Home Anno 15° N° 56 Pag. 4° Maggio 2006 Tullio Tommasi


Tullio Tommasi
 PROFILI 

SILVIA MONTEFOSCHI: UN PENSIERO IN DIVENIRE

Montefoschi puņ essere considerata la prima in Italia che, ormai trent'anni fa, in ambito junghiano ha posto il problema relazionale come la chiave interpretativa della psiche umana.

Negli anni '70 la figura di Silvia Montefoschi è stata molto importante nell'ambito della Psicologia Analitica in Italia. Non è la prima scheda che le dedichiamo ma ci pare importante indicarla a chi, forse, giovane giovane, ancora non sa di lei Nel risvolto di copertina del primo libro "L'uno e l'altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico" edito nel 1977 da Feltrinelli, si legge:
"Silvia Montefoschi, medico e psicoanalista, è nata a Roma nel 1926.
Si è presto orientata verso la psicologia del profondo ad orientamento junghiano e nel 1952 inizia la sua analisi personale con Ernst Bernhard. Membro della società Internazionale di Psicologia Analitica e membro fondatore dell'Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA), ha lavorato nel Centro Studi di Psicoterapia Clinica di Milano, promosso da Pier Francesco Galli. Intorno al 1970 è uscita spontaneamente dall'AIPA e dalla Società Internazionale per coerenza alla sua linea di pensiero circa l'incompatibilità delle strutture gerarchiche istituzionalizzate con lo sviluppo della personalità dell'analista." Queste brevi note biografiche indicano già la personalità particolare dell'autrice che, proprio per i suoi interessi a largo spettro, ha sempre rappresentato una ricca sintesi culturale difficilmente inquadrabile.
Il grande fermento culturale che ha caratterizzato quell'epoca riguardava vari ambiti quali il dibattito epistemologico, il movimento femminista, la diffusione dell'impegno politico con la relativa riflessione sociologica, e toccava necessariamente anche la psicoanalisi. Montefoschi ha approfondito ciascuno di questi argomenti contribuendo a rinnovare, in modo significativo, i vecchi paradigmi di riferimento.
Il suo primo libro segna un grande avvenimento culturale, capace di rompere con la tradizione psicoanalitica del tempo. L'opera è frutto di vent'anni di esperienza clinica dell'autrice, che qui si apre ad una riflessione viva sulla propria prassi analitica, pervenendo a nuove formulazioni teoriche. Il testo nasce dall'esigenza dell'autrice di testimoniare la possibilità, per il metodo psicoanalitico, di porsi nell'attuale contesto storico come uno strumento di trasformazione per l'uomo e per il sociale. Partendo dalla sua esperienza diretta, Montefoschi mette in rilievo come la prassi psicoanalitica abbandoni ogni riferimento al metodo oggettivante per appropriarsi del metodo dialettico, proprio delle scienze storico-sociali.
Le considerazioni svolte nel primo libro, e poi approfondite nei successivi, toccano alcuni temi che oggi sono diventati oggetto di discussione comune, al di là delle singole scuole psicologiche e psicoanalitiche .
Quindi a distanza di trent'anni le tematiche affrontate da Montefoschi suonano come anticipatrici del dibattito psicoanalitico attuale.
E' sufficiente leggere il sottotitolo del primo libro per averne una prova evidente: intersoggettività è termine che in questi ultimi anni è diventato di uso comune sulla scena psicoanalitica mondiale, grazie ad autori americani come Mitchell, Stolorow, Atwood e altri.
Se questo argomento costituisce l'innovazione più evidente, altre tematiche sono altrettanto rilevanti e continuano ancora oggi a costituire dei problemi aperti che richiedono ulteriore approfondimento: la dialettica tra individuale e sociale, l'identificazione del ruolo della donna nella maternità, la discussione epistemologica sull'interazione soggetto _ oggetto, per dirne alcuni.
Dopo il successo iniziale, nel periodo in cui vengono pubblicati da Feltrinelli i primi testi, il pensiero di Montefoschi si allontana sempre più dall'ambito strettamente psicoanalitico per intraprendere percorsi che si avvicinano maggiormente a tematiche mistico_filosofiche, che mettono in risalto la dimensione universale rispetto a quella individuale. Sebbene questo pensiero sia una diretta conseguenza della prima impostazione e abbia notevoli spunti di interesse, risulta lontano da quella che può essere la pratica clinica.
Questo fattore, unito ad una scelta dell'autrice di prendere le distanze dalla dimensione istituzionale, ha determinato una progressiva riduzione dell'eco del suo pensiero nel mondo psicoanalitico e i suoi concetti innovativi sono stati in parte dimenticati. Non è un caso che, se in quell'epoca Montefoschi veniva spesso citata, oggigiorno il suo nome compare molto raramente nelle bibliografie e viene in genere solo ricordata come divulgatrice del pensiero junghiano: interessante a riguardo il libro "C.G.Jung: un pensiero in divenire", Ed. Garzanti, 1985; inoltre Montefoschi ha curato il paragrafo relativo alla Psicologia Analitica nella Enciclopedia Garzanti di Filosofia ,1981.
In questi anni la figura di Jessica Benjamin assume grande importanza per il nuovo dibattito intersoggettivo e la figura della donna nell'attuale società. Certe considerazioni sulla donna sono in realtà molto simili all'analisi di Montefoschi che, anche in questo ambito, è riuscita ad assumere una posizione fuori dai ranghi; infatti non ha seguito un pensiero femminista tipico dell'epoca (anzi, è stata piuttosto critica nei suoi riguardi) e non ha abbracciato acriticamente le teorie psicoanalitiche che risultavano tutte espressione di una mentalità maschile. Inoltre non ha focalizzato il suo interesse sull'interazione madre-bambino, tema su cui spesso le psicoanaliste donne hanno concentrato la loro attenzione, ma ha posto il problema della soggettività della donna svincolato dal ruolo di madre, allargando gli orizzonti della soggettività femminile e sviluppando un discorso che guardasse al soggetto umano come sintesi di maschile e femminile, partendo dalla classica trattazione junghiana.
E' interessante notare come, al di là di differenze anche sostanziali, certi nuovi paradigmi tendono a emergere nel momento in cui i vecchi appaiono non più sufficienti a comprendere la realtà presente. L'ipotesi della mente isolata e sostanzialmente intrapsichica che vedeva il primato delle pulsioni ha, salvo poche eccezioni, dominato nel panorama psicoanalitico mondiale; nella seconda metà del ventesimo secolo si è però assistito all'emergere di nuove teorizzazioni che hanno via via mostrato i limiti della vecchia impostazione sostituendola con una teoria più relazionale. Oggigiorno tale paradigma si sta imponendo, sia da un punto di vista teorico che clinico, al di là delle varie scuole e differenze. Montefoschi può essere considerata la prima in Italia che, ormai trent'anni fa, in ambito junghiano ha posto il problema relazionale come la chiave interpretativa della psiche umana. Il suo pensiero non si è limitato alla teorizzazione da un punto di vista clinico ma ha parallelamente sviluppato un discorso più sociale, nell'ipotesi che il contesto storico-culturale e l'individuo siano due polarità in continua interazione che si influenzano a vicenda, secondo una tradizione marxiana che l'autrice approfondisce.
E' notizia di poco tempo fa il progetto editoriale di pubblicare l'opera omnia di Montefoschi, in quattro volumi (il primo da poco pubblicato) presso la casa editrice Zephyro. Tale avvenimento può contribuire a una riscoperta del pensiero di questa autrice dato che buona parte dei suoi libri (Feltrinelli e Cortina)
sono esauriti.


Tullio Tommasi


 HOME     TOP   
Tutti i diritti sui testi qui consultabili
sono di esclusiva proprieta' dell'Associazione G.E.A. e dei rispettivi Autori.
Per qualsiasi utilizzo, anche non commerciale,
si prega prima di contattarci:

Associazione GEA
GENOVA - Via Palestro 19/8 - Tel. 339 5407999