Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Marzo 1997 | Pag. 8° | Maria Campolo |
RECENSIONI L'ARTE E IL MERCATO
Il puro e l'impuro della vita
Nel gennaio del 1799, presso un negozio di alcolici e profumi, Goya mise in vendita una raccolta di 80 stampe all’acquaforte che intitolò "Capricci". La pubblicazione giungeva dopo un periodo piuttosto difficile per l’artista che era stato colpito da malattia a cui seguì una forte crisi spirituale; non si hanno notizie precise in proposito, si sa soltanto che Goya ne uscì profondamente mutato sul piano spirituale, tanto che la sua vita, così come il suo lavoro, ebbero una svolta sostanziale.
Le incisioni, che sono una feroce critica alla società spagnola del tempo, vennero ritirate dal commercio solo qualche giorno dopo perchè l’Inquisizione si era interessata alla pubblicazione vietandone la vendita. I "Capricci" continuarono comunque ad essere venduti fuori dai confini spagnoli e ben presto furono apprezzati in tutta Europa.
Goya, così come qualunque altro artista fino al secolo scorso, aveva dipinto, fino ad allora, su commissione di ricchi prelati e nobili che richiedevano la sua opera per decorare chiese o palazzi e, come d’uso, erano gli stessi committenti a dare l’argomento da trattare tanto che l’opera potrebbe essere definita una sorta di compromesso tra ciò che voleva l’acquirente e l’interpretazione dell’artista.
Le acqueforti di Goya nascono invece dal bisogno e dalla voglia del pittore di esprimersi su temi in quel momento da lui particolarmente sentiti, inoltre, grazie al costo accessibile dell’opera e alla possibilità di riprodurla in molti esemplari, è l’artista, per la prima volta, a proporre, ad un pubblico tanto vasto quanto anonimo, il proprio sentire.
Questo gesto di libertà può essere definito, accanto ad altri aspetti prettamente pittorici presenti nei "Capricci", la nascita dell’arte contemporanea, che vede da un lato l’artista svincolarsi da un preciso committente e proporre il proprio pensiero, e dall’altro vede apparire sulla scena dell’arte figure prima sconosciute quali il mercante, il critico, il gallerista.
Dopo circa un secolo dall’uscita dei "Capricci", un altro pittore, Paul Klee, scriverà sul diario parole di fuoco rivolte proprio alla critica e ai mercanti d’arte definendoli "lupi" che si avventano sulla sua arte costringendola in angusti limiti fatti di definizioni, di "ismi", che fissandola con il giudizio la impoveriscono fino a farla morire. Annota inoltre Klee come sull’artista si eserciti una forte pressione affinchè egli crei continuamente il "nuovo" per stupire incessantemente il pubblico, pressione che egli denuncia come un vero e proprio atto di vampirismo.
Altri artisti lungo il corso del nostro secolo, lamenteranno il ricatto, a volte tacito a volte molto esplicito, di pubblico e mercanti che vorrebbero "creazioni" il più possibile compiacenti il gusto corrente per ingraziarsi un numero sempre maggiore di possibili acquirenti, una sorta di prostituzione per vendere il proprio prodotto.
E’ in questa poliedrica e conflittuale situazione dell’arte contemporanea che ci si cala entrando nei grandi padiglioni dell’Artefiera svoltasi a Bologna lo scorso gennaio. Ogni anno la fiera ospita centinaia di galleristi, mercanti d’arte provenienti da tutta Italia, i quali espongono il meglio delle loro collezioni, offrendo al pubblico un vasto e qualificato panorama di quanto ha espresso la pittura nel Novecento.
Il luogo in cui ammirare tantissime opere, spesso veri e propri capolavori, non ha dunque l’atmosfera silenziosa e raccolta, quasi asettica del museo. Chi visita la fiera vede le opere tra i sorrisi invitanti dei galleristi, le trattative sui prezzi, la curiosità per presenza di quel tale pittore che, come un divo, si lascia corteggiare dal pubblico.
Tuttavia questo clima di promozione pubblicitaria anzichè fare torto all’arte, involgarendola, le restituisce freschezza, rendendola più vicina a chi vi si accosta. Non si vuole sostenere che nel museo il quadro perda la sua vita: non sarebbe possibile; basta lo sguardo di chi entra in rapporto con l’opera a restituirgliene di nuova.
In fiera i venditori, gli acquirenti, i semplici visitatori generano una sorta di movimento dato da contraddizioni, conflitti, che forse toglie all’arte quell’aura di falsa sacralità che la circonda e la arricchisce di aspetti inattesi che la rendono più completa.
Il padiglione adibito alla grafica (i cosiddetti "multipli" ossia incisioni, serigrafie, litografie ecc.) è, per chi non conoscesse questo campo, una buona occasione per toccare con mano quanto può essere grande l’impegno che l’arte figurativa richiede, e quanta passione vi riversano gli artisti che la praticano.
Si possono scoprire lati sconosciuti di grandi artisti. Per esempio, nelle acqueforti di Marino Marini, celebre per essere uno dei più grandi scultori del nostro secolo, si rivelano non solo straordinarie capacità di incisore ma anche appassionata ricerca cromatica. Pittori noti al grande pubblico per la loro arte informale o astratta che si articolano quasi esclusivamente sul colore, emergono come raffinati disegnatori.
L’arte grafica, quando è ben realizzata, richiede molto tempo ed è spesso poco remunerativa, e rivela anche un grande amore per la manualità in coloro che la praticano che si riversa nella perizia, nella cura certosina degli artisti che arrivano ad essere loro stessi stampatori della propria opera.
L’astrattismo, o la pittura del "sottile" come qualcuno la definisce, è ciò che maggiormente caratterizza l’arte contemporanea; viene abbandonata la figurazione nel tentativo di andare oltre la rappresentazione delle forme del mondo per sconfinare nella dimensione di ciò che non si vede. Pure anche questa pittura non può fare a meno, per essere credibile, di attingere a tutto ciò che l’arte ha espresso nella sua storia.
Per poter fare a meno della forma accademicamente intesa, il pittore deve averla assimilata attraverso le numerose tecniche che via via sperimenta.
Ecco perchè nelle linee che tendono a cogliere il tratto essenziale di un paesaggio o che danno espressione ad un volto, si intravvede anche un continuo esercizio a cui il pittore si sottopone e che mira ad appropriarsi di quei fondamenti che abbandonerà successivamente quando preferirà la via dell’astratto per esprimere il proprio discorso artistico.
La percezione dell’uomo, oltre che dell’artista, si fa più nitida proprio attraverso quelle opere ritenute minori della produzione di un pittore; da queste emerge infatti la faticosa e continua ricerca di quel linguaggio che gli permette di parlare di se stesso e di condurci nel suo mondo.
L’universalità del suo dire si intreccia con la materia che le dà corpo e la bellezza che vi si trova avvolge anche il dolore fisico, le amarezze, le disillusioni e i conflitti che immancabilmente accompagnano non solo l’arte ma la vita stessa.
Maria Campolo
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