di vista linguistico è il significato che prevale sul significante, in psicoanalisi Lacan instaura la predominanza del secondo: il significante diviene il modo individuale di ricercare, in un ordine simbolico istituzionalizzato, il possesso del significato primario: l’unità con la madre, e la catena dei significanti riporta al significato primario ed inconscio ossia al fallo come espressione dell’assenza, della “mancanza ad essere”.

“Je” e “Moi”
L’accesso al mondo simbolico, si diceva, comporta la strutturazione dell’Io (“Moi”), ossia la capacità di percepire se stessi attraverso il simbolo: l’Io è quindi la rappresentazione nel simbolico del soggetto (il “moi”, il nome proprio, etc.) che in essa si oggettivizza. Lacan chiama questa scissione “fente” (sconnessione): “La fente consiste precisamente in questo, che il soggetto è rappresentato nell’ordine simbolico e nello stesso tempo escluso da esso” . Essa si pone cioè tra la “maschera” conscia ed il soggetto autentico confinato nell’inconscio. Ciò che però può spaventare non è tanto la “fente” quanto la “refente” (risconnessione): infatti è con essa che Lacan indica la pietrificazione del soggetto nel suo rappresentarsi. Il soggetto, così irrigiditosi nei suoi ruoli, s’identifica con le varie maschere.
Così egli entra nel mondo del simbolico con una serie di identificazioni immaginarie (concretistiche: il bambino si perde nell’immagine dello specchio e non ritorna più a se stesso!). L’Io non è più quindi un significante in quanto perde di vista ciò che lo fa significare e si pone esso stesso come significato.
Il soggetto alienato entra così in contatto con gli oggetti (Altro) in una relazione immaginaria poiché s’identifica con la rappresentazione di se stesso (l’Io - Moi) e non s’accorge che questa rappresentazione è determinata e costituita dall’Altro assoluto dell’ordine simbolico.
L’Altro fa parte del nostro inconscio, anzi Lacan definisce quest’ultimo come “il discorso dell’Altro” ossia il desiderio simbolizzato dell’Altro che è poi il nostro desiderio primario.
Se il soggetto accede al linguaggio secondo il regime simbolico, egli sarà padrone di sé, “normale”, avrà la verità di se stesso perché avrà “la parola piena, liberatrice” (Fages). Sarà facile, in questo caso, ritrovare nell’inconscio di questo soggetto il significato primario proprio perché esso è strettamente legato alla parola liberatrice che realizza il desiderio primario di fusione con l’Altro.
Diversamente il soggetto che entra nel mondo del linguaggio secondo il regime dell’immaginazione, cioè della confusione tra Io e soggetto, identificandosi completamente con il proprio Io e assorbendo l’oggettività del linguaggio parlato come realtà, si allontana dalla sua essenza, cioè si aliena.
Per spiegare il processo dell’ alienazione in termini psicologici, Lacan ricorre opportunamente alla dialettica hegeliana del Padrone e del Servo espressa nella “Fenomenologia dello Spirito”.
Lacan vede il servo nell’uomo alienato che s’identifica col solo “Io” (Moi) formale, rappresentativo (l’oggetto indipendente) e trasferisce la dialettica della coscienza di sé nel desiderio: “il desiderio dell’uomo trova il suo senso nel desiderio dell’Altro”. Solo nella misura in cui il soggetto non si perde nel “Moi” è possibile al desiderio (e quindi alla vera coscienza di sé) di fusione con gli altri, di realizzarsi in quanto questo desiderio non è stato sotterrato troppo a fondo.

Metafora e Metonimia
Secondo Lacan il linguaggio inconscio non ha niente in comune con il linguaggio conscio. Manca di distinzione tra significante e significato ed i suoi termini possono trasferire la loro energia su altri per “spostamento” (metonimia) o per condensazione (metafora).
Metonimia è il processo attraverso cui si capovolgono le sequenze: l’effetto prende il posto della causa, il contenuto quello del contenente, il tutto quello della parte. Come ebbe già a dire Jakobson, la metonimia indica una sostituzione di significanti tra loro contigui, così si dice “bere un bicchiere” (contenente) anziché dire “bere l’acqua” (contenuto).
Secondo Lacan l’interpretazione psicoanalitica della metonimia sta in questo: è la mancanza a essere o bisogno del soggetto che porta costui, nel rapporto con l’oggetto, a travalicare il significante parziale con un altro significante; in altre parole è il desiderio di colmare la mancanza che richiama ai significati associati, complementari.
Nel processo metonimico, attraverso la concatenazione dei significanti, si dovrebbe pervenire al bisogno primario: fondersi con la madre.
Metafora è invece il “processo attraverso il quale si trasforma la significazione propria di un termine in un’altra significazione che gli si adatta solo in virtù di un paragone sottinteso”. Essa è la sostituzione di un significante ad un primo significante che così diventa significato, ma che, però, a livello latente può costituire ancora un significante. Non si tratta quindi di una sostituzione totale. Per esempio metafora è il significante “leone” per dire “uomo coraggioso” (S/s). L’importanza della metafora si rivela, secondo Lacan, quando, tramite essa, il “senso” assume le apparenze del “non-senso”, ossia quando il nuovo significante non richiama più il significato antico. A questo punto è necessario scavare nell’inconscio per recuperare tale significato e per potere comprendere alfine il discorso del soggetto.
E’ evidente in Lacan il richiamo a Freud, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio così come quest’ultimo lo analizzava attraverso l’interpretazione dei sogni (linguaggio primitivo): è Freud che ha scoperto il processo delle condensazioni e delle sostituzioni nonché il processo degli spostamenti-combinazioni corrispondenti, appunto, alla metafora ed alla metonimia lacaniana. E ciò anche se Freud non esplicitò mai l'interesse per il rapporto tra psicoanalisi e linguaggio.

