Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Settembre 2003 Pag. 4° Cristina Allegretti


Cristina Allegretti

 PROFILI 

MARTIN BUBER E IL PRINCIPIO DIALOGICO

C'è una cosa che si può trovare in un unico luogo al mondo, è; un grande tesoro, lo si può chiamare il compimento dell'esistenza. E il luogo in cui si trova questo tesoro è il luogo in cui ci si trova.

Martin Buber
(Vienna 1878, Gerusalemme 1965).
Dopo la separazione dei genitori viene affidato a Lemberg in Galizia ai nonni dove subisce il forte influsso del nonno Solomon, studioso della tradizione midrashica; sempre a Lemberg viene a conoscenza del movimento mistico-popolare del chassidismo.
Fin da giovane si avvicina ai testi di Pascal, Nietzsche e Kierkegaard.
A vent'anni Buber aderisce al movimento sionista, fondato da Herzl, ma l'anno seguente come delegato al III Congresso Sionista di Basilea, tiene una relazione dove dalle posizioni di Herzl, propone un sionismo come "educazione".
"Per Buber il sionismo è ansia di conoscenza delle proprie radici, consapevolezza di una profonda identità ebraica in grado di aprire l'ebreo all'impegno e al confronto nel mondo. E la sua idea politica è stata quella per cui gli ebrei avrebbero dovuto costituire una comunità nella forma di insediamenti ebraici in Palestina, che scegliessero come propria norma il dialogo io-tu e che contribuissero con gli Arabi a trasformare la madrepatria comune in una repubblica nella quale entrambi i popoli avessero la possibilità di libero sviluppo".
Buber per circa quarant'anni lavora alla traduzione della Bibbia in tedesco, lavoro che per il nostro A. è: "l'esempio di una possibilità di dialogo fra cultura tedesca e tradizione ebraica". Filosofo ebreo tedesco, fu professore di religione ed etica ebraica all'Università di Francoforte dal 1925 al 1933, nel 1938 si stabilì in Palestina. E' strano parlare della sua vita quando lui stesso pensa che: "Le anime non raccontano di se stesse, ma di ciò che su di esse ha agito; quanto apprendiamo dal loro racconto non appartiene perciò soltanto alla psicologia, ma alla vita".

Il pensiero
I due nuclei centrali del suo pensiero sono il chassidismo e la concezione dialogica come essenza dell'essere umano.
Il chassidismo è concepito come dialogo tra cielo e terra vissuto non intellettualisticamente, ma come santificazione del quotidiano.
In Buber l'assolutismo dell'io pare aver lasciato posto all'assoluto pensiero, pensiero consapevole di non agire scissione nel mondo.
Buber distingue due dimensioni della sfera relazionale: quella dell'esso e quella del tu; la prima appartiene all'esperienza, al mondo dell'oggetto, delle scienze; la seconda appartiene all'infinita vita dello spirito: "Il mondo come esperienza appartiene alla parola-base Io-Esso. La parola- base Io-Tu produce il mondo della relazione".
"La vita dell'essere umano non sta solo nella sfera dei verbi transitivi. Non consiste solo di attività che hanno per oggetto un qualcosa: io avverto qualcosa, io percepisco qualcosa, io mi rappresento qualcosa, io voglio qualcosa, i miei sensi colgono qualcosa, io penso qualcosa. La vita dell'essere umano non sta in tutte queste cose, né solo in esse.
L'insieme di tutte queste cose è la base del regno dell'esso.
Ma il regno del tu ha un'altra base." Per Buber "chi dice tu, non ha mai un qualcosa, non ha nulla. Ma sta nella relazione".
Buber esprime nella differenza dei modi di stare in relazione, la differenza fra relazione di potere e relazione d'amore.
Secondo l'A. ci sono tre sfere nelle quali si innalza il mondo della relazione: la prima sfera è quella della natura ed è al di sotto del livello linguistico; la seconda sfera è la relazione con l'uomo: essa è manifesta e pronunciata; è il luogo del tu reciproco; la terza sfera è con le entità spirituali: "non vi è discorso ma si manifesta con la forma. (...) Noi non cogliamo alcun tu e tuttavia ci sentiamo chiamati e rispondiamo, con la forma, il pensiero, l'azione: con il nostro essere pronunciando la parola base, senza poter dire Tu con la nostra bocca." Buber contempla le differenze nelle tre sfere della relazione: "in ogni tu leggiamo l'eterno, diversamente per ciascuna sfera".
Il pensiero di Buber contribuisce a superare ogni individualismo e anche il mondo del divenire: "La relazione con il Tu è immediata. Tra l'io e il tu nulla v'è di concettuale, non v'è sapere anteriore e fantasia; e il ricordo stesso si trasmuta, come precipita dal particolare nel tutto.
Tra l'io e il tu non v'è alcun fine, cupidigia e anticipazione, e il desiderio stesso si trasforma, come precipita dal sogno nel fenomeno. Ogni mezzo è un impedimento. Solo quando ogni strumento è eliminato avviene l'incontro." E ciò sebbene Buber sappia che:
"senza Esso l'uomo non può vivere; ma non è uomo chi se ne accontenta." Ciò che colpisce di M. Buber è il suo amore incondizionato per la saggezza e il rispetto della radicalità che la profondità dell'uomo esige dall'uomo stesso per poter agire in lui e con lui.
Buber ha affrontato anche il tema del male, la sua interpretazione scaturisce dal potere che l'uomo può agire nel reale:
"Il male non può esser compiuto con tutta l'anima, il bene può essere compiuto soltanto con tutta l'anima. Esso viene compiuto quando lo slancio dell'anima, scaturente dalle sue forze più altre, trascina tutte le forze e le fa precipitare nel fuoco purificatore e trasformatore che è la potenza della decisione. Il male è la mancanza di direzione e ciò che in essa e da essa viene compiuto, come l'afferrare, assalire, cingere, traviare, violentare, sfruttare, umiliare, torturare, annientare quanto si presenta. Il bene è la direzione e ciò che in essa viene compiuto, quel che si fa in essa, lo si fa con tutta l'anima, di modo che l'energia e la passione, con cui si sarebbe potuto compiere il male, confluiscono nell'azione".
Proprio perchè: "per quanto si possa fare a meno del linguaggio e della comunicazione, una cosa sembra appartenere indispensabilmente alla caratteristiche del dialogo: la reciprocità dell'azione interiore".
Nei suoi frammenti autobiografici Buber fa una confessione: "(devo dirlo subito apertamente per non essere frainteso) nell'intimo il mio cuore ama più il mondo che lo spirito". Su questa "rassicurante" affermazione si apre a mio avviso il vero incontro con il filosofo Buber, o meglio il confronto con questo segreto che l'umanità tutta nasconde in sè ancora oggi.
Questa confessione ci riporta ancora sul registro della separazione: nel luogo dove l'uomo è ancora sradicato dall'essere, dove l'uomo è ancora solo nel divenire dell'io, identificato con la periferia della vita, nel luogo dell'equivoco in cui:
"certamente non mi sono adattato alla vita con il mondo così come avrei voluto, fallisco sempre rapportandomi a lui, sono sempre insolvente verso ciò che mi chiede e in parte questo accade proprio perché sono catturato dallo spirito. Sono catturato da lui così come sono catturato da me stesso, ma di fatto non lo amo, così come non amo me stesso".
A noi, amati dallo spirito, "decidere" se ereditare e perpetuare la sua contraddizione o se pensarci e diventare noi, il tu dell'umanità, per evitarle, almeno con la forza del nostro intendimento, di continuare ad affondare la propria identità nell'esso, per evitarle la ripetitività.

Le Opere (in italiano)
Confessioni estatiche, ed. Adelphi;
Il principio dialogico, Ed. Comunità
Mosè, Ed. Marietti


Cristina Allegretti


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