Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Giugno 1997 Pag. 9° Laura Ottonello

Laura Ottonello

 SCHEDE 

LA PELLE

"Ma non è prima ciò che è spirituale, bensì ciò che è materiale: lo spirituale viene dopo. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo, invece, è dal cielo." San Paolo

La pelle, che D. Anzieu definisce l’"involucro psichico", possiede alcune peculiarità che la rendono molto interessante su un piano simbolico quanto complessa.
Intanto, è il solo organo di senso che ricopre la totalità del corpo; è il luogo di molti sensi distinti, propriocettivi (calore, dolore, pressione, contatto ecc.).
Inoltre il tatto è l’unico dei sensi esterni che possiede una struttura riflessiva dalla quale si costituiscono in seguito altre riflessività sensoriali e, sulla base di queste, si sviluppa la riflessività del pensiero.
La pelle, come involucro psichico di enorme importanza, può essere interpretata secondo due differenti accezioni: muto contenitore di un corpo organico visto come aggregato di organi e funzioni, sede dello psichico. E’ la prigione dell’ego, una gabbia che immola l’individuo alla logica dicotomica della coscienza, in una precisa e netta linea di confine tra il dentro e il fuori, tra una "presunta" soggettività interiore e l’oggettualità tutta del cosiddetto mondo esterno.
Oppure, in altro tipo di lettura, involucro temporale della soggettività che ogni essere umano, in quanto tale, porta in sè e quindi luogo sacro della Presenza che si esprime attraverso la specificità di ogni individuo, manifestazione, nell’uomo, dello spirito.
Non dimentichiamo che ogni essere umano ha impronte digitali differenti; caratteristica, questa, ben nota e ovvia, ma anche di grande valore simbolico in quanto evidenzia l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo individuo... Ma l’Essere è uno e la pelle, come un velo sottile che ne delimita le forme, ci separa e distingue l’uno dall’altro solo nella carne.
La pelle è il tramite della sensibilità, serve dunque ad orientarci nel mondo, a distinguerci e a difenderci. Ma il sesto senso, quello che per gli orientali corrisponde al terzo occhio, è il pensiero, lo strumento dell’evoluzione coscienziale.
Cito, al proposito, un sogno recente, molto "forte", che parla proprio della necessità di cambiar pelle.
Un vecchio demente dell’ospizio (che, in realtà, alterna lunghe fasi di totale assenza con altre in cui la coscienza si affaccia suscitando una sofferenza indicibile che gli fa desiderare la morte) prende un rasoio e, partendo dal centro della fronte (sede del terzo occhio) gradualmente si scortica il viso fino a scuoiarsi tutta la testa. Immagine raccapricciante che, sul piano simbolico, sembra denunciare l’urgenza, per l’uomo moderno, di tornare alla sua vera essenza, rinunciando definitivamente e in modo radicale alla "maschera", ovvero alla rappresentazione che poi, incarnata nella Persona del protagonista onirico, è dipendenza, follia; è il dolore più acuto e insensato.
L’uomo senza pelle è l’uomo messo a nudo e rappresenta la rinascita ad un’identità sovrapersonale: vi è soppressione di quel limite tra vita interiore e vita esteriore, tra personale e impersonale, tra io e sè.
Cade dunque anche l’ultima separazione: cambiar pelle significa rivoluzionare completamente lo stato di coscienza precedente.
Restando ancorato al proprio personalismo, in una lettura egoica, l’uomo resta inchiodato alla croce del dolore, della malattia e della morte, imprigionato nella condizione solo umana, vincolato alle categorie dello spazio e del tempo, alla logica aristotelica della non-contraddizione.
Ma il volto che, tra le altre cose, è anche il luogo dell’espressione e dell’affettività, non solo è lo specchio del tempo che segnala il suo inesorabile passaggio, ma è soprattutto la manifestazione vivente del divino che è in noi.
La nostra pelle mostra al mondo senza troppi complimenti segni che non sempre amiamo far conoscere. Essa, infatti, è molto sensibile fisicamente (ferite, invecchiamento ecc.) e psichicamente (arrossamenti, dermatosi psicosomatiche ecc.).
Possiamo combattere nel tentativo di arginare i segni delle nostre sconfitte. E allora le nostre energie, al di là di un sano amore di sè che vuole ci si occupi del proprio aspetto esteriore, vengono investite massivamente (ed equivocamente) con un accanimento che pretende di risolvere una volta per tutte ogni conflittualità. Interventi di chirurgia plastica o trattamenti estetici, ora in voga anche per gli uomini, sembrano essere la panacea contro una depressione che ha origini assai remote e riguarda tutta l’umanità perchè "il male di vivere" è, da sempre, "il problema" dell’uomo.
La pelle segnala i sentimenti e le emozioni più profonde: paura, timidezza, gioia, rabbia, dolore esplodono sul corpo e sul viso al di là di ogni controllo.
Ansia, angoscia, inquietudine o sopore psichico fanno la loro comparsa quando non sono viste nè, soprattutto, contenute: la sudorazione profusa, nell’imbarazzo di chi si trova a vivere tale situazione, "passa" attraverso la personale e intima stretta di mano.
Ma se la pelle è il luogo d’incontro tra l’interno e l’esterno raccogliendo stimoli e segnali che vengono convertiti in manifesti quanto immediati segnali esterni, c’è da considerare pure il processo inverso. La pelle, quale parete divisoria dei tanti frammenti che costituiscono l’uno, raccoglie segnali esterni per convertirli in simboli e accrescere il processo evolutivo.
Nei momenti di incontro e di vicinanza con l’"Altro" vissuto non sempre e non solo come "figlio", "marito" o "fratello" vi è un semplice gesto che porta in sè ed esprime la ricerca e l’anelito alla soggettività inconscia che già portiamo dentro.
La pelle, con la sua capacità di "sentire" veicola un pensiero che vuole farsi sempre più consapevole di sè: dietro quei gesti, le parole, i contatti, le emozioni vi è la ricerca di un reciproco ri-conoscimento, un’agognata ri-congiunzione. La pelle (e il corpo) non è solo schematico e semplicistico riflesso di una lettura psicosomatica, visione che prevede ancora una divisione, ma manifestazione del Sè, ovvero del sacro che mostra il suo volto nell’uomo.
Il mitologema greco del medico ferito, o della ferita che non si rimargina, rimanda proprio a questo. Macaone, figlio di Esculapio, aveva fama di essere un chirurgo, cioè colui che ferisce per guarire. La ferita incurabile è il frutto di un sacrificio compiuto per separarsi dal paradisiaco inconscio materno al fine di affrontare la vita con tutte le sue contraddizioni.
La pelle costituisce il volto del Sè poichè ogni individuo, con la sua storia e le sue ferite (e non parlo solo di quelle interiori che pure si vedono...) porta in sè ed esprime la testimonianza dell’Essere.
Quando l’uomo, il primo sistema vivente che sa di sè, resta nella frammentazione e nella logica della separazione, il Sè, inteso come nucleo più profondo ed eterno della personalità, non "abita" più quel corpo, si è perduto, e quello spazio psichico che cresce e si rinforza anche attraverso l’esperienza del sentire si svuota di significato.


Laura Ottonello


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