Nevrosi e Psicosi
Il nevrotico, secondo Lacan, è penetrato nel mondo del simbolico ma è uno che ha perduto “il senso delle articolazioni tra significanti” (Fages) ed il sintomo “diventa il significante di un significato rimosso dalla coscienza del soggetto”.
Per la guarigione è necessario poter ricostruire le catene associative, fino a poter raggiungere la verità dell’inconscio.
Diversamente dal nevrotico, che ha acquisito l’uso del simbolo, lo psicotico rifiuta e cancella ciò che ha vissuto. Così, mentre associa la nevrosi al processo della rimozione, Lacan associa la psicosi al processo della forclusione: per darne un’idea si può immaginare la nevrosi come uno strappo in una stoffa mentre la psicosi e la forclusione sarebbero un buco originale nella stoffa : lo psicotico non struttura simbolicamente l’esperienza proprio perché egli non distingue chiaramente il significante dal significato. Nel caso dello schizofrenico ogni significante, ogni simbolo può in mille modi riportare allo stesso significato.

Parola vuota, parola piena
Lacan ritrova tutta l’essenza alienatrice del linguaggio inteso come ciò che lui chiama “parola vuota” nella condizione del soggetto sottoposto ad analisi.
Poiché è la parola il medium della psicoanalisi, ne deriva che il paziente deve elaborare un discorso su se stesso: in tale opera egli si immerge riponendo le spinte più narcisistiche, seducenti e compiaciute nella ricerca strenua della “risposta” dell’Altro e cioè dell’Analista.
Il paziente inizia l’introspezione aspettandosi grandi cose ed un felice stupore negli occhi dell’analista che lo scopre. Egli s’impegna nel suo discorso “in uno spossessamento sempre maggiore di quel certo suo essere, per cui, a forza di descrizioni sincere che ne lasciano l’idea non meno incoerente, di rettificazioni che non riescono ad isolarne l’essenza, di puntelli e di difese che non impediscono alla sua statua di vacillare, di strette narcisistiche che si estenuano per animarla del loro soffio, finisce per riconoscere che questo essere non è mai stato altro che la sua opera nell’immaginario e che quest’opera delude in lui ogni certezza.
Giacchè in questo lavoro che egli fa del ricostituirla per un altro, ritrova l’alienazione fondamentale che gliel’ha fatta costruire come un’altra, e che l’ha sempre destinata ad essergli sottratta da un altro” .
L’Io, quindi, in quanto rappresentazione di se stessi è, per Lacan, nella sua essenza, frustrazione, ma frustrazione non di un desiderio ma di un oggetto (il discorso frustrato del “Moi”) in cui il desiderio si è alienato.
L’alienazione del desiderio aumenta quanto più esso si elabora nell’oggetto frustrato (il discorso dell’Io): “Per questo non vi è risposta adeguata a tale discorso, in quanto il soggetto considererà come dispregio ogni parola che s’addentri nel suo inganno”.

L’alienazione inevitabile
Secondo Lacan l’alienazione del soggetto nell’analisi è inevitabile: infatti anche qualora non parlasse di sé come di una terza persona (il “Moi”), anche se egli si ponesse in un ruolo di pura passività e cercasse di somigliarsi, quanto più possibile, nella sua inattività, così come si somiglia e si rivede uguale nell’immagine allo specchio, pure egli non riuscirebbe a soddisfarsene, proprio perché sarebbe ancora attraverso il suo Altro (la sua immagine rispecchiata) che entrerebbe in contatto con l’analista.
Egli si sentirà come lo Schiavo frustrato dal prodotto del suo stesso lavoro proprio perché tale prodotto gli viene sottratto dall’altro, e svilupperà l’aggressività che si esprime, nelle sedute, con le resistenze. Proprio perché queste emergano in modo più chiaro è necessario che l’analista assuma la parte del “morto”, egli deve, cioè, rifiutare al paziente la risposta gratificante, in modo che l’aggressività possa emergere e con essa, una forma temporanea di regressione che faciliterà, indietreggiando di significante in significante, “l’attualizzazione nel discorso delle relazioni fantasmatiche restituite da un ego ad ogni tappa della decomposizione della sua struttura” per pervenire così al significante primario.
La sensibilità dell’analista si rivela nella sua capacità di comprendere i termini significativi espliciti ed impliciti che pure emergono dal discorso dell’analizzato e che costituiscono i punti di partenza dell’analisi vera e propria.
Secondo Lacan il problema fondamentale è di scoprire il rapporto nel soggetto tra la parola ed il linguaggio. Lacan, infatti, distingue tra loro questi due termini.

