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PROFILI
THOMAS SZASZ
Al Festival della Psicoanalisi: Una vita contro gli esperti dell'oppressione
Thomas Szasz è nato a Budapest nel 1920, si è trasferito negli Stati Uniti nel 1938, si è laureato in fisica e poi in medicina all'Università di Cincinnati, ha compiuto il training psichiatrico all'Università di Chicago e quello psicoanalitico al Chicago Institute for Psychoanalysis.
Szasz è dal 1956 professore emerito di psichiatria al Centro Scientifico sulla Salute della State University a New York, nonché studioso associato del Cato Institute a Washington D.C. E' considerato tra i massimi esponenti della psicoanalisi mondiale.
A Szasz è stato riconosciuto il premio Mencken. Egli è autore di molti libri tra i quali "Farmacrazia, medicina e politica in America" (2000), che l'economista Milton Friedman ha definito "Un appassionato ammonimento sui pericoli della conversione del `welfare state' in Stato Terapeutico".
Il suo libro più recente è "Liberation by Oppression: a Comparative Study of Slavery and Psychiatry".
A partire dal libro del 1961 "Il mito della malattia mentale" (rieditato recentemente da "Spirali"), che lo portò alla fama internazionale (e all'emarginazione da parte delle società psicoanalitiche, quella lacania-na compresa), il dottor Szasz si è sempre focalizzato sui temi della libertà e della responsabilità, e ci ha ammonito sui pericoli per le libertà civili derivanti dalla pratica dell'internamento negli ospedali psichiatrici di pazienti a prescindere dalla loro volontà.
Del 1965 è "L'etica della psicoanalisi" (ed. Armando) in cui Szasz considera la psicoanalisi una forma laica di confessione. Egli paragona il contratto psicoanalitico al bridge in cui il contratto di gioco viene di volta in volta modificato. T. Szasz ci ha sempre stimolato a resistere alla medicalizzazione della condizione umana, quando essa arrivi al punto di limitare le nostre autonomie e la nostra libertà.
E ancora lo ha fatto nell'Ottobre 2005 al primo Festival della Psicoanalisi organizzato dall'AEP (Associazione Europea di Psicoanalisi di cui è socio fondatore) a Fidenza.
Del 1976 è "La schizofrenia, simbolo sacro della psichiatria" in cui si dimostra che la qualità dell'atteggiamento scientifico con cui ci si pone ancora oggi verso la schizofrenia è la stessa con cui ci si poneva nei secoli andati verso il flogisto, sostanza immaginaria. La schizofrenia è il flogisto attuale: una situazione totalmente immaginata (dagli psichiatri!).
T. Szasz ripercorre la storia essenziale della psichiatria smascherandone la natura pseudoscientifica di cui si è sempre più impregnata trascinando nella sua falsa coscienza la falsa coscienza di una società a cui essa tornava comoda. In questo rapporto collusivo tra pseudoscienza e società sono stati distrutti migliaia di destini con l'imprimatur della medicina (che sola può parlare di corpo malato e di terapia per guarire) all'interno della quale la psichiatria trovava e trova protezione. Anche se tale pseudoscienza prometteva futuri sviluppi (specie nelle persone di Bleuler e Kraepelin:
psichiatri e non scienziati!)) che avrebbero dato fondamento alle sue descrizioni circa le psicopatologie, in realtà non è stato fatto un passo in quella direzione ma neanche un passo indietro rispetto all'ipotesi che oggi si dimostra perlomeno falsa. Lo schizococco non è stato trovato ma ormai la parola schizofrenia e dintorni vivono di vita propria e si continua a diagnosticarle e curarle come se davvero se ne fosse trovata la base "reale".
Szasz non è così sciocco da negare i comportamenti "anomali" ma un conto è il comportamento visibile (al massimo deviante, disdicevole ecc.) un altro è l'ipotesi sull'invisibile psiche patologizzata. In effetti non c'è niente di così violento come voler imporre un credo. Ed è ciò che la psichiatria a tutt'oggi fa e nel cui nome anche qui in Italia è tornata tra le altre, dopo decenni di dure battaglie sociali e politiche, la metodologia dell'elettroshock.
Che importa che non vi sia alcuna base scientifica?
Szasz è preoccupato di questa facile credibilità di cui gode la psichiatria solo per la contiguità forzata e da sempre ricercata con la medicina. E' preoccupato perchè la società si sta medicalizzando e la medicina si sta appropriando di tutti gli aspetti della vita.
Un contributo in tal senso viene dato anche dalla psicoanalisi di Freud e di Jung quando sostengono che la psicoanalisi cura alcune malattie mentali.
SoloA. Adler e O. Rank furono molto fermi a scindere psicoanalisi da medicina. Oggi e almeno in America, la psicoanalisi, invece di declinare l'invito e la seduzione delle istituzioni, accetta, si fa corrompere e si compiace di questa identità socialmente riconosciuta di sentirsi parte integrante della psichiatria e della medicina sicchè lo Stato passa le sedute gratuitamente tramite le Assicurazioni.
Nel vocabolario diagnostico americano, ci informa Szasz, ci sono più di 350 malattie mentali elementari diagnosticate, e per ognuno di queste voci si possono ricevere farmaci, psicoterapie, soldi.
Eppure, invitato ad esprimersi sulla condizione e sulle prospettive della psicoanalisi attuale al Festival di Psicoanalisi di Fidenza, Szasz evidenzia, insieme ai limiti e a tutto ciò che la psicoanalisi non è nè deve essere, anche la portata rivoluzionaria della psicoanalisi fin dalle origini.
Al di là di mire e ambizioni personali dei suoi stessi fondatori, e dunque al di là delle stesse contraddizioni in cui spesso restarono impigliati, non si può non cogliere che nel metodo stesso della psicoanalisi furono poste le basi per una vera prassi antioppressiva che fanno dire a Szasz della psicoanalisi essere stata la forma precoce dell'antipsichiatria. Cosa c'è infatti di più umano, di più paritario, di più rispettoso, di più liberatorio per ciascuno di noi, oppresso dai sensi di colpa, dall'autorità, dalla solitudine, che il dialogo? E di cosa si serve la psicoanalisi se non del dialogo, della parola?
Cosa è dunque oggi la psicoanalisi e a cosa serve per Szasz?
Essendo nata come relazione privata e confidenziale, la psicoanalisi è secondo Szasz, almeno in America, umanamente fallita, moralmente corrotta e professionalmente morta. Se vista come trattamento per la terapia è tempo di seppellirla.
Solo dopo potremo farla risorgere come "cura secolare delle anime".
Essa dovrebbe rinascere come un ministero per la "cura delle anime" per l'uomo moderno post-religioso. Lo psicoanalista è più un "ministro" un "agente" del suo "cliente" che non un terapeuta. In quanto tale egli non deve concludere alcun concordato con gli enti secolari e statalizzati che gli farebbero perdere la totale e libera disponibilità nella stipula del contratto col suo "cliente".
Per nessun motivo dovrebbe cedere a clausole inficianti l'obbligo alla segretezza. Un rapporto paritario o è tale o non può produrre fiducia se non è capace di testimoniarlo.
La psicoanalisi dovrebbe dunque essere strumento per incrementare responsabilità e libertà nella gestione della propria vita. Egli si esprime parafrasando Albert Camus: "Scopo della vita può essere solo incrementare la qualità di libertà e responsabilità in ogni uomo e nel mondo. (...) Per definizione lo scrittore [lo psicoanalista] non può mettersi al servizio di coloro che fanno la storia ma deve essere al servizio di chi la subisce. La sua arte non può farsi corrompere.
Qualunque possa essere la debolezza personale, la nostra arte affonderà sempre le sue radici in due principi difficili da soddisfare: il rifiuto a mentire su ciò che si sa e l'eterna resistenza all'oppressione".
Ada Cortese
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