Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Home Anno 6° N° 20
Giugno 1997 Pag. 11° Ada Cortese

Ada Cortese

 STREAM OF CONSCIOUSNESS 

A CHI PARLO?

Tutto sopporta l'esser vero, tutto raccoglie tranne
la menzogna che lo nega.

"Sono taciturna anch’io" dicevo qualche sera fa ad una nuova amica quasi a segnalarle qualcosa di immediato che ci rende simili. In realtà quella sera non stetti zitta un’attimo e come in altre occasioni mi sentivo un po' posseduta come da sostanza che attivi adrenalina solo che niente avevo assunto. E’ cosa frequente: se sono attraversata da una carica erotico/energetica vado forte forte e non controllo, vorrei fermarmi, mi vedo parlare, scherzare, far passare comunque messaggi nuovi per l’essere che, con me, ama allenarsi soprattutto alla più allegra ironia e gratuità e non posso controllare niente. Accade o in situazioni "organizzate" proprio per comunicare cose grosse e soprattutto pensiero forte misto a forte eros, o con i miei "fratelli" quando li ritrovo fisicamente, quando posso sentir la voce mia parlare in libertà. Io non sono la "pasionaria" stancante perchè urla tanto il sentimento e in cui il pensiero resta ottuso e sottostante. No, in me la parola urge ed è una con la passione che è la vita che si sente in quel momento sicchè amore e verbo sono una cosa sola. Ed è tanta la vita in quei momenti d’estasi divina, che una parte di me si chiede quando finisce, quando finisce, che non mi par di reggere e invece va finchè deve andare.
Ma è come fossi in stato coscienziale assolutamente dilatato. Posso sentir le mie parole andare col ritmo che vogliono senza che io possa controllare: lentissime, con lunghe pause quasi estenuanti per me tra l’una e l’altra, oppure velocissime, quasi accavallandosi le une con le altre, per inseguire la velocità del pensiero che mentre parla già è altrove. E’ stupendo e snervante ad un tempo.
Se non sono attraversata dall’essere mi sento una marionetta messa un attimo a sostare, nessuno la anima. Ciò accade se non lavoro e se non sono con i miei "parenti" nell’unica famiglia dell’Uno. Quando sono con persone che pure amo ma con cui nulla posso comunicare del "mio" mondo in maniera verbale, sono votata al mutismo e, forse, ad un’apparente imbecillità che, mescolata ad una mia caratteriale distrazione, oltre che, ovviamente, ad un mio totale disinteresse per "lui ha detto, e io gli ho detto, e poi lui ha risposto ed io ho replicato...." devono dare di me l’impressione della persona che "dove la metti sta", e a volte non è possibile sottrarsi a queste idiote situazioni, che solo formalmente sanno contemplare l’esistenza di superiori stati di coscienza ma alla quale - risulta chiarissimo - non sono assolutamente interessate seriamente. E’ già al minimo la mia frequentazione di tali contesti, dunque, di tali "umani", ma già quel minimo minimo minimo mi è sufficiente per percepire il mio sottrarmi al mondo con l’identica dinamica di quelli che diciamo "psicotici". Ognuno cerca di salvarsi come può! ! !
Accade invece che quando sono con i miei "fratelli" divento, almeno inizialmente, incontenibile e adesso mi par chiaro: se silenzio coatto a volte devo sopportare, non mi par vero quando v’è occasione di darmi alla totale libertà d’espressione, ormai facendo conto su quella libertà già condivisa che ci permette di parlare così come fosse un canto, parole forti sposate a cantilene di bambini, parole demenziali che ridono di se stesse nella totale gratuità del loro sopravvivere a se stesse.
E’ come se la vita che non sia l’analisi mi volesse inchiodata piuttosto che vedermi muover dito per alimentare quelle vecchie dinamiche concretistiche, quelle vecchie parole, sempre le stesse: amore, sesso, amanti, soldi, successo, dio, morte, malattia, vecchiaia, dolore, ospedali, solitudine... vecchie parole vecchi gusci vuoti che a me non è dato - questo lo conosco - di coltivare.
O parlo il Bene o resto "scaricata" e così il male non lo posso fare.
E con i miei "vecchi fratelli", però, la vita torna ad essere "oltre" l’analisi, perchè non c’è più nulla da smembrare; c’è l’Uno che noi siamo e quando anche fisicamente viene, perdo la sobrietà, perdo me stessa con felicità.
Di una cosa sono certa: conosco me come ira divina, è l’ira verso chi mi parla male, ossia - parente a me - riduce me sotto me stessa. Ma ormai, lo so da tempo, ho restituito a Dio quel supremo concetto, quella dignità e quel "rispetto" in tale quantità che gli era troppo così ne ha dato a me, un po' se stesso. Sicchè chi a me parla o di me parla come se fossi "‘na povera criatura", come se ancora non fossi ciò che già da sempre sono, non può che suscitare in me l’ira tremenda del dio disconosciuto che non ha più voglia di essere l’ignoto.
Il tempo delle separazioni è ormai finito: ciò che è nello spirito è nella carne.
Il vissuto mi guida ed è pensiero. Nessun umano concreto che non mi "passi" il suo vissuto divino di se stesso (e di me!!!) potrà con me procedere, perchè mi ha già sbattuto la porta in faccia, mi ha già negato. Tutto sopporta l’esser vero, tutto raccoglie tranne la menzogna che lo nega.


Ada Cortese


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