Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Dicembre 1999 | Pag. 13° | Maria Campolo |
SCHEDE ESSERE E DOVER ESSERE
Ciò che è reale è razionale; e ciò che è razionale è reale,
La critica che Hegel muove a Kant è quella di promuovere una ulteriore scissione tra ragione e realtà, tra il dover essere e l'essere. Secondo il pensiero kantiano, le idee della ragione sono solo ideali, regole che impegnano e che spingono l'uomo alla ricerca del sapere all'infinito, ma tale ricerca, come sappiamo, non condurrà mai nè ad una sistematizzazione nè ad una compiutezza data l'incompiutezza e la finitezza umana.
Nel campo della morale si ripropone nuovamente questa antinomia: la volontà, non coincidendo con la ragione, non raggiunge mai la "santità" (che è il termine del progresso all'infinito) poichè questa, nella sua attualità, è propria solo di Dio. Detto in altri termini, l'essere non si adegua mai al "dover essere", che è una meta che sempre si prefigge ma mai raggiunge.
Di tutt'altro avviso è Hegel per il quale questa "adeguazione" è invece necessità dell'essere. Egli sostiene che separare la realtà dal razionale significa vedere nelle idee e negli ideali nient'altro che chimere, fantasie cerebrali, il che equivarrebbe a dire che le idee o sono qualcosa di troppo eccellente per avere realtà o di troppo impotente per riuscire ad edificarla.
"La separazione della realtà dall'idea è specialmente cara all'intelletto, che tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunchè di verace ed è tutto gonfio del suo dover essere,... quasi che il mondo avesse aspettato quei dettami per apprendere come deve essere e non è, chè, se poi fosse come deve essere, dove se ne andrebbe la saccenteria di quel dover essere?".
La filosofia deve dunque occuparsi di ciò che è. Hegel si dichiara in accordo con l'empirismo nel principio che ciò che è vero dev'essere nella realtà e che non può ridursi ad un puro "dover essere" che consenta di assumere degli atteggiamenti sprezzanti verso ciò che è reale e presente.
"Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale." Questa celebre formula non vuole esprimere la possibilità che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità della realtà e della ragione.
La ragione è il principio infinito autocosciente; l'identità assoluta della realtà con la ragione esprime la risoluzione assoluta del finito nell'infinito. Quindi compito della filosofia è occuparsi di ciò che è perchè il dover essere, come puro ideale astratto, cade, per così dire, al di fuori di essa e del suo compito.
In tutte le opere di Hegel si possono trovare osservazioni molto ironiche a proposito del dover essere che non è, dell'ideale che non è reale, della ragione che si suppone impotente a realizzarsi nel mondo. Nel dire come dev'essere il mondo, la filosofia arriva con ritardo, egli sostiene, poichè essa formula i suoi concetti quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione.
Ma da dove nasce quella saccenteria dell'intelletto che presuppone come dovrebbe essere e non è che ravvisa Hegel? E perchè la realtà, con cui potremmo "vivere in pace", è invece molte volte disprezzata ancora prima di essere davvero vista?
E' pur vero che durante lo sviluppo della coscienza, essa fa costantemente esperienze che la spingono ad abbandonare le sue convinzioni per passare ad altre. Questo itinerario, che può essere considerato come la via del dubbio - in filosofia è rappresentato dallo scetticismo - è per la coscienza del singolo "più propriamente la via della disperazione". La coscienza perdendo la propria verità, in un primo momento, perde la sua visione del mondo. Poichè l'esperienza non porta solo un sapere nuovo ma un altro modo di concepire l'esistenza, il momento intermediario, in cui non è ancora apparsa la nuova verità è vissuto solo nella sua negatività; non avendo ancora coscienza che ogni negazione porta con sè, anche se celato, un nuovo contenuto, la coscienza ne deduce solamente che essa ha errato.
Lo scetticismo isola la pura negatività da ogni contenuto e finisce con il decretare il puro nulla, il vuoto e per questo motivo finisce col non poter più andare oltre. La negatività, invece, non è una forma che si oppone ad ogni contenuto, ma dialetticamente è insita in ogni contenuto ed è la spinta che permette ogni ulteriore sviluppo necessario. La coscienza ha come meta il contenuto integrale del sapere, ma essa non può raggiungerlo se non subendo la propria negatività, la quale come detto prima, è la sola che permette al contenuto di potersi sviluppare in affermazioni successive che sono legate le une alle altre dal movimento stesso della negazione.
Ma spesso e purtroppo volentieri, la coscienza, o più esattamente l'io, concepisce l'errore come qualcosa posto fuori di sè; l'esperienza con la sua negatività non è letta come portatrice di una nuova verità che ancora non è emersa alla luce. Accade allora che l'io, come un demiurgo dispotico, rinneghi il dolore che il momento del silenzio porta con sè e decida che la realtà non sia come dovrebbe essere e fornisca a se stesso nuovi ideali da perseguire.
Questi ideali fantasmatici, sono tali proprio perchè non tengono conto di quanto l'esperienza, e cioè la realtà, ha mostrato alla coscienza. In quanto vuoti idealismi, vengono inutilmente e affannosamente rincorsi senza riuscire, come è ovvio, a dare loro concretezza; diventano simulacri a cui si sacrifica la stessa forza vitale che produce un inutile quanto sterile dolore.
Quindi ciò che non viene accolto è che l'errore, che la coscienza ha sperimentato, sia nato dalla realtà non in quanto essa non è come dovrebbe essere, ma in quanto frutto di una nuova consapevolezza che la coscienza stessa ha generato nell'esperire la realtà.
La coscienza "imperfetta", sostiene Hegel, isola la pura negatività da ogni contenuto, la astrae dal fatto che questo nulla che è emerso è qualcosa che risulta da un contenuto differente. Non si accorge cioè che dietro a quel risultato negativo è sbocciata una nuova forma e che il momento della negazione ha aperto il passaggio a nuove verità.
Il momento della negazione, sempre se accettato, è perciò creatore della riformulazione non solo di quella parte di verità che l'esperienza e la riflessione su di essa permette, ma molto di più:
una nuova riformulazione del Tutto.
Questo è possibile perchè nella coscienza è immanente il Sè che genera nuovi contenuti che di primo acchito non sono visibili. La verità per Hegel non è mai un problema e la filosofia può mantenersi "in pace con la realtà": essa deve solo elaborare concetti, che non sono altro che il contenuto reale che l'esperienza (intesa nel significato più ampio)
le offre.
Questo movimento negativo che la coscienza esperisce (il momento del vuoto a cui deve sottostare e il sentimento di disperazione, quando questo silenzio non viene accolto) e il successivo emergere del nuovo contenuto, è esperienza che quotidianamente potremmo vivere se solo ci soffermassimo a riflettere sul nostro modo di essere e di pensare.
Non è cosa facile sperimentare il pensiero affermativo: esso suggerisce che ogni evento, qualsiasi esperienza, sia movimento di vita che vuole sapere di se stessa per affermarsi e cogliere, per dirla con Hegel, i molti fiori che sbocciano ininterrottamente.
Maria Campolo
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