Linguaggio e Comunicazione
Il linguaggio è fattore simbolico strumentale che però diventa fine a se stesso quando il senso del soggetto si perde nelle oggettivazioni del discorso. E’ questa, secondo Lacan, l’alienazione prevalente del mondo occidentale: “L’Io dell’uomo moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica dell’anima bella che non riconosce la ragione stessa del suo essere nel disordine che essa denuncia al mondo” . Lacan quindi denuncia la falsa comunicazione che viene realizzata in Occidente, ed è per questo che rifiuta la teoria della relazione interpersonale dei Neofreudiani che non mettono in discussione questa falsa comunicazione, la quale, anzi, diventa il loro obiettivo. In questo senso, Lacan li denuncia come i riduzionisti della psicoanalisi a strumento di adattamento sociale. L’Ego che i Neofreudiani vorrebbero rafforzare costituisce per Lacan “una vera e propria aberrazione”.
Diversa dal linguaggio oggettivante è la parola “piena”: con essa Lacan indica il vero e proprio feed-back per cui la parola, trasformandosi in evocazione (del desiderio primario), diventa risposta alle “domande” reciproche.
In altre parole, mentre il linguaggio media, la parola, in questa sede, è immediatezza, è linguaggio interiore condiviso (“parlare lo stesso linguaggio”). E poiché il discorso del paziente analizzato ricerca una risposta, ecco che emerge chiaramente la responsabilità dell’analista che interviene con le parole nel corso dell’analisi, parola che può essere avvertita dal paziente come suo riconoscimento o come sua abolizione. La parola può essere avvertita come corpo: Lacan porta l’esempio dei nevrotici “Le parole sono prese in tutte le immagini corporee che imprigionano il soggetto; possono ingravidare l’isterica, possono rappresentare l’escremento ritenuto del godimento avaro”: i soggetti che s’identificano con l’Io parlato, vivono le parole come fatti che possono ferire il loro Io, ossia se stessi. “E’ dunque sempre nel rapporto fra l’Io (Moi) del soggetto con l’Io (Je) del suo discorso che dovete comprendere il senso del discorso del disalienare il soggetto. Ma non saprete riuscirvi se vi atterrete all’idea che l’Io del soggetto è identico alla presenza che vi parla”.

Contestazione
La costruzione lacaniana, notevole per una comprensione degli effetti del linguaggio nel nostro psichismo, appare estremamente deficitaria sul piano degli scopi pratici a cui perviene l’analista che se li ponga come punto di riferimento. Unico interesse di Lacan è infatti non tanto quello di riportare il soggetto a vedere la realtà, quanto di rimetterlo in relazione con la struttura simbolica del linguaggio e del concetto. Lacan si rifà al concetto idealista di Hegel per cui tutto ciò che è reale è razionale, e da ciò deduce che “spetta al soggetto ritrovare la sua misura”.
E’ quindi il raggiungimento della parola piena che interessa e propugna Lacan; ma è ciò realmente possibile? Fages, “interprete” di Lacan, sostiene di no: poiché il simbolo si frappone sempre tra soggetto e soggetto (il simbolo nasce, secondo Lacan, dalla morte della cosa), poiché il soggetto è necessariamente decentrato, poiché la sua “coscienza di sé” è “altrove, nel discorso”, il soggetto si troverebbe condannato a restare nella “mancanza-a-essere”. Fages ha forse ragione anche se dimentica il riferimento lacaniano alla parola condivisa come parola interiore, alla parola piena come parola capace di sgusciare via dai limiti e dagli spigoli della parola parlata, ovvero dalle leggi della semantica (nella misura in cui i due soggetti dialoganti e desideranti, ritornassero al simbolo, allora e solo allora sarebbe possibile, nella relazione e nella presenza consapevolmente unisona, la parola liberatrice).
Quale è il limite? Non ho spazio sicchè tento un pensiero evocatore: Lacan forse non ha colto le conseguenze della sua affermazione secondo cui l'inconscio è il Soggetto. Se così è, in esso (in Lui) è la soggettività comune e universale. Se così è, cambierebbe il linguaggio di Lacan il quale, anzichè riconfermare la fente tra il ruolo di analista (conoscente) e quello di analizzato (conosciuto), introdurrebbe il terzo, il gerundio analizzando, fedele significante del lavoro in corso (di dis-alienazione) che è il lavoro analitico.

Bibliografia J. Lacan “La cosa freudiana e altri scritti ” Einaudi ’72 J. Lacan “Scritti” Einaudi ’72 J.B.Fages “Cosa ha veramente detto Lacan” Ed. Ubaldini Julien Philippe “Pour lire Jacques Lacan” Ed. du Seuil


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