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Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Febbraio 1993 Pag. 8° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 RECENSIONI 

PSICOANALISI AL FEMMINILE

Questo libro non è un trattato femminista
con rivendicazioni di parte.

La ragione di ciò, secondo l'autrice, va ricercata soprattutto nel fatto che il linguaggio di cui nella nostra cultura usualmente ci serviamo è in prevalenza maschile, figlio di una ragione scarsamente simbolica, che discrimina e separa, ma ancora troppo poco sa congiungere, coniugare, com-prendere.
E la psicoanalisi, quale recente disciplina della psiche, non fa eccezione in questo senso, soprattutto certo tipo di psicoanalisi, quella cioè che indaga l’evoluzione della mente tralasciando anche solo di considerare la zona originaria oscura, quel "mondo delle Madri" che per Freud stesso rimase il "continente nero", "spaesante ed umbratile per il pensiero e per il discorso maschile".
Eppure, come Vegetti Finzi sottolinea, "in nessun campo del sapere le donne sono state così presenti e attive come nella psicoanalisi. In veste di paziente, terapeuta, teorica, studiosa o semplicemente di interlocutrice, esse vi hanno sempre partecipato da protagoniste".
Tuttavia non è stato facile neppure per loro ampliare il linguaggio della psicoanalisi, liberandosi (e liberandola) dal giogo cui una sorta di fissazione edipica al "padre" - S. Freud - le legava, rendendole paladine di una legge già enunciata piuttosto che ricercatrici impegnate nel tentativo di dar parola a ciò che ancora non era stato detto nè tantomeno compreso.Si può dire, anzi, che tale tentativo di liberazione sia cos a assai recente.
Nel testo qui presentato sono descritte le vicende personali e intellettuali di alcuni personaggi femminili che hanno rivestito un ruolo fondamentale nell’evoluzione della psicoanalisi. Ciascuna viene presentata con un epìteto che ne caratterizza la personalità e il ruolo genericamente assunto all’interno del pensiero psicoanalitico stesso.
Tuttavia in alcuni casi risulta palese come tale epìteto indichi piuttosto la "parte" avuta da tale personaggio femminile relativamente al "grande padre" in persona, vale a dire nei confronti di Freud, in una sorta di sovrapposizione tra il pensiero nascente e il suo principale rappresentante.
Ciò vale particolarmente per: Anna Freud-la figlia, Marie Bonaparte-l’amica, Lou Andreas Salomè-l’amante, Helene Deutsch e Karen Horney-le allieve.
Interessante è invece notare come le pazienti celebri, (Anna O. e Dora) vengono qui liberate dall’etichetta di "casi clinici" e riconosciute invece quali co-autrici dell’impresa psicoanalitica ai suoi esordi.
Il loro grosso contributo fu infatti quello di dar parola, in termini corporei, di malessere difficilmente inquadrabile, all’inconscio stesso, permettendo quel passaggio fondamentale dal "discorso sull’isteria" al "discorso dell’isterica", che ha aperto le porte della psichiatria al più primitivo linguaggio simbolico, gettando così le basi del pensiero psicoanalitico.
Al di là delle personali vicissitudini di ciascuno dei personaggi descritti è possibile ravvisare gli enormi sforzi che il pensiero, nato dall’intuizione di un grande uomo qual e fu Sigmund Freud, ha dovuto subire per svincolarsi da una sorta di marchio che, anzichè sviluppare, atrofizza.
Ancora una volta quello che emerge è il lavorio faticoso ma irrinunciabile cui il processo trasformativo sempre sottopone ogni pur brillante intuizione.
Ma farsi disponibili alla trasformazione significa accettare di far morire il padre dentro di sè, significa poter prendere distanza dal pensiero che ha generato il movimento stesso di cui si è parte, per poi tornarvi, forse, alla fine del ciclo trasformativo, per coglierlo nel suo senso nuovo.
E accettare tutto questo significa "peccare".
In questo senso il libro - pur presentando, ci pare, la pecca di focalizzare un solo filone del pensiero psicoanalitico, quello strettamente freudiano definendolo come l’unico - pur con queste mancanze, ha tuttavia il merito di concludersi con l’immagine dell’"eretica", personaggio che, per voce di Luce Irigaray, lancia l’urlo del dissenso, dando la misura di quanto ancora debba evolvere in quel campo del sapere che oggi chiamiamo "psicoanalisi", soprattutto là dove qualcuno, uomo o donna che sia, si erge a giudice, a detentore del vero, eludendo ogni richiamo alla trasformazione, unica garanzia di vita.
Riportiamo parte del "messaggio" che l’eretica inviò ai suoi colleghi rigidamente "ortodossi" in un suo infuocato scritto titolato "Miseria della psicoanalisi" che suona tutt’ora tristemente attuale: "Se l’inconscio fosse il risultato di censure, rimozioni imposte in e da una certa storia, ma anche di un non ancora avvenuto, la riserva di un avvenire, allora i vostri rigetti, censure, disconoscimenti ripiegherebbero il futuro sul passato. Voi ricondurreste continuamente il non ancora parlato o detto del linguaggio a ciò che un linguaggio avrebbe già paralizzato nel mutismo o tenuto nel silenzio.
Voi sareste quindi (a vostra insaputa?) i prodotti e i difensori di un ordine esistente... con l’incarico di farlo sussistere come l'unico possibile. "

Silvia Vegetti Finzi:Psicoanalisi al femminile Edizioni Laterza (1992).

Agnese Galotti


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