Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Marzo 2002 Pag. 11° Agnese Galotti


Agnese Galotti

 RICERCHE 

JUNG, FREUD E SABINA SPIELREIN

Il travagliato incontro con Sabina aprì le porte ad una ricerca che impegnò Jung per tutta la vita e che lo spinse a forza ad addentrarsi in quel viaggio interiore che lo portò alla formulazione del concetto di Archetipo e di Inconscio Collettivo.

La storia del pensiero psicoanalitico è storia di "relazioni" tra esseri umani, che si interrogano su quanto sta accadendo tra loro. L'elaborazione di ciò, in forma di pensiero, ha portato di volta in volta a nuove e diverse formulazioni, l'avvicendarsi delle quali, nei suoi passaggi, costituisce la "storia della psicoanalisi" stessa.
Anche qui, come in ogni evoluzione storica, si possono individuare dei passaggi particolarmente critici ed umanamente dolorosi, in cui la trama degli eventi sfugge a qualsiasi controllo razionale.
Uno di questi segue immediatamente la nascita dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale, e segna la travagliata fine della collaborazione tra Freud e Jung, durata dal 1906 al 1913, (il grande "scisma"). Proprio in questo passaggio importante ci si imbatte in lei, un personaggio femminile solo apparentemente secondario, rimasto in ombra per ragioni diplomatico-difensive.
Si tratta di Sabina Spielrein, una russa ebrea, di buona famiglia, approdata giovanissima nel 1904 al rinomato Burgholzli di Zurigo con gravi sintomi di tipo psicotico, curata con successo dall'allora giovane psichiatra C.G.Jung, di cui divenne in seguito amica, amante ed infine collega.
Fu una delle prime donne ad entrare nella Società Psicoanalitica Viennese.
Dopo essere stata per Jung un difficile "caso clinico", Sabina assunse per lui un'importanza particolare su un piano più strettamente personale, grazie all'intenso coinvolgimento affettivo ed intellettuale in cui, inaspettatamente, si trovò con lei calato, proprio quando emergeva in lui la drammatica consapevolezza di una spaccatura insanabile tra i presupposti teorici cui si sforzava di essere fedele - la teoria freudiana - e la propria visione del mondo che lo spingeva a prendere via via distanza da quegli assunti "logico-scientifici" per addentrarsi sempre più nei "luoghi dell'anima", entrando in risonanza con i suoi linguaggi e le sue metafore, quali mitologia, alchimia, religiosità e filosofia.
Questo lato di Jung, da molti definito in tono sprezzante come "misticismo", aveva radici antiche ed era già entrato a in ballo, suo malgrado, nell'incontro, vibrante a più livelli, con Sabina.
Nei numerosi dialoghi ed incontri "amorosi" (di cui sappiamo grazie al diario e alle lettere da lei conservate, raccolte da Carotenuto in "Diario di una segreta simmetria"), essi amplificavano la loro affinità culturale e spirituale, nutrendosi di eventi sincronici e telepatici, lasciandosi andare a fantasie di tipo mitologico e cominciando a cogliere "il nesso che unisce tutti gli eventi".
Questa realtà era quindi doppiamente clandestina, in quanto Jung perpetrava, accanto al tradimento della moglie Emma, un tradimento ancor più grave: egli approfondiva un filone di riflessioni che Freud gli aveva esplicitamente bocciato, chiedendogli invece un'esplicita "professione di fede" alla teoria sessuale quale motore di tutto.
J.Kerr, nel suo saggio "Un metodo molto pericoloso", descrive in tono critico l'intreccio che coinvolse Jung, Sabina e Freud, intreccio assai delicato per i livelli di coinvolgimento: ciascuno dei tre si trovò coinvolto sul piano personale ed intimissimo e sul piano professionale contemporaneamente, con le inevitabili contraddizioni ed incoerenze.
In questo frangente l'anello debole della catena era sicuramente lei, Sabina, appena uscita da una profonda sofferenza psichica e già immersa nei meandri di una confusiva relazione analitica e sentimentale insieme, a far le spese, suo malgrado, di errori che proprio grazie a lei verranno messi a fuoco come tali, in un'esperienza che fu per lei, malgrado tutto, salvifica.
Kerr mostra come i due uomini, entrambi calati in un ruolo di potere rispetto ad una scienza nascente che chiedeva discrezione e tatto, rivelino la propria contraddizione e poca libertà avanti ad una richiesta d'aiuto assolutamente legittima.
Avanti alle richieste di Sabina, ex-paziente, ex-amante e poi allieva promettente, Jung mostrò tutta la propria ambivalenza, la propria incapacità di gestire il "controtransfert" dovuta alla mancanza di una completa analisi (sarà lui a ribadire, anni dopo, la necessità imprescindibile che l'analista sia a sua volta analizzato!), nonché l'imbarazzo di chi, avanti ad una responsabilità troppo grande, cerca maldestramente di liberarsi di un interlocutore scomodo.
Freud neppure seppe, da parte sua, offrire un reale aiuto alla giovane che, vedendosi rifiutata dall'analista-amante, incapace di liberarsi dal potente transfert non risolto, gli si era rivolta: le rispose diplomaticamente per lettera senza concederle il colloquio richiesto.
Anche lui non era libero nei suoi confronti: aveva troppo bisogno di mantenere intatta l'alleanza di Jung su tutti i fronti.
Sarebbe troppo facile, a questo punto, schierarsi contro alcuni ed eleggere a vittima altri. I giudizi pro e contro non hanno mai reso giustizia a nessuno. Più fruttuoso è cogliere invece come in passaggi tanto delicati (e quale analista può dirsene esente?) le contraddizioni si moltiplichino costringendo ciascuno a farsi carico della propria fragilità e ad imparare a gestirla. Ciò che rischia di essere perso di vista, altrimenti, è l'essenziale, ciò che sta alla base del rapporto analista - paziente che, non a caso, coinvolge entrambi, personalmente oltre che professionalmente.
Paradossalmente l'aspetto critico che caratterizzò l'ultima fase del travagliato rapporto amoroso-terapeutico tra Sabina e Jung, fu rappresentato dal repentino passaggio, da parte di lui, da un certo punto in poi, ad un atteggiamento rigidamente freudiano: egli si trincerò nel ruolo "neutrale" di medico ed iniziò ad interpretare in chiave strettamente sessuale ciò che lei verbalizzava.
In questo modo ciò che avevano entrambi amato e che aveva alimentato in lei la certezza di dover realizzare nella propria vita "qualcosa di eroico", (destino che Sabina non mancherà, nonostante tutto, di realizzare nella sua carriera!) veniva ora svilito in termini puramente sentimentali.
Tuttavia grazie a questo modo, senza dubbio violento, Jung agì nella direzione che costrinse ciascuno a "liberarsi dell'altro": egli riuscì a liberarsi di lei, nonché spinse lei a liberarsi di lui.
La Spielrein si allontananò infine da Zurigo ed iniziò la sua carriera professionale.
Ella non mancò, nonostante tutto, di metterlo in guardia rispetto all'equivoco di cui era vittima, ribaltando per un attimo completamente i ruoli: "E' pericoloso prestare troppa attenzione al complesso sessuale." E Jung seppe, a posteriori, farne tesoro!
Ma non basta: il suo "complesso dell'ebrea" non lo lasciò certo in pace.
Il travagliato incontro con Sabina aprì le porte infatti ad una ricerca che impegnò Jung per tutta la vita e che lo spinse a forza ad addentrarsi in quel viaggio interiore - Ellenberger, nel suo saggio "La scoperta dell'inconscio", la definì la sua malattia creativa - