Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Giugno 1996 Pag. 8° Ada Cortese

Ada Cortese

 RICERCHE 

TEOLOGIA DELL'IMMANENZA

"Un Dio che diffonda angoscia e sensi di colpa non è il Dio di cui ha bisogno l'uomo." "Gesù non era nè monaco nè sacerdote; piuttosto era profeta, poeta, vagabondo, visionario, medico e persona degna di fiducia, predicatore ambulante e trovatore, arlecchino e incantatore dell'eterna e inesauribile misericordia di Dio."

Dice Hegel che se la perfezione fa male all’uomo allora essa è imperfetta e non è da perseguire.
Lo stesso convincimento sembra emergere dalla teologia dell'immanenza di Eugen Drewermann, la cui tesi fondamentale poggia sul concetto che, mentre il messaggio cristiano dovrebbe essere un annuncio di felicità e di libertà, è invece dominato da angoscia e paura: paura del peccato ed angoscia per la difficoltà o impossibilità di liberarsene.
Non ho letto tutti i libri di Drewermann ma quanto ho avvicinato basta per contemplarlo tra le persone del nostro tempo che più mi piacciono e il perchè è presto detto: quest’uomo è un uomo d’amore, ossia portatore raffinato, semplice e discreto di quanto più necessita a tutti noi.
Per lui Dio non può essere lontano o altro dal volto degli uomini. L’immanenza assoluta che egli divulga è l’assoluto superamento della sofferenza della filosofia attuale, lacerata dall’antica abitudine di cercare l’essere, dio, l’assoluto, il vero, in noumeni inconoscibili.
"Soltanto quando cesseremo di negare a noi stessi i dolori e gli sbagli della nostra vita, soltanto allora raggiungeremo quel punto dove Dio lascia che si compia l'impossibile." Il Dio che egli salva è il Dio dell’amore assoluto, quell’amore che sa andare al di là della legge, al di là delle burocrazie, al di là dei confinamenti.
Stupendo è il suo libro sulle donne della Bibbia in cui si evidenzia la superiorità dell’istinto di vita contro la legge inerte degli scribi e sacerdoti. Non tace il calcolo, la furberia, il raziocinio tipico dell’eterno femminino, la libertà che esso ha rispetto al mondo degli uomini, per raggiungere con saggezza "uterina" un fine che è sempre inno alla vita.
Non nasconde le terribili ombre del re Davide, capostipite della stirpe di Cristo, che, per avere Betsabea, giunge ad ucciderle il marito, suo più fedele soldato, nè nasconde il senso di colpa di Davide avanti alla morte del figlioletto che da lei gli nasce. Ma assolutamente liberatoria è la lettura che Drewermann dà di questo re: triste e addolorato per un intero giorno, sprofondato nell’inferno della sua colpa, decide infine di reagire. Si lava e si veste, si prende nuovamente cura di sè per restituirsi alla vita con Betsabea da cui avrà altri figli.
La lezione principale è sempre la stessa più volte da Drewermann ribadita: val più per il Signore il ritorno alla vita, la gioia e il cuore che non si sottrae alle nuove palpitazioni, che non la depressiva prigione del dolore tutt’uno con una sorta di suicidio anticipato e confuso con la giusta penitenza.
Non v’è niente di peggio che insistere nel buio dolore per le colpe commesse, per quanto gravi esse siano; non v’è modo migliore che restare a percepire la propria pena e la propria conseguente impotenza per continuare ad amplificare la colpa stessa.
La vita ha bisogno di tutti i viventi e a nessuno è sottratta, finchè vive, la possibilità di tornare a costruire, a godere, a vivere insomma. Ed è questo il compito principale, assolutamente obbligatorio per il vivente sempre per il quale pare esservi una sola colpa: lasciarsi essere senza esistere, sopravvivere, questa è la colpa.
Ma la vita è dura da portare e non la si può celebrare senza condividerla con gli altri. L’insegnamento che egli trova nelle sacre scritture è sempre insegnamento di autoaccettazione, senza la quale non possono darsi nè l’amore per gli altri, nè la compassione, nè il superamento della paura, nè l’esperienza del "perdono" come gesto assolutamente rivoluzionario.
I suoi scritti sono l’apologia dell’uomo "ordinario", nella cui vita si cela tutto lo straordinario del mondo.
Nella sua assoluta filosofia dell’im-manenza Drewermann si mostra uomo nuovo, uomo che vive la sintesi e di questo è verifica, secondo me, proprio il suo modo di descriverla.
Ciò che lo fa uomo di speranza (per gli altri) è l’esser saltato oltre la logica della rappresentazione, è l’aver recuperato alla conoscenza della vita, quindi alla sua mediazione, anche il sentimento della vita, ossia l’immediatezza femminile della vita stessa.
E’ un autore che prima di essere qualunque cosa per il mondo, quindi prima di essere un teologo sospeso "a divinis" e uno psicoterapeuta, è un uomo libero e un "poeta" perchè, proprio come i poeti, sa colpire al cuore.
La sua è una sorta di teologia universale, nel senso della divinizzazione di tutte le religioni del mondo che gli permettono una libertà e una personale dignità avanti al suo Dio cristiano.
Egli sa che ogni religione corrisponde all’universale archetipo della immortalità e della resurrezione. Ne rende conto nel bellissimo "Io discendo nella barca del sole", in cui evidenzia una sorta di continuità tra i simboli della trinità e della resurrezione presso gli antichi Egizi e quelli che sorgeranno in seno agli Ebrei e successivamente in seno ai cristiani.
Gli archetipi in azione sono i medesimi: nessuna religione può menar vanto di alcunchè rispetto alle altre.
A tal proposito Drewermann cita la frase che nel 400 a.C. l'imperatore buddhista Ashoka fece scolpire nella pietra: "Male onora la propria religione chi se ne serve per denigrare quella di un altro".
Ciò che mi colpisce in Drewermann è la libertà dall’"oltre": non v’è bisogno di andare, di costruire, di edificare perchè tutto è già qui.
"Già qui sulla terra, è possibile e auspicabile riconoscere negli uomini quella verità e figura di luce ancora nascoste, che al momento della morte si disferanno del loro guscio; già qui, sulla terra, occorre apprendere quella libertà e quella pace rasserenata che gli antichi egizi vedevano cifrate nelle figure stellate del firmamento." Non v’è più bisogno di distanza. Tutto si essenzializza. Occorre solo aprire gli occhi. Svegliarsi.

Note biografiche: Eugen Drewermann ha studiato filosofia a Munster, teologia a Paderborn e psicoanalisi a Gottingen.
Sacerdote e docente di teologia a Paderborn, nel 1992 è stato sospeso "a divinis" e allontanato dall'insegnamento per le posizioni assunte nei confronti della gerarchia ecclesiastica.

Bibliografia:
"Io discendo nella barca del sole" ed. Rizzoli "Funzionari di Dio" ed. Raetia "Il cammino pericoloso della redenzione" ed. Queriniana "Il messaggio delle donne" ed. Queriniana


Ada Cortese


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