Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Giugno 1994 Pag. 11° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 MITI E LEGGENDE 

NARCISO

"...Non ci separa l’immenso mare, nè un lungo cammino, nè i monti, nè città chiuse da mura: solo poca acqua ci tiene disgiunti, e tanto piccola è la distanza che ci potremmo toccare. Ardo d’amore e gli tendo le braccia, gli sorrido e lui mi sorride, gli parlo e mi parla, ma non sento quello che dice..."

Narciso - narra Ovidio nelle Metamorfosi - nasce da Liriope, la ninfa di fonte che, per la sua bellezza, fu rapita dal dio fluviale Cefiso, che l’avviluppò nelle sue tortuose correnti.
Figlio delle acque dunque è un giovane di straordinaria bellezza, cui Tiresia, il veggente, ha previsto lunga vita solo a condizione che "non conosca se stesso" (ironico rovesciamento del più famoso "conosci te stesso") .
A sedici anni poteva contare già numerosi amanti, tutti respinti, di entrambi i sessi. Un giorno, mentre è a caccia di cervi in una foresta, domanda a gran voce se ci sia qualcuno lì. La ninfa Eco, che si è innamorata di lui e lo segue di nascosto, ripetendo le sue ultime parole gli risponde e tenta il desiderato abbraccio, ma egli la respinge prontamente.
Si narra che da allora la bella ninfa si consumi per struggimento d’amore fino a che di lei non sono rimaste che le sole ossa, tramutate in sassi, e la voce tutt'ora vagante in valli solitarie.
Ma qualcuno degli amanti respinti chiede vendetta al cielo.
Interviene la dea Nemesi a far sì che anche Narciso sia privato dell’abbraccio di colui che ama.
Accade infatti che, assetato, Narciso si affacci ad una sorgente: lì scorge la propria immagine e se ne innamora irrimediabilmente. Sulle prime non riconosce se stesso, poi giunge la verità: "Io sono te". Struggendosi d’amore per quello che oramai sa essere se stesso, Narciso si lascia morire. Quando cercano di dargli degna sepoltura coloro che lo amano scoprono, nel punto in cui il giovane è scomparso, un bellissimo fiore dai petali bianchi orlati di color zafferano.
La lettura più comune del mito ne ha colto l’aspetto meramente psichico, di investimento pulsionale, per cui Narciso è diventato simbolo di un atteggiamento dell’Io che sa amare esclusivamente se stesso, il proprio corpo, in ciò escludendosi totalmente dal resto del mondo.
Tuttavia proprio il tema dell’immediatezza, che Narciso mostra di rifuggire ripudiando tutti gli amanti, e la morte che trasforma il suo essere corporeo in fiore, simbolo del Sè, indicano un’altro possibile livello di lettura, in cui Narciso è allora un ponte di passaggio dallo psichico allo spirituale, passaggio che richiede, com’è logico, una morte.
Il proprio riflesso nell’acqua che rapisce chi lo "vede" è allora il richiamo dell’inconscio, in cui si cela quella totalità interiore che chiede di essere incontrata, "vista" appunto, affinchè diventi possibile un incontro con l’altro che comprenda la soggettività di ciascuno. Narciso si imbatte in Eco mentre è a caccia del cervo, simbolo della pulsione individuativa. Eco è una ninfa che, per aver distratto Era con lunghi discorsi dal controllo di Zeus, è stata punita dalla dea proprio nella facoltà di parola: ella non può mai parlare per prima nè impedirsi di ripetere le parole altrui.
Eco è dunque l’Anima (come proprio femminile) con cui Narciso si imbatte nel proprio cammino di individuazione: è resa incapace della propria funzione spirituale (Logos-Parola) dal sistema conscio collettivo, rappresentato dalla società corrotta degli dei.
E’ una psiche totalmente priva di libertà di pensiero e di originalità: Eco è il simbolo dell’individuo ancor privo di soggettività.
Narciso sfugge all’abbraccio con un’Anima siffatta, rinuncia all’appagamento immediato aprendo ad entrambi - Maschile e Femminile del rapporto - il varco all’avventura spirituale.
La coppia Eco-Narciso, se si fosse unita a questo punto della vicenda, sarebbe stata una delle innumerevoli rappresentazioni del rapporto di dipendenza, in cui il dialogo resta ad un livello di ripetizione (eco, appunto) del già dato.
Questo sia a livello intrapersonale - Eco come Anima di Narciso - sia a livello interpersonale - Eco come sua compagna.
Narciso dunque, spirito di sorgente, impedisce alla donna-anima di cadere nell’immediatezza e nella dipendenza della ripetizione, avviando quella trasformazione che conduce entrambi alla dematerializzazione.
"Ch’io muoia prima che sia di te" sono le parole di Narciso, cui la ninfa fa da eco "Ch’io sia di te", il che può essere inteso come: è necessaria una morte, una profonda metamorfosi prima che sia possibile una congiunzione, questa volta a livello spirituale. La pietra e l’eco, ciò che resta della ninfa, sono i due elementi degli alchimisti: il "fisso" - pietra compatta, nocciolo duro, Verbo - e il "volatile" - il suo riflesso che si propaga.
E’ a questo punto che Narciso resta solo e, rispecchiandosi, "vede" se stesso, e qui vedere è inteso come conoscere, il che lo porta alla morte.
Quale può essere tale visione-conoscenza tanto potente?
Ciò che Narciso vede come fosse se stesso, ciò di cui si innamora, è l’identità tutta di tutte le cose, così come può essere colta solo se si accede alla dimensione universale dell’essere.
Ma per accedere a tale dimensione che è tutt’uno con l’atto di riconoscere se stessi sul piano spirituale, tutt’uno con il Sè, è richiesto di morire ad una dimensione egoica, razionale, racchiusa dall’involucro corporeo.
Narciso anela all’abbraccio con il Sè ma questo comporta il sacrificio di sè come individuo particolare.
Della morte di Narciso esistono differenti versioni: in Ovidio si lascia morire per struggimento d’amore, in un’altra versione cade e annega per essersi troppo sporto ad osservare se stesso, in un’altra ancora si suicida per senso di colpa, in una infine si getta in acqua scambiando la propria immagine per il volto dell’amata sorella morta.
Ciò che accade è comunque il compimento di un incesto, un ritorno alla totalità originaria attraverso l’atto conoscitivo di sè.
In questo consiste l’atto eroico di Narciso, comunque esso avvenga: egli attua un estraneamento al mondo, alla percezione ordinaria, trasgredisce la coscienza collettiva.
Chiunque si trovi ad intraprendere un cammino di conoscenza, novello Narciso, attraversa una fase di ripiegamento interiore che il mondo spesso interpreta (non a caso coincide con l’accezione più diffusa del mito) come egoico amore per sè infantile e infruttuoso, si trova a vivere un’esperienza di auto-anestetizzazione verso gli stimoli del mondo esteriore (Narciso viene da Narkè, da cui narcosi) .
Ma tutto questo, se la tensione è retta fino in fondo, se si resiste cioè alla tentazione dell’immediatezza, porta alla suprema conoscenza, al Sè di cui il fiore è da sempre simbolo.


Agnese Galotti


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