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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Home Anno 5° N° 18
Dicembre 1996 Pag. 8° Ada Cortese

Ada Cortese

 RECENSIONI 

SCIENZA E METAFISICA

"... è molto più ragionevole essere consapevoli della metafisica che si ha, piuttosto che avere una metafisica senza saperlo."

"Filosofia della natura: scienza e cosmologia" di E. Agazzi è un contributo al moderno ripensamento epistemologico in campo scientifico.
Sono stata confortata dal coraggio che, nonostante una certa cautela che pure si evidenzia, Agazzi manifesta.
E parlo di coraggio perchè è evidente l’uso apparentemente provocatorio (in realtà assolutamente pertinente) del termine "metafisica" designante un concetto che secondo l'autore si rende ormai improrogabile strumento per la scienza.
La sua riattivazione in chiave moderna coinciderebbe con la regale resurrezione della filosofia ora sepolta sotto gli stracci dell’asservimento ancellare e prostituto alla scienza, unica vita che si è concessa.
Per Agazzi, la metafisica si mostra in questo discorso attorno alla scienza, come "il dispiegamento delle condizioni generali di intelligibilità della realtà, ed in questo senso la metafisica semplicemente non può essere evitata.(...) Pertanto è molto più ragionevole essere consapevoli della metafisica che si ha, piuttosto che avere una metafisica senza saperlo".
Ma la scienza è restia ad assumere nel suo corpo teorico la presenza del principio metafisico perchè essa, abbandonata dalla filosofia (essa stessa in crisi d’identità), ha perso la consapevolezza di se stessa, la sua origine, la sua finalità: l’origine la vedeva perlappunto tutt’uno con la filosofia; lo scopo, "spiegare", dare ragione dell’esistenza dei suoi oggetti secondo la descrivibilità che essa riesce ad operarne.
Agazzi espone il percorso storico della scienza a partire da Galileo ("non si può conoscere l’intima essenza"), attraverso Newton e Hume, fino a Kant e ne evidenzia la progressiva rinuncia al punto di vista dell’intero che non scavalchi quello dell’oggetto indagato.
E se lo stesso Kant non potè fare a meno di reintrodurre (anche nella scienza della natura) l’universale, quale precondizione della conoscenza empirica, in forma di a priori della ragione, questo inquadramento generale, "gestaltico" per dirla secondo la moderna psicologia, non ebbe mai riconoscimento adeguato in scienza.
Eppure la scienza usa continuamente il punto di vista metafisico: quando rielabora in base alle teorie precedenti l’ultima ipotesi o concetto (non verificabile) che voglia spiegare il perchè l’oggetto è così, come l’esperienza sensibile permette di descriverlo; quando estende, secondo il principio di sincronicità e di diacronicità, il concetto di applicazione illimitata ai risultati dei suoi esperimenti; quando accoglie il principio meccanicistico e deterministico dogmaticamente; quando fa ricorso ad una convenzione, il modello paradigmatico scelto, che assurgerà a strumento che permetterà di trovare ciò che con tale strumento si può trovare.
E il resto?
Agazzi porta divertenti esempi di come il principio metafisico inconscio possa produrre paradossali effetti.
Eppure tutto questo non impedisce alla scienza di continuare a pascersi nel generale consenso cresciuto grazie al pregiudizio che solo la conoscenza garantita da essa è solida e può dirsi logos.
Ma che logos è un logos che non spiega, che quindi teme sintesi e creatività?
La contraddizione della scienza si mostra quando essa diventa "cosmologia". Qua essa ritrova, nota l'autore, il suo originario e irrinunciabile bisogno intellettuale di spiegare e mai come nella cosmologia si mostra il lato speculativo della scienza.
Non è più scienza per questo?
Perchè non verifica (non può!)? Perchè il principio seguito è quello delle scienze "deboli" (umanistiche), ossia quello storico? Perchè non può seguire più il principio galileiano di "localizzazione"? Perchè l’oggetto è lo stesso, si potrebbe dire, della metafisica, ossia l’intero che comprende tutti gli interi, l’universo? Perchè non può fare a meno, giunta a questo punto, di considerare il principio "antropico", ossia la presenza del soggetto, oggetto non più estraneo all’intero osservato?
Agazzi ritiene di no, non cessa di essere scienza, tutt’altro: qui la scienza torna a farsi intera non potendo tirarsi indietro neppure avanti all’interrogativo teleologico.
La scienza, nel momento in cui si interroga sul punto iniziale, su "come sono andate le cose", non può fare a meno d’interrogarsi sul futuro, sul "destino", nè può fare a meno dell’unico tempo da cui parte, quello psicologico, cui può associare il "tempo filosofico", quale unico concetto che risponda alla necessità di omogeneità e direzionalità.
Agazzi trova anzi, nell’accoglienza del principio antropico, ossia del soggetto che, solo, può dire "ora", e del principio teleologico o finalistico, che permette di parlare della più sconvolgente conquista dell’evoluzione (la vita cosciente) non più in chiave casuale ma come "progetto" insito nella fase originaria dell’universo, l’uscita dall’atrofizzante e altalenante concetto di "caso" e di "necessità" che ci fanno rasentare - essi sì - "l’autentica irragionevolezza" avanti alla raccolta di conoscenza già a nostra disposizione.
Emerge dal testo quasi una sorta di dialogo tra metafisica e scienza, in cui la metafisica, alla ricerca di un riconoscimento, seppur tardivo, da parte della scienza, propone a questa una sorta di scambio: se la scienza accetterà di riconoscere la metafisica come conoscenza, anche se di tipo speciale, la metafisica non ritirerà la sua fiducia alla scienza, anche se può dimostrarle che proprio ciò da cui si è sempre voluta tenere lontana costituisce il suo presupposto non visto, il presupposto metafisico!
Se la scienza si psicoanalizzasse, potremmo aggiungere noi, scoprirebbe che la "sua" ombra è la metafisica, e per di più una "cattiva" metafisica. E siccome sappiamo che l’ombra è l’unica realtà che guida il soggetto quando tutto crolla, allora la salvezza e la trasformazione della scienza in forma "redentiva" starebbe nella consapevolizzazione del suo lato metafisico.
Il libro di Agazzi è come un sogno prospettico di inizio analisi, un inconscio grido del Principio Metafisico, uno dei tanti nomi soccorritori della "rotonda verità", affinchè esso stesso venga valorizzato, evocato e grazie a questo riconoscimento, la scienza, il logos, o meglio l'"ego scientifico" possa uscire infine dalla sua unilateralità.

Evandro Agazzi "Filosofia della natura. Scienza e cosmologia" Ed. PIEMME 1995


Ada Cortese


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