Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Giugno 1998 Pag. 3° Ada Cortese

Ada Cortese

 METODO 

PARANOIA, ANSIA, PAURA
(Seconda parte)


Approfondimento

Se manca la riflessività, manca la strategia e l’ansia si fa paura. Nessuna pre-vedibilità superiore, nessun strumento per affrontare l’ostacolo. Paura, impotenza, caos, perdita di sè per annegamento nell'ansia/paura che invece nascono proprio per proteggere la psiche. La coscienza si fa tabula rasa. Sembra perdere la percezione dello spazio-tempo. Totalmente confusa, incapace di dire, affonda nel sentimento del malessere generale psicofisico in cui l’incapacità di stare fermi si sposa all’irrequietezza interiore, la voglia di "andare" è continuamente mortificata dalla paura (della gente, dei mezzi di trasporto, di stare all’aperto, ecc.) che porta a "rintanarsi", e così via.
C. una donna capace di ottima riflessione, nonchè collezionista di "30 e lode" a Filosofia, spesso si fa "psicotica".
Si mette a balbettare, piangere, si guarda attorno disperata con gli occhi allucinati. Assume postura da tossicodipendente e così si porta per la città con gran dolore di chi la ama.
Si aggredisce con l’alcool e col fumo. Si nausea da se stessa. Sono i sintomi con cui venne da me anni fa e che oggi, non a caso, riemergono con recrudescenza.

Accade che ella, torchiata dalla vita attraverso l’amore, stia facendo i conti con lo "psichico".
E’ un lato del nostro lavoro sottostare alla necessità di lasciarsi "macinare" dallo psichico, intendendo con esso tutto ciò che nell’essere umano (soggetto riflessivo individuale) ha a che fare con l’arcaico automatismo che psichicamente, per l’appunto, lo struttura. E questo è proprio il meccanismo paranoide che ha prodotto la capacità di discernere l’io dal resto dal mondo.
In C. ciò che fu funzionale diventa anacronistico e ribalta se stesso: non più capace di assicurare ulteriore coscienza ma solo di esasperare la propria funzione divisoria, il meccanismo paranoide produce l’esperienza psicotica. Non è più, come fu in passato, garanzia contro il caos del Tutto, ma è arrogante, invivibile, tirannico delirio patologico dell’io che, quanto più vorrebbe difendere, privatizzare e garantire, tanto più si ritrova a pezzi e col vissuto della vita che da lui fugge via.
Se in contesti "terapeutici" diversi il momento psicotico è guardato attraverso i filtri rassicuranti (per il terapeuta) delle etichette cliniche e psichiatriche, nella nostra visione, esso rappresenta un grande momento di passaggio, una grande prova iniziatica, un momento di radicale distruzione della "normativa psichica" per accedere ad una ulteriore e superiore condizione psicologica, anzi il passaggio è radicale e abbandona il piano dello "psicologico", dello "psichico" per il piano superiore dello spirito. Nel mondo del S.R.I. (Soggetto Riflessivo Individuale), naturalizzato ed eternizzato, non è possibile andare oltre lo psichico. Solo se si libera energia, sia pure inizialmente in forma di sofferenza e malessere individuale, si sviluppa quel sufficiente grado differenziale che si fa carburante per viaggiare verso la forma umana dello spirito e là davvero il meccanismo paranoide è proprio insensato. Esso starebbe allo Spirito come il Vecchio Testamento sta al Nuovo Testamento.
E’ vero che C. assapora con noi momenti sempre più frequenti di gioia perché sempre più frequenti si fanno i momenti di presenza in cui si chiude il cerchio dell’alfa e dell’omega. Ma è anche vero che C. è come incarnasse i due poli estremi dell’evoluzione: l’indifferenziazione "iniziale" e la soluzione "finale". L’indifferenziazione di quando torna a farsi sommergere dallo psichico e piange e subisce la sua paranoia crollando sotto la spinta dell’ansia/paura senza "sfruttare" ne’ l’una ne’ l’altra. La soluzione finale di quando è nella presenza.
Il meccanismo paranoide è dunque quel lato della paranoia che induce il vivente all’esercizio costante della gestibilità delle situazioni ansiogene. E ciò si evidenzia anche nei sogni. Distinguiamo sogni "strutturati" e sogni "psicotici" a seconda che i sogni mostrino un tema, uno svolgimento e una "lisi" o "conclusione" finale o a seconda che la situazione sia irresolvibile, o che essa manchi e il sogno sia frantumato, pieno di mille particolari, angoscioso in quanto manca la via d’uscita e nemmeno il risveglio giunge in soccorso.
Nei sogni si mostrano i segni del nostro momento interiore ed essi si muovono con gli stessi meccanismi coscientizzati. Se attraversiamo una fase psichica non faremo grandi sogni, e in ogni caso, non li ricorderemo. Se siamo terreno fertile e sensibile al dramma di tutto l’essere in noi, altaleneremo tra sogni psicotici sogni strutturati. Se siamo nell’Uno... bè, chi c’e’ lo sa! Un sogno recente di C.

Legge "Individuazione" e tra le righe trova questa scritta: "la mia casa e’ l’infinito"

Per essere l’infinito e all’infinito, C., come tantissimi di noi, regge e celebra come può tutti i suoi momenti compresi quelli psicotici e noi, suoi compagni, li accogliamo e li conduciamo al massimo del loro significato. Un altro recentissimo sogno di C. è il seguente:

C. è nel mondo interno di M. e M. è, in carne e ossa, una parete portante di GEA
C. scopre inoltre di essere nel mondo interno di Ag. e Ag. è, in carne e ossa, altro muro portante di GEA e così via scopriva con tutti gli altri che lavorano in GEA

Così C. è aiutata ad attingere alla Presenza di tutti ed è questo, oltre al fatto che già si riconosce dentro di noi, e noi in lei, è solo questo, ripeto, che risana e libera dai "samsara", e fa di C., una "liberata in vita".
L’infinito sta nella relazione e nel reciproco riconoscersi, dunque, "pensarsi", dei due amanti. Come testimonia S. Montefoschi (*):

se è il nostro reciproco pensarci/ a porci in essere/ nell’infinito dirci/ "tu sei"/ che/ quale atto supremo dell’amore/ ci fa l’un l’altro/ garante della vita/ noi stessi siamo l’infinito.

Anche per l’esperienza GEA la percezione crescente è quella di essere nell’infinito oltre la morte nella misura in cui ci si pensa reciprocamente nell’Uno. Ho espresso in un gruppo/laboratorio GEA (il gruppo G) la serenità che associo alla morte se penso di essere con loro, miei compagni di ricerca, nel loro pensiero comune. Non temo in quello stato acuto di coscienza alcun male. E così è per ognuno di noi. Si supera la finitudine se si supera l’automatismo paranoide e, conservando di esso solo la capacità di discernere, si abbracci il pensiero universale che in quanto tale è solo amore e affermazione.
Questa condizione, che è anche un anelito, consente di vivere la vita nell’attimo presente, il solo reale, senza procrastinarla ad un futuro inesistente. Finisco con un sogno di chiara impronta evangelica:

Gli esseri umani devono imparare dalle peonie madri ad allevare i loro figlioli

(*)S.Montefoschi: "La glorificazione del vivente" ed. Golden Press.

Ada Cortese


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