Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Home Anno 7° N° 25
Settembre 1998 Pag. 10° Ada Cortese

Ada Cortese

 RICERCHE 

PORNOGRAFIA DELLO SPIRITO

Documentario o Sovraesposizione?

Come esiste la pornografia della carne, così, necessariamente, esiste una pornografia del pensiero.
La parola pornografia deriva da "porne" meretrice e da "grapho" scrittore. Nella comune esperienza moderna: pornografia è sovraesposizione, descrizione e rappresentazione di cose riguardanti le prostitute, riguardanti cioè l’amore mercenario. "Osceno" dal latino "obscenus" = di cattivo augurio, oppure "senza sufficiente evidenza" ovvero "ciò che dovrebbe stare nascosto". "Osceno" = "vergognoso perché esposto".
Ho spesso incontrato nella mia vita la pornografia spirituale. Molto più dannosa e pericolosa di quella carnale.
Per dirne con chiarezza mi farò aiutare da alcune caratteristiche che mi pare accompagnino sempre il fenomeno in questione:

dogmatismo (rimanda al concretismo e alla chiusura);

concretismo (rimanda al dogmatismo e alla "parola giuridica", segno, Edipo);

isterismo (rimanda alla rimozione di ciò che sostanzia lo Spirito: la sua "ventosità", la "dinamica conoscitiva", sicchè pornografia è il perdersi del linguaggio, che è sempre metafora, in un segno unilaterale, una sorta di "meteorite" nera, pericolosa, pesante e inconscia);

unilateralismo(rimanda alla rimozione della dialogicità e dualità del pensante universale che sempre dialoga con se stesso in forma di apparenti opposti. L’importante è non perdere la consapevolezza che gli opposti in realtà sono simili);

sovraesposizionismo(rimanda all’eccesso di parola, di gesto di uno spirito che sia sostanziato delle caratteristiche sopraddette. Allora è davvero l’indecenza, la caricatura, l’aberrazione dello spirito).
Il sovraesposizionismo richiama intuitivamente la relazione significativa tra pornografia spirituale e pornografia della carne. Si insiste su certa fraseologia, proprio con la morbosità con cui si insiste su certe zone del corpo e su certi "esercizi ginnici" in un filmino pornografico. Ripeto, si insiste su certa fraseologia, su certe parole e non su certi concetti. Questi ultimi, anche ad altissima frequenza, si mantengono decisamente nel loro lato affermativo. Non è così per la ripetizione quasi meccanica, fideistica, oscurantista, o troppo concretistica, troppo "chiara", di certo gergo se finisce col farsi nuovo codice giuridico, canonico, liturgico.
E’ vero che pensiamo parlando. Il codice è linguistico. Ma sappiamo come si possa esercitare attività giuridica e/o trasformativa con le parole. Sappiamo che per dire uno stesso concetto possono essere utilizzate tante metafore. Guai a farci pigri. La pornografia è in agguato. Guai a pensarci la meglio metafora del mondo. Non sarebbe diverso dall’attrice che pensa di avere le più belle gambe del concorso...
Diverso è il vissuto davvero spirituale che nasce dalla consapevolezza di raccogliere tutte le metafore e sapere dunque di avere in se stessi la capacità di trarre da tutti quei frammenti l’Uno, ben sapendo che in ciascuna di esse è racchiuso e che da nessuna in particolare però è racchiuso.
Se nessuna metafora ingabbia l’Uno, nemmeno la parola più cosciente, la più integrata può chiudere o rinchiudere l’Uno. Per sua natura l’uno è all’infinito. Ma lo è da subito nella mente di chi lo pensa. Chi pensa è sempre il Pensante universale che sa di sé in ogni metafora (laddove ciò sappia!) sicchè non si perderà nel recinto di nessuna di esse per quanto sintetica si sia fatta.
Poiché l’Uno si consapevolizza e si libera in virtù dei pensanti che si consapevolizzano e si liberano, ne risulta che quanto più presto noi pensanti ci libereremo dell’equivoco e della coazione a ripetere - ossia a fermarci sempre all'ultima metafora "evolutivamente redentiva" come fosse davvero la suprema (poi la fine dei tempi, ecc.), sempre ripetendo l’errore di fermarsi alla manifestazione e mai alla maggiore consapevolizzazione di ciò che vive e cresce in latenza e in potenza, la Dinamica Pura (che ieri si chiamava fisica copernicana, poi newtoniana, poi einsteiniana, ecc. per fare un esempio) - tanto più saremo capaci di percepire l’essenza per sua natura non definibile perché altamente simbolica ossia ricolma di infiniti significati: tutti i possibili. Lo so che sto esprimendomi davvero "male": ciò che voglio dire è che tutte le fatiche del conoscere mirano a mio avviso all'accoglienza del paradosso, dell'indivisibilità dei contrari: sono costretta per necessità universale ad esaltare la coscienza della Dinamica Pura, sempre uguale a se stessa, che a noi chiede solo d'essere vista, perchè accade ancora troppo spesso che venga esaltato il suo "contrario". Se la manifestazione è ciò che attira, occorre evocare la potenza e viceversa.

Si può forse testimoniare nell’insieme di codici il rapporto che si ha con l’essenza ma non si potrà mai pensare che un solo codice ci renda testimonianza di ciò. L’essenza è per questo indefinibile. Lo è perché deve diventare vita. Perché seppure indefinibile, è però percepibile. Essenza e santità. Chi è nella santità la sprizza da ogni poro. Se volesse solo "descriverla" forse la perderebbe. Santità è quindi capacità anche di tacere dello spirito. Santità, essenza... altro suo nome, mi si fa chiaro ora, è proprio latenza.
Si è dato fin qua sempre più risalto alla "manifestazione", eppure c’è un non manifesto che pure E’ ed è la dinamica sempre uguale a se stessa, ciò che sta sotto al foglio degli eventi e che permette vi si possa scriver sopra. C’è un lato più oscuro ma assolutamente percepibile e cognitivo. Quel lato che in altro mio lavoro ebbi a chiamare Divinità (in contrapposto al Divenire). Con una metafora potrei dire che se nella nostra vita tutto cambia perché tutto è in divenire, pure c’è qualcosa che non cambia e ci fa sentir sempre quel preciso Io: il nostro nome! Tutto quello che il mio Io sperimenta Io non lo chiamo col mio nome proprio! Ebbene per me è volgare concretismo pensare che ogni esperienza debba chiamarsi "Ada". Posso riconoscermi nelle esperienze che vivo senza dovermi ricordare sempre di me, se di me già so.

Il Pensante non ha bisogno di ripetersi noiosamente lo stesso sermone, la stessa cantilena se di sé già sa. Sa di tutte le sue esperienze e sa della sua dinamica. Sapendo ciò andrà a cercarla ovunque. Sarà avido di ritrovarsi ovunque, anche in ciò che immediatamente non sente d’amare. Anzi, andrà proprio laddove pensa di non amare e sentirà che per completarsi dovrà educarsi all’amore o restare in sé diviso.
Da tutto questo è evidente il bisogno di elasticità, di fluidità spirituale. E’ necessario per lo spirito, dunque per noi che ci riconosciamo "suoi". E se non amo il mondo pensando d’amar lo spirito, dovrò accorgermi che proprio verso il mondo dovrò andare. E se non amo lo spirito pensando di amare il mondo, dovrò accorgermi che proprio lo spirito dovrò amare. E se nello spirito mi rifugio pensando mi darà domani un "oltre" oltraggioso del mondo di oggi, dovrò capire che quello spirito è buono da buttare nella spazzatura.
Se ci si offre allo spirito in cambio di un senso alla vita, occorre capire che quello spirito così inteso ed equivocato, è da buttare via perché lo spirito trova spazio anche al non senso.
Non esisterebbe quello che è, e che è sempre in una forma, se non esistesse anche la potenza, dunque ciò che ancora non è: il vuoto, il nulla, il silenzio.
Perché esista parola vera, occorre anche lasciare esistere silenzio vero, il buio, il nascosto. Anche noi nominiamo troppo dio e, anche se penso che mai noi si faccia della pornografia spirituale, sento a volte il bisogno di ricorrere ad altre metafore: vacanze, risate, voglia di belle cose, voglia di sentirsi, di eros, semplicemente ..."voglia di vita".
Io trovo il lato pornografico ed aberrante dello spirito soprattutto in questo atteggiamento: offrirsi ad esso, come una prostituta fa con il cliente, in cambio di qualcosa. La prostituta è meno pornografica perché dà solo il suo corpo, l’aspirante spirituale si dà "tutto" in cambio del senso. Ma il tutto è più del senso, più del finalismo e più dell'utile. O si accetta questo reale e vero concetto oppure non c’è novità e anche noi, addetti ai lavori, dovremo annoverarci tra i peggiori traviatori dell’umanità.

Ada Cortese


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