Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Home Anno 7° N° 25
Settembre 1998 Pag. 9° Tullio Tommasi

Tullio Tommasi

 RICERCHE 

AURORA E LA SINCRONICITA’


I giorni della tempesta si sono placati.

Ultimamente mi sono accaduti alcuni fatti insoliti: sogno un grande libro antico sfogliato dal vento in cui sono scritti tutti i nomi dei partecipanti a un gruppo GEA che frequento: via via che le pagine passano leggo i vari nomi, partendo dai piu’ antichi che riguardano i millenni passati per arrivare fino a quelli odierni dei reali componenti del gruppo.
L’unico nome che mi rimane impresso nella memoria è però quello onirico di Aurora. Il giorno dopo leggo un’insegna di Aurora assicurazioni. Pochissimo tempo dopo in libreria mi arriva agli occhi un libro di Nietzsche, Aurora.
Il giorno seguente, raccontando al telefono a un amico tale coincidenza, lui mi dice che poco prima anch’egli ha comprato il libro Aurora. E ancora: mi trovo in un momento in cui i problemi quotidiani si sono coalizzati per darmi una scarica di inadeguatezza alla vita: ho un attimo in cui sto male, male forte; guardo fuori dalla finestra che dà sul porto e, a caratteri cubitali, leggo Aurora sulla fiancata di una nave. E ancora: il titolo di un capitolo di un vecchio libro che riprendo in mano è Aurora, il nome di una pensione che scorgo distrattamente è Aurora.
Tutto questo nel giro di pochi giorni. Tutto questo mi assale, mi assilla, mi invade. Il mio Logos tenta di mettere ordine e di dare un senso, il mio Eros si fa penetrare e assiste al nuovo sorgere di un sole ancora sconosciuto eppure già immaginato, un’ aurora uguale a tutte quelle che hanno anticipato il giorno strutturato dal senso, un’aurora comunque sempre nuova.
Molto è stato scritto sulla sincronicità. In particolare, Jung ha coniato questo termine e per primo ha cercato un senso a tale tipo di accadimenti. Eventi non causali nè casuali, Jung li chiama acausali. Egli più o meno dice questo: non siamo in un sistema causa-effetto proprio della causalità in cui, in una dimensione spazio temporale, gli eventi accadono l’uno dipendente dall’altro, in una catena infinita che struttura il tutto e ci permette di ingabbiare in modo rassicurante il mondo: un albero brucia sotto alla pioggia perchè un fulmine lo ha colpito, sono felice perchè mi sembra di aver trovato il grande amore, sono depresso perchè certi recettori del cervello lavorano in un determinato modo. Nelle Aurore che si susseguono non ci sono perchè evidenti che correlano.
Ma non siamo neppure un un sistema casuale dove i fatti accadono in senso statistico, associando al fatto una sua probabilità. Se infatti fosse possibile calcolare la probabilità dell’ accadimento Aurora, sicuramente arriveremmo a un risultato di una possibilità su miliardi di miliardi.
Quindi, dice Jung, queste sincronicità che talvolta arrivano potrebbero essere indizi dell’esistenza di un senso che va oltre al contesto spazio temporale in cui siamo abituati a immergerci, di un senso di unità primario che riunifica la frammentazione razionalistica che vuole isolare ogni evento, sezionarlo, capirlo, analizzarlo.
Di fronte a questa Aurora che mi affronta Logos ed Eros si sono attivati, l’uno a cercare nella riflessione il senso, l’altro a togliere ogni struttura del pensiero per cogliere senza filtri nuova luce.
Riflettendo sulla casualità e sulla conseguente probabilità infima che un evento sincronico possa accadere, subito mi viene da ricordare che la statistica, e quindi il calcolo delle probabilità, ha valore solo se gli eventi in esame sono molti, in teoria infiniti. La statistica dice qualcosa di significativo solo per grandi sistemi, dove la legge dei grandi numeri stabilisce quali sono le peculiarità dell’evento medio, dell’uomo medio che però non esiste: ciascuno ha i suoi propri dettagli. La statistica elimina il particolare, elide i contrari, non può vedere l’ anormale . Ma ciascuno di noi è costituito da singolarità, da punti che male possono essere descritti da teorie che necessariamente guardano a caratteristiche comuni creando categorie astratte. Inglobato nella statistica, ogni singolo evento che modula le nostre vite ha una probabilità bassissima di accadere, eppure accade.
La nostra stessa nascita e’ frutto di una catena infinita di eventi rarissimi: uno spermatozoo fra molti in un atto di piacere fra tanti, un uomo che incontra una donna, un incontro unico fra i miliardi possibili, un incontro che è frutto di millenni di incontri forse casuali, in una catena che si perde negli albori del mondo, in un susseguirsi di nomi scritti nel libro del sogno dove i geni e il pensiero, il corpo e l’anima trovano un filo di continuità sintetizzato in un nome: Aurora.
Rifletto, penso a ogni evento che accade e alla sua probabilità circa zero di accadere, ma quasi come una saturazione smetto di pensare e arrivo a un sentire vitale che non si occupa del senso; al senso della nostra irripetibilità, ai percorsi labirintici delle possibilità, al risultato derivante dalla operazione di divisione tra il numero di eventi accaduti e il numero di eventi possibili: un risultato che darà sempre circa zero. Questo circa zero, ma non zero è la somma delle nostre vite. E tra le infinite possibilità, nel disordine caotico delle forze degli elementi che tirano e spingono in direzioni opposte, appare Aurora.
Non è più la riflessione sulla sincronicità che mi prende; le lacrime di commozione che salgono al vedere Aurora sulla fiancata di una nave sono equivalenti a quella partecipazione mistica che prendeva gli antichi popoli quando, guardando la faccia della luna, le parlavano in un dialogo personificato.
Le contingenze quotidiane facevano male; coloro che mi amano non mi capivano (io non li capivo), tutti volevano, recriminavano; lo spazio e il tempo sembravano susseguirsi in un accatastarsi senza senso. Distratto, lo sguardo vide quel nome sulla nave ormeggiata, si stagliava proprio di fronte a me, quasi con insolenza. Quella scritta rideva di me, di me che si faceva piccolo identificandosi con gli accidenti del mondo. Apparve ancora, dunque: quasi spazientita da me che si ostinava a non cogliere, a non voler vedere; quasi offesa dal mio pensiero che tentava di strutturarla, per renderla innocuo passatempo. Allora apparve ancora: grande, enorme, ultimo tentativo di amore nei miei confronti. Non so se tutto questo sia frutto di un disegno acausale che possiamo solo intuire o se sia un sogno della mia mente. Non so se il susseguirsi di Aurore abbia un senso oggettivo o se sia io a dare il senso. Ma questo non è importante: ciò che rimane è lo stupore alla vista del nome. Esiste lo psichico che tenta di avvinghiarti e di succhiarti, ma esiste anche Aurora, qualunque cosa essa sia o rappresenti.
I giorni della tempesta si sono placati e ora il mio vivere prosegue in un mare tranquillo. Aurora talvolta riappare ma non mi sorprende: il mio Logos dice che ormai sono troppo condizionato a prestare attenzione a un nome che prima probabilmente passava senza lasciare traccia, insomma: tutto normale nell’ambito della probabilità. Il mio Eros ha piccoli orgasmi che si nutrono del ricordo di un brivido generato da quel punto aspaziale e atemporale simboleggiato da una nave nel porto. Sento che quel punto è diventato una delle pietre miliari della mia vita: esiste un prima e un dopo Aurora.
Questa nuova amante risveglia il mio Eros e di giorno Eros e Logos fanno l’amore. Di notte, negli incubi Eros e Logos cercano di uccidersi: Logos si difende come può e vuole, come ultimo disperato tentativo, sopprimere chi cerca di condividere un potere che fino a poco prima era sicuro nelle mani dell’astratto. Io assisto a me stesso, me stesso campo di una guerra millenaria dove il sangue è quasi secco e si ha l’intuire di un nuovo mattino.

Tullio Tommasi


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