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N° 9 Maria Campolo
 CONFERENZA 

L'AMORE COME PROCESSO CONOSCITIVO

"Natura morta con mela"

Prima di d’affrontare l’argomento di questo incontro, vorrei delineare molto brevemente, lo sfondo entro il quale collocare l’amore e i suoi "copioni".

L’uomo, così come ogni esistente, prende forma attraverso vari elementi: chimici, biologici, psichici; elementi che appartengono all’ambiente, storici, cose, avvenimenti ecc.

Egli è immerso nel divenire, e trae se stesso dal continuo rapporto che instaura tra sè ed il Tutto, o per meglio dire, tra sè e tutto ciò che egli non è. Attraverso le varie esperienze che l’uomo vive, e in modo particolare attraverso la relazione con i suoi simili, perviene a "formare se stesso", prendendo così corpo ciò che a priori si dava solo come potenzialità.

La relazione è quindi il mezzo attraverso il quale l’essere umano struttura l’io, lo delimita; si rende consapevole delle proprie capacità e dei propri limiti, arricchendo di volta in volta la propria persona, incrementando la propria consapevolezza.

Quando l’individuo nella relazione che instaura con il mondo, lascia che l’interlocutore (qualunque cosa o chiunque egli sia) venga accolto dentro sè, quando cioè si lascia penetrare dall’esperienza tanto che questa riesca a modificare ciò che egli già è, egli ha fatto nuova conoscenza, ha allargato i confini di se stesso.

Ma cosa è quella tensione che nasce nella parte più profonda dell’essere vivente e spinge verso il mondo se non l’Amore? Amore inteso quindi come tensione che con impeto si fa strada nell’uomo e lo protende verso ciò che viene percepito come Bene; tensione che spinge verso l’oggetto d’amore e che porta con sè il bisogno di essere soddisfatto entrando in relazione con l’oggetto amato.

Questo bisogno di relazione, dice la Montefoschi, non può essere identificato con i requisiti essenziali dell’esistere stesso, in quanto nel dire che l’essere vivente ha bisogno di respirare e di nutrirsi è come dire che è possibile concepire un esistente già in mancanza di respiro e di nutrizione tanto che arriva, appunto, ad averne bisogno, mentre la vita si dà proprio nel momento in cui sono presenti respiro e nutrizione. Il concetto di bisogno implica piuttosto uno stato di "incompletezza" dell’essere che nell’uomo è suscitato dall’amore e che richiede di essere soddisfatto pena la qualità stessa dell’esistenza umana. Inoltre aggiungerei che questa incompletezza viene appagata solo quando nel rapporto che viene instaurato si riesca a cogliere l’essenza dell’oggetto d’amore, così che l’uomo abbia la percezione di integrità di se stesso.

E’ infatti la capacità di cogliere questa essenza che rende particolarissima la relazione umana. Nel senso che anche gli animali entrano in relazione con l’ambiente, ma il loro entrare in rapporto è regolato solo da leggi naturali.

Non sempre la relazione che l’uomo ha con il mondo viene caratterizzata dalla sua capacità simbolica, ad esempio un uomo ha fame e istintivamente afferra una mela per nutrirsene.
Il suo agire è dovuto da una necessità biologica che soddisfa in modo "automatico": mangia il frutto, ne assimila le sostanze nutritive. La relazione uomo/frutto in questo caso non ha portato nessuna informazione nuova al bagaglio di conoscenza dell’uomo.

Ma può avvenire che lo stesso uomo "incontri" la mela in modo differente, che nel vedere la mela scatti qualcosa che richiama la sua attenzione. Ora il suo guardare la mela non è soltanto percepire ciò che colpisce i cinque sensi (vedere la forma dell’oggetto, i colori, il profumo ecc.) ma è cogliere quell’oggetto nell’essenza, il simbolo che quel frutto gli richiama. Inoltre se l’"incontro" avviene tra una mela è un artista, mettiamo Cesanne, ecco che la creatività umana produce uno dei suoi capolavori: "Natura morta con mela".
Inoltre affinchè la mela, per restare nell’esempio, possa essere vista nella sua essenza l’uomo ha dovuto "dimenticare" l’io, distogliere l’attenzione da se stesso per permettere che l’oggetto fosse introiettato e poterlo vedere con occhi nuovi. Questo vale per ogni esperienza, per poter essere nuova conoscenza deve l’individuo essere libero da pre-giudizi. I suoi rapporti non dovrebbero essere, come sono, impostati in base all’interdipendenza, al ruolo, tema questo che è stato più volte affrontato nelle conferenze precedenti, e su cuinon mi dilungherò ulteriormente.

Libertà, da sempre si discute se esiste oppure no, e se esiste in che termini si dia ecc. La libertà emerge come l’altra faccia dell’immutabilità, da tutto ciò che è e che non è dipeso dalla propria volontà : abbiamo questo corpo,siamo nati da quei genitori e non da altri, in quest’epoca anzichè in un’altra ecc.

Eppure la libertà appartiene alla natura umana, la distingue da ogni altro vivente calato solo nelleleggi naturali. Certoè impossibile dimostrare la libertà attraverso esperimenti scientifici, in astratto. Anche lei, come l’amore, prende forma quando è agita.
L’uomo sa di essere libero ogni volta che accoglie una sua esigenza interiore che nasca dalla profondità del suo essere e la esprima nel suo agire dando così vita alla sua più intima essenza.
Dunque libertà che non vuol dire essere liberi "da" ma piuttosto essere liberi "per", e in questo caso essere liberi per amare, libertà che rimanda direttamente alla responsabilità che ognuno si assume in ogni scelta che compie, fosse anche quella di non voler scegliere.
Congiunto a elementi quali: necessità, libertà, ricerca dell’essenza prende corpo l’amore, amore che è sempre amore per qualcosa.

Una delle forme d’amore è l’amore verso se stessi. Ci si può chiedere quando c’è davvero amore o quando è solo uno dei copioni dell’amore. Amare se stessi richiama all’amore verso la propria individualità, quindi amore per il particolare, ed essere una particolarità non è di per sè nè buono nè cattivo.
Il particolare assume valore quando viene colto nella sua universalità, nella sua essenza, ovvero in un significato più ampio che trascende l’individuo stesso.

La sacralità di se stessi quali individui è celebrata ogni volta che con umiltà vengano accolte le istanze più profonde, ogni qualvolta l’uomo sente la necessità di essere e di essere in libertà, quando egli si fa carico di sè, quando si impegna affinchè diventi ciò che egli è. Questo io credo sia amore verso se stessi.

Non lo è quando, anzichè accogliere le istanze che giungono dal Tu interiore, le energie vengono invece spese alla ricerca di conferme di ciò che si è "deciso" essere la propria persona, assumendo un ruolo che deve essere quello per ora e per sempre.

Non lo è quando si sceglie uno tra i vari "copioni" già confezionati che il sociale propone, e lo si "indossa" adattandolo a sè e poco male se dentro quei panni non ci si sente a proprio agio.

Non è amore quando anzichè individuarsi ci si identifica con un ruolo, nell'illusione che questo "costi" meno fatica. Amore per se stessi è invece impegno, fatica, esercizio, così come lo richiede qualsiasi forma d’amore. L’amore è forza rivoluzionaria. Può pretendere che per amore di se stessi si getti via tutto ciò che fin qui si è costruito, che ci si inoltri su sentieri mai percorsi e dare così vita a quell'individuo irripetibile che ciascuno è.

Una certa tradizione cristiana ha alimentato la concezione che amare il prossimo sia cosa più meritevole che amare se stessi, eppure il concetto biblico recita "Ama il prossimo tuo come te stesso" dove l’amore per noi stessi è preso come pietra di paragone, per così dire, dell’amore che portiamo per l’altro.

L’amore di fatto è una capacità, è un modo che noi abbiamo, ed è quello che è, sia quando prende forma nell’amore verso se stessi, sia quando è rivolto all’altro. Se non si ama se stessi non si è in grado nemmeno d’amare l’altro, chiunque esso sia.
Tra i tanti modi in cui l’amore per l’altro prende forma uno, il più celebrato, è l’amore per il partner, è l’innamorarsi.

Il demone dell’amore si impossessa dell'innamorato e tutto in lui urge, con un impeto mai vissuto prima, per possedere l’oggetto d’amore. Tutte le difese cadono e ciò che egli vuole è poter essere un tutt’uno con l’altro, fondersi in esso.

Nel vedere l’altro e nel volerlo come rappresentante di tutto ciò che è bene, bello, simbolo stesso della vita, di fatto l’amato viene idealizzato; viene visto solo nella sua veste migliore, si proietta su di lui tutto il meglio di se stessi, l’amato diviene così la propria anima. Si pensa che come quella persona non ve ne siano altre così degne d’amore ed è per questo che desideriamo il suo amore. Ma tutto ciò non è ancora amore, perchè per essere tale richiede che l’altro venga visto nella sua essenza, che l’amato venga visto per ciò che egli è ed amato per questo; che lui sia libero quanto l’altro nel rapporto d’amore e nella proiezione di cui è oggetto, l’altro emerge molto a fatica, nè può essere libero.

Inoltre dire che amo l’altro nella sua essenza, nella sacralità della sua individualità vuol dire amare in lui l’essenza umana, quella stessa universalità che in lui si dà; quella stessa sacralità che si è scoperta in se stessi.

Amare l’altro significa volere il suo bene, anche se a volte non coincide con i nostri desideri; fare il "tifo" per lui; è amore disancorato dalle aspettative. Quindi v’è un percorso da compiere per giungere ad amare, non nasce spontaneo.

Spontaneo, non voluto è il sentimento nel momento in cui nasce. E’ qualcosa che non dipende da noi, nasce ed investe d’amore quella persona e non un’altra. Tutto ciò fa parte della sfera dell’immutabile, del destino. Rimane un mistero perchè proprio attraverso l’amore di quella persona si possa sperimentare l’amore universale.

E sarà allora sotto questa luce che mi rivolgo e amo l’altro (e per altro mi riferisco non solo al compagno ma a qualsisasi persona venga investita dal mio amore) e certo quella persona è proprio quella nella sua individualità unica, irripetibile. Certo nessun altro avrà mai quegli occhi, nessuno sarà esattamente come lui, nessuno vedrà il mondo e lo amerà in quel modo. Irripetibile eppure appartenente all’eternità, in lui come in ciascuno di noi l’Essere gioca tutte le sue carte, tutte le sue chances, come se ognuno di noi fosse l’unico, il solo essere vivente.

L’Essere affida ad ogni uomo, proprio come se fosse l’unico, tutto il patrimonio evolutivo che è stato prodotto e affida a lui la possibilità che altra coscienza, altra evoluzione in lui si dia.

Ecco perchè nei sogni il fanciullo divino simbolo del Sè, prende spesso l’aspetto di un bambino bisognoso. In un sogno un bambino povero dava tutto il suo denaro alla sognatrice che aveva perso il senso della sua esistenza, affinchè potesse far ritorno a casa e nel sogno era detto che lui rischia tutto ciò che possiede senza sapere se ne avrà oppure no un ritorno.

Da quanto ho detto emerge dunque come sia impossibile scindere il processo conoscitivo dall’amore; essi sono intrecciati, evolvono insieme lungo la vita dell’uomo. Non c’è conoscenza se non vi è amore.
Amore che prende forma di volta in volta in oggetti differenti. E' come se l’Essere avesse escogitato, attraverso l’Amore, un modo "divino" per giungere a lui. Ci fa innamorare delle splendide forme della natura, del compagno, dell’uomo universale ma tutte queste differenti forme d’amore portano in fine ad amare l'Essere. Affinchè l’uomo, come dice Platone: " non abbia più una vita miserabile" occorre che egli "veda" l'Essere e la sua Bellezza. Solo cosi' egli realizza completamente il suo destino.

1 Luglio 1994

Maria Campolo


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