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N° 03 Laura Ottonello

Laura Ottonello

 CONFERENZE 

IL PARADOSSO EVOLUTIVO

Conflitto e paradosso quali elementi indispensabili al cammino coscienziale.

Partendo dal concetto di "paradosso" la prima associazione è quella che riguarda la contraddittorietà che lo caratterizza; e la contraddittorietà rimanda, per associazione, al conflitto ed alla conflittualità.
Il primo grande conflitto che coinvolge l’umanità è quello tra l’attività istintuale e l’attività culturale. L’uomo primitivo è quasi dominato dalla propria naturalità poichè è ancora troppo immerso nell’inconscio e lontano dalla coscienza.
Lentamente inizia a trasformare la propria energia istintuale in prodotto culturale, ma questo può avvenire solo attraverso il contenimento di quella stessa forza vitale e, successivamente, attraverso la mediazione simbolica.
L’uomo contemporaneo, che è il risultato di una lotta millenaria intesa a domare e a deviare l’energia per canalizzarla verso altre mete, è caratterizzato ancor oggi da questo conflitto, base che alimenta la stessa vita psichica.
Da una parte c’è la tendenza della libido (intesa come energia psichica e non solo sessuale) a seguire i dettami della vita istintiva.
Dall’altra c’è la tendenza dell’Io ad incanalare questa stessa energia in un’attività coerente e coesiva, e lo sforzo costante dell’uomo di ampliare l’ambito della propria coscienza e poter così disporre della propria energia psichica, sì da divenire arbitro e regolatore della propria vita istintiva.
In quest’antitesi si può riconoscere il conflitto di base tra la coscienza e l’inconscio, conflitto che nasce con la coscienza stessa e che, da sempre, traccia il cammino dell’evoluzione.
L’Io, come istanza cui tocca il compito di mediare tale conflittualità, è naturalmente coinvolto.
La coscienza, infatti, porta in sè, per la sua stessa sopravvivenza, la tendenza a reprimere l’inconscio che minaccia la sua esistenza.
La paura fondamentale è quella di essere inglobato, di perdersi nel vuoto e nell’indifferenziato, di fondersi in quel "nulla" (il non-Io) che l’inconscio rappresenta.
Da qui nasce la tensione fra opposti, condizione che, per essere superata, ha bisogno di un dialogo tra le due parti.
Lo stato di sanità mentale e la condizione "ideale" per il procedere della coscienza è dato da un processo costante, attraverso "fisiologiche" progressioni e regressioni, di interazione e integrazione tra coscienza ed inconscio.
Il modello dialettico introdotto dal pensiero junghiano si avvale di una concezione energetica che si basa sulla naturale conflittualità della psiche umana da cui scaturisce il fenomeno psichico inteso come manifestazione di energia.
"La civiltà - scrive Jung - è come una macchina: una macchina tecnica che sfrutta condizioni naturali per convertire energia fisica e chimica; ma anche una macchina spirituale che sfrutta condizioni spirituali per convertire la libido." Lo strumento psicologico che trasforma l’energia psichica è il simbolo. Nasce, dapprima inconsciamente, come progetto di armonizzazione di opposti in tensione reciproca, laddove l’uomo può evolvere e trasformare la natura in cultura solo abbracciando, di volta in volta, ora l’uno ora l’altro i due termini del conflitto.
Il simbolo è quindi la raffigurazione della stessa tensione vitale che, conoscendo se stessa, diventa un prodotto della conoscenza: portando in sè sia il darsi immediato dell’esperienza, sia il contenimento dell’energia pulsionale, porta in sè la sintesi di entrambi i movimenti energetici che l’uomo utilizza per fare conoscenza.
Lo sviluppo della personalità, che prendo ad esempio per parlare di tutto il processo evolutivo umano, passa dunque attraverso il ripetuto confronto con il conflitto e la contraddittorietà. Ed è qui che entra in gioco un’importante funzione dell’Io.
Quando l’uomo affronta il conflitto può finalmente prendere distanza da se stesso e, come fosse un terzo occhio esterno, può guardarsi. In tal modo egli sperimenta la libertà di disporre della propria energia.
Rispondendo in modo affermativo a ciò che in lui si dà, accoglie il suo destino, che, in ultima analisi, coincide con il Sè.
Jung, parlando di evoluzione umana, si riferisce a due concetti, due modalità specifiche e complementari: una è la volontà cosciente dell’Io, l’altra è l’impulso vitale del Sè.
Dal punto di vista filogenetico ed ontogenetico, la coscienza (l’Io) non è una formazione primaria; è importante riconoscere questa realtà.
Credo che questa esortazione sia molto attuale dal momento che, nella coscienza prevalente, la presunzione dell’Ego è molto forte.
L’uomo si identifica troppo spesso con la funzione egoica, e lo fa in modo eccessivo, convergendo le sue energie verso tutte quelle attività che tendono a controllare la realtà, sia quella esterna sia quella interna.
In questo senso si può parlare di "tirannia dell’Ego", guardando ad esso come ad un sistema che spesso non solo non si interroga, ma zittisce l’individuo ogni volta che c’è un conflitto, e come un rigido dittatore, sentenzia, codifica, etichetta e mette in atto tutti quegli atteggiamenti che hanno la funzione di rimuoverlo.
"Sotterrando" il disagio, la funzione cosciente dell’Ego finisce con il distruggere, proprio nel tentativo di "salvare", la stessa forza vitale.
Ma la psiche, come si è detto, non è una sistema chiuso, stabile e cristallizzato, nè tantomeno si identifica con la sola funzione cosciente, ma è il risultato di una polarità; come ogni energia, anche l’anima umana possiede una polarità interna che costituisce l’indispensabile premessa alla sua vitalità.
Nell’unilateralità la psiche si disgrega e perde la capacità di conoscere ed evolvere.
Al contrario, le coppie di opposti e il loro contraddirsi costituiscono la premessa indispensabile e l’essenza del pro cesso evolutivo.
L’uomo ha potuto evolvere solo rompendo col precedente stato di beatitudine ed equilibrio, dando spazio a quel piccolo elemento in più o in meno, quel "satiretto", quel "demone", quel "fuoco interiore" che non dà pace, quell’interferenza che crea squilibrio, tensione e conflittualità.
Limite che, per la sua stessa presenza, chiede di essere superato.
L’uomo, dunque, non esaurisce la sua funzione esistenziale con il controllo cosciente della realtà ma, una volta riconosciuta e accettata, al suo interno, la conflittualità, questa assume il carattere di peculiarità essenziale al procedere della vita stessa.
Tale percorso, che Jung definisce, "Individuazione" si realizza attraverso la realizzazione del Sè (il Selbst) , quell’entità sovraordinata all’io cosciente.
Il Sè è quel luogo della psiche che abbraccia coscienza e inconscio, tende all’unità degli opposti, alla compiutezza, alla totalità.
E’ un concetto dinamico in quanto si riferisce all’esperienza che l’uomo fa del continuo superamento del conflitto, che in lui si dà.
E’ sinonimo di un processo che si realizza nell’uomo e orienta la sua esistenza, ed al tempo stesso si realizza tramite lui e grazie al suo impegno individuale.
Il Sè è una condizione esistenziale che incarna la contraddittorietà e il paradosso perchè tutto contiene: riguarda il processo continuo dell’uomo che si sperimenta come soggetto e oggetto contemporaneamente; come centro e come ambito della propria esistenza totale; come momento di sintesi e al tempo stesso di conflitto della propria vita psichica.
L’uomo, nel corso dei millenni, si è affidato, seppure inconsciamente, al Sè (sono le immagini archetipiche a rivelarlo) e, in virtù del suo spirito riflessivo, si è sollevato dalla condizione animale trasformando la natura in cultura.
L’uomo contemporaneo che percorre la via dell’individuazione, anche il più semplice degli uomini, non è molto distante dall’eroe della mitologia poichè anch’egli, come i grandi del passato, deve affrontare questioni che per lui sono cruciali, e "patire" in prima persona alla ricerca di un suo specifico significato, di una sua soluzione personale.
Una soluzione che, sebbene comune a tanti altri uomini , ha dovuto, per diventare vera, attraversare l’individuo, ha dovuto essere "macinata" e sofferta.
L’individuo che si pone di fronte ad un conflitto morale, è solo, e non può più aderire acriticamente al già dato.
L’uomo che si interroga, perchè incalzato dalla necessità di farlo, ascolta se stesso ma, facendolo, si trova a dover affrontare quei vissuti laceranti che il conflitto porta in sè; perchè accettare la contraddittorietà significa accettare le due facce di Dio: la sua infinita bontà ma anche la sua assurda tirannia.
Ma chi "sceglie" la via dell’individuazione (in una metafora utilizzata da Jung il "pescatore", diventa poi il "pescato"...) non lo fa semplicemente perchè glielo ha consigliato qualcuno, o perchè ne comprende a pieno il senso.
Crede di essere sempre il padrone del suo destino ma non lo è mai fino in fondo! Intuisce, ma non sa cosa lo aspetta: se sapesse in anticipo, forse rinuncerebbe.
Spesso chi entra in analisi nutre tre aspettative di benessere e di guarigione definitiva dal disagio. Non sa che il cammino interiore è un viaggio che lo porterà nelle profondità dell’Essere: incontrare se stessi è forse la prova più ardua da affrontare.
Penso al Budda che, seduto in meditazione sotto l’albero, dovette affrontare le innumerevoli prove inflittegli da Mara (l’Illusione) , divinità negativa degli Inferi. Questi cercò invano di sedurlo inviandogli le sue bellissime figlie: Concupiscenza, Inquietudine e Voluttà.
Ma l’ultima prova estrema da superare era il confronto con l a propria immagine interiore; solo con una grande forza per reggerne i l peso senza farsi catturare Budda giunse all’illuminazione.
Ci vuole coraggio per incontrare se stessi ma è indispensabile per poter entrare davvero nel ciclo evolutivo, cioè nella storia. Impresa che nulla ha a che vedere con l’esperienza razionale; la coscienza interviene dopo, accogliendo le mille sfaccettature (anche quelle meno gradite) che appartengono alla nostra più profonda e globale personalità.
Chi intraprende una qualsiasi via di conoscenza (io mi riferisco all’analisi perchè questa conosco bene) è spinto da un’inderogabile necessità interiore. Necessità che si deve sposare con la volontà cosciente per poter dire un sincero "si": il Sè (come totalità che già porta dentro tutto) incalza l’individuo a procedere, e l’Io (quale funzione coscienziale) dà il consenso.
Ma il processo d’Individuazione, come la vita stessa, che è di una grandiosa e stupefacente bellezza ma anche spaventosamente cruda e violenta, non è garbato e non agisce secondo la volontà del Soggetto, non chiede il permesso di "strapazzarlo", se questo è ciò che gli è destinato.
E così, come è vero che la voce interiore del soggetto è la voce di una vita ricca e piena, ed è la voce di una scienza più ampia, è anche vero che il Sè, come forza cosmica che sovrasta le nostre piccole esistenze, cattura l’uomo per proiettarlo senza tanti complimenti nel ciclo evolutivo dell’Essere.
Ciò che accade, pur consumandosi nell’ordinarietà del quotidiano, è qualcosa di unico, grandioso ed irripetibile poichè l’uomo che incontra se stesso, e con se stesso la vita, diviene quell’individuo unico ed irripetibile che già in potenza E’.
E’ la tirannia del Sè: l’uomo, essendo una parte del tutto, non può comprenderlo, nè controllarlo; è alla sua mercé. Può accondiscendere (e affidarsi) oppure ribellarsi, ma sempre ne è preda e prigioniero; ne dipende, ma, allo stesso tempo, ne è sostenuto.
Jung, al proposito, parla di "demone" interiore: può manifestarsi attraverso un sintomo psicologico, una malattia, una relazione difficile o un disagio esistenziale.
Qualunque cosa esso sia, se il nostro compito è segnato dall’obbligo di fare coscienza esso non ci darà tregua sino a che non gli daremo ascolto, sino a che non l’avremo visto e patito fino in fondo per poterlo, finalmente, trasformare in parola e "tesoro per l’umanità".
Il sintomo stesso, inteso come condizione che limita la pienezza dell’esistenza, è un paradosso poichè, attraverso la sua spiacevole presenza, segnala che si può e si deve sta re meglio...
Come è vero che il miglior modo per affrontare il cosidetto "nemico" è conoscerlo... Questo è quanto avviene in analisi quando inizia il confronto con l’ Ombra, quella parte che tendiamo spesso a rimuovere, ridurre o a controllare razionalmente.
Ma è proprio dall’incontro con l’Ombra che avviene la trasformazione, non può essere altrimenti: unicità e limitatezza sono sinonimi. Solo riconoscendo la propria unicità ma anche il proprio limite (accettando, quindi, la possibilità di errare e di essere, anche, infelici) è possibile riconoscere l’illimitato.
L’analisi stessa costringe a convivere col paradosso e richiede un grosso esercizio di contenimento: se da un lato l’individuo è impegnato in un rapporto continuativo alla ricerca di una maggior libertà, dall’altro le condizioni stabilite dall’accordo terapeutico non sembrano affatto garantirla.
Per far questo è indispensabile l’affidamento; ancora nella contraddittorietà, spesso c’è bisogno di silenzio, accanto all’urgenza di agire, collocare, definire e, con questo il rischio di allentare una tensione che è preziosa. E’ un allenamento alla sospensione del giudizio, compito non da poco per i nostri usuali abiti mentali! Al proposito cito il sogno di una donna che si sentiva fortemente incalzata a definire una questione d’amore ancora aperta:

Una voce le diceva che il suo fare doveva essere il non-fare.

Consegna non facile da portare avanti, quando sarebbe molto più semplice "chiudere" definitivamente (e quindi zittire una volta per tutte) un conflitto che fa soffrire. Ma il dubbio - e la solitudine - sono una prerogativa del processo evolutivo cui non è possibile rinunciare.
Paradossalmente, io devo tacere per poter poi parlare, così come devo arrendermi per non soccombere. Devo accettare il silenzio, il vuoto e l’assenza di significato per trovare la parola e il senso; devo conoscere la mancanza per comprendere la pienezza.
Solo perdendo tutto è possibile riprendersi tutto e molto di più; solo la resa totale dell’Io permette la piena realizzazione del Sè ed un consapevole vissuto di interezza.
Ricordo le parole di Cristo in un passo del Vangelo che recitano: "Chi tiene la vita la perderà. Chi perde la vita la troverà".
Simbolicamente, questo non significa ritiro dal mondo relazionale e rinuncia ai beni materiali, ma un abbandono dell’atteggiamento controllante, per ritrovare in sè un significato più pieno del nostro esistere, e per poterci riconoscere come un degno particolare nel regno dell’universale.
L’uomo, nel suo relazionarsi con gli altri uomini, conosce se stesso grazie alla interazione con l’altro; è nel rispecchiamento reciproco che imparo a distinguere e ad integrare la visione tra l" Io" e il "Me", il mio essere soggetto e oggetto allo stesso tempo.
Ma se si resta "incollati" nel rapporto con l’altro si resta invischiati nell’interdipendenza, nella unilateralità e nella rimozione poichè, restando imprigionati nei ruoli e nei copioni non si accede alla dialettica.
L’evoluzione non ci sottrae al rapporto, anzi di questo si nutre. Ma l’uomo chiamato ad individuarsi non può opporsi al suo compito esistenziale, e così finisce con il doversi confrontare con se stesso e con l’altro ritrovandosi, suo malgrado, in quella stessa contraddittorietà che vorrebbe evitare perchè fonte d’ansia.
Chi si inoltra nel "cuore" della vita deve imparare a reggere quella solitudine, quell’angoscia e quel vuoto identificatorio che sembrano precludere definitivamente quella stessa libertà agognata.
L’uomo che procede sulla via del divenire diventa più consapevole e amplifica la conoscenza di sè e dell’altro da sè, e quindi acquisisce potere sulla vita poichè maggior consapevolezza significa maggior libertà.
Eppure, allo stesso tempo, ha sempre poco potere sulla sua vita, poichè non è libero: è incatenato e spinto dal suo demone interiore; costretto nelle vie più tortuose, lungo sentieri che per molti sono impraticabili se non impensabili, e sospinto, come da una legge interiore che non lascia libertà di scelta, verso una direzione che porta ad una libertà nel senso più pieno della parola. "Lo sviluppo della personalità - scrive Jung - è un dono e una disgrazia." Una frase semplice che può dare la misura di ciò che intendo.
L’evoluzione verso una maggior consapevolezza è un cammino lento e tortuoso che passa spesso attraverso la lacerazione e il confronto con l’assurdo, il non-senso e la paradossalità. Solo scollandomi, non senza dolore, solitudine e angoscia, quella sorta di identità simbiotica con l’altro che mi dava un senso, seppur precario, di interezza, posso ritornare a un senso più pieno ed autentico della relazione.
E’ la nascita della Soggettività, una nuova dimensione, uno spazio conoscitivo in divenire che mi porta a sviluppare una forma viva e crescente di "bisogno dell’altro". Una condizione esistenziale, unendomi ad un’espressione di Jung mi fa dire: "ho bisogno degli uomini molto più degli altri, ed al tempo stesso molto meno" poichè l’altro empirico non è più solo la mia stampella e la mia parte mancante ma è l’Essere che in lui incontro.
Conflitto, paradosso ed evoluzione formano un tutt’uno inscindibile; per questo, parlando della morte, scrive la Von Franz: "Gli affetti dell’anima non vanno repressi e superati; si tratta invece di confrontarsi con essi e di cercarne il senso nascosto dietro l’apparenza del desiderio o della volontà pratica.
Non è un compito facile poichè è nella natura degli affetti di spingerci ad azioni impulsive o ad un attaccamento appassionato alle immaginate condizioni del mondo esterno." Per cogliere il senso nascosto delle cose ed il significato profondo della nostra esistenza occorre una decisione consapevole, una svolta che porti a confrontarsi senza riserve con le proprie emozioni: questo significa affrontare il conflitto.
C’è un mio sogno recente, che mi piace raccontare perchè, a mio avviso, è emblematico di quanto vado dicendo sulla contraddittorietà della condizione umana.
Qui non sembra esserci alcuna distanza tra vita e morte: "Sono al pad. 5, un reparto tristemente noto per il tipo di patologia che tratta e per la giovane età dei pazienti (ematologia) , tutti destinati a morire precocemente. Il personale in servizio è composto esclusivamente da persone giovani e belle che incarnano vistosamente l’idea di energia vitale: i giovani, che vestono abiti sportivi (e non la divisa) si spostano gioiosi correndo su e giù per i corridoi su uno skate." Quando si "entra" nel conflitto ci si prepara ad una metamorfosi attraverso un passaggio che porta all’unificazione degli opposti; una sintesi solo temporanea poichè il processo si sviluppa attraverso ulteriori tesi, antitesi e sintesi.
Prima di concludere vorrei prendere in prestito alcuni concetti dal mondo della fisica per sviluppare, brevemente, attraverso un’altra metafora, la paradossalità inerente la materia.
J.E. Charon, un fisico francese contemporaneo, ha trattato in un suo libro che si intitola "Il Tutto" il tentativo, tuttora vivo nell’ambito della sua disciplina, di unire le quattro forze fisiche. Charon si sofferma sulla descrizione delle particelle elementari, gli elementi più piccoli osservabili della materia.
La particella è composta dal corpo, che corrisponde alla realtà visibile e misurabile, e dalla testa, che corrisponde all’onda di energia e all’immaginario, è in funzione della memoria e della coscienza.
Le particelle elementari hanno inscritto in memoria miliardi di anni di informazioni.
L’"onda psi" compie movimenti ondulatori che consentono uno sguardo sul mondo esterno (una visione piccola e ristretta di un "pezzetto" di universo) e il suo mondo interno (esattamente come fa l’uomo) in rapporto anche al passato e alle informazioni immagazzinate in memoria.
Questo dà luogo alla scelta di un preciso comportamento tra un insieme di scelte possibili, agito come comportamento funzionale in solidarietà con il Cosmo intero.
Questa scelta viene definita da Charon la non-scelta della particella in quanto essa non agisce solo per sè ma anche per il Tutto. Il Tutto è composto, come si è detto, da materia e spirito (o, come dice Charon, da Realtà e Immaginario) è visto come un movimento evolutivo continuo in funzione di un processo di crescente coscientizzazione.
Credo che quanto è stato affermato a proposito delle particelle elementari possa essere riportato all’Uomo, visto come Organismo globale composto da miliardi di particelle elementari e che, allargando ancora il cono di visione, l’uomo stesso possa essere visto come uno dei miliardi di elementi del Cosmo che agisce, credendo di scegliere, in un processo intelligente che lo trascende.

Genova 25 Novembre 1994

Laura Ottonello


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