Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Settembre 2000 Pag. 5° Mario Mencarini
 SCHEDE 

"NON MUOVE FOGLIA CHE DIO NON VOGLIA"

La visione di quanto e di come le cose accadono, senza alcuna necessità di credersi onnipotenti: pura visione, pura consapevolezza di ciò che é, di volta in volta.

Eravamo andati a trovare una amica che si trovava all'ospedale. Fra le altre cose la donna ci diceva: "Attendo il risultato delle analisi, poi dovrò decidere cosa fare: dove e come curarmi".
Al ritorno non abbiamo potuto fare a meno di ritornare su quella espressione così abituale che, molto spesso, ci capita di sentir pronunciare da altri o da noi stessi:
"Devo decidere cosa fare". Pensavamo appunto all'autoinganno con cui l'Io si illude di poter avere voce in capitolo su quanto deve accadere. Anche oggi, per esempio, abbiamo deciso di metter per iscritto queste riflessioni, per poi inviarle a "Individuazione".
Ma, nonostante che noi abbiamo deciso, occorre ben altro perché tutto questo avvenga.
Occorre, per esempio, che il computer non faccia le bizze, oppure che qualche improvviso accadimento non ci distolga, oppure ancora che il discorso fluisca da noi in modo piano e scorrevole.
Insomma, noi crediamo di aver deciso ma, in realtà, le cose andranno avanti secondo una autonoma e, per certi aspetti, imperscrutabile modalità. Il nostro Io, e qui ci riferiamo soprattutto alla mentalità occidentale legata alla estroversione della coscienza, fa una grande fatica a non pensare di essere onnipotente.
Anzi, ci sembra di poter affermare che l'Io non può che pensarsi come onnipotente, pena il cadere nell'atteggiamento diametralmente opposto: la totale impotenza e il conseguente sbocco depressivo.
Questo accade perché l'Io, cioè la struttura psicobiologica dove noi poniamo la nostra identità, costituisce una oggettivazione che noi stessi compiamo nel consapevolizzarci di noi stessi.
Quando noi guardiamo a noi stessi per poterci conoscere, stante il nostro sistema conoscitivo oggettivante, che si fonda sulla rigida separazione fra il soggetto e l'oggetto, poniamo fuori di noi parti di noi per poterle conoscere, ma nel far ciò le "oggettiviamo": paradossalmente più ci conosciamo più ci oggettiviamo.
In altre parole, noi crediamo di essere un certo insieme di "oggetti"; che questi "oggetti" siano certe memorie più o meno piacevoli, certe parti del corpo più o meno belle, certi sentimenti come certe opinioni, un certo lavoro come una certa età, financo un certo sesso, non ha poi una grande importanza; ciò che importa è che tutte queste "certe cose" che noi crediamo di essere, proprio perché lo crediamo finiamo per esserle, e diventando una certa persona (ponendo cioè l'identità in un certo insieme di attributi e di funzioni), finiamo per essere una persona "particolare", ed acquistiamo senso e significatività, cioè universalità, soltanto negando senso e significatività a tutto ciò che non è quella certa persona che noi siamo: tutto ciò che, appunto, costituisce il non-Io.
In questo modo la struttura paranoica dell'Io è sempre pronta ad emergere.
Una parte dell'umanità, composta di persone prevalentemente dotate di una coscienza introvertita, avvedutasi che ogni atto conoscitivo e, di conseguenza anche autoconoscitivo, comporta inevitabilmente una progressiva oggettivazione del soggetto conoscente, ha tentato di risolvere il problema astenendosi il più possibile all'atto conoscitivo, che è poi il "porre sé fuori di sé".
Non ponendo niente fuori non mi oggettivo ma, altrettanto sicuramente, rimango un soggetto potenziale e non un soggetto in atto.
In questo caso è come se una persona, compreso che i processi di ossidoriduzione legati alla respirazione ed alla alimentazione sprigionano sostanze inquinanti per l'organismo, smettesse di respirare e di mangiare per non avvelenarsi.
Morirebbe subito ma ancora "pulita" invece che dopo ma "intossicata".
Che questa soluzione non ci appaia convincente è abbastanza palese.
Oltretutto, è proprio dalla strada percorsa dalla coscienza estrovertita, cioè da quella che si è misurata con il "lavoro sporco" dell'atto conoscitivo che sembra scaturire la via d'uscita da quello che, a prima vista, appare come un dilemma irrisolvibile.
Infatti, continuando parte dell'umanità a "porre sé fuori di sé", è avvenuto che ad esser messa fuori, e quindi oggettivata, sia toccato alla stessa struttura conoscitiva che produceva le successive e progressive oggettivazioni.
Un po' come se a forza di guardare ci uscissero gli occhi fuori dalle orbite.
Ma quando l'occhio ha messo se stesso fuori di sé, l'occhio, che fino ad allora continuava a guardare inconsapevole di se stesso, è improvvisamente, vedendosi, divenuto consapevole di sé.
L'occhio, cioè la soggettività, che fino ad allora si identificava nelle sue oggettivazioni, si è dunque finalmente identificato in se stesso.
In altri termini: l'Io, cioè la mia identità, non coincide più con le "cose" che sono, dico, faccio; la mia identità risiede invece nella "presenza" a ciò che sono, dico, faccio.
Questa identità nuova che, appunto perché nuova non possiamo continuare a chiamare Io ma chiameremo Presenza, non essendo più il frutto di un processo di oggettivazione, costituisce finalmente una vera identità soggettiva.
Tale Presenza si costituisce come visione di quanto e di come le cose accadono, senza alcuna necessità di credersi onnipotente: pura visione, pura consapevolezza di ciò che é, di volta in volta.
Val la pena di aggiungere che, naturalmente, tutto ciò non si traduce affatto in rassegnazione fatalistica del tipo: poiché tutto è scritto - "non muove foglia che Dio non voglia"- non occorre che muova foglia.
Infatti questa Presenza, che attraverso il lavoro di una piccola fetta di umanità sta sperimentando i primi passi nel mondo, non oggettivando più se stessa non oggettiva neanche la propria universalità.
La dimensione universale del soggetto, che il vecchio Io continuava a proiettare fuori di sé, oggettivandola nelle progressive immagini di Dio, è allora recuperata all'interno della Presenza. Per cui sia Dio, sia la foglia, per così dire, coabitano adesso nella Presenza.
A chi ci domanda come si traduca nella prassi questa nuova ed insolita coabitazione siamo soliti rispondere: "Vai a letto sapendo di aver fatto i tuoi compiti, ma, al tempo stesso, metti già nel conto qualsiasi esito per l'esame del giorno dopo".


Mario Mencarini - Giorgia Moretti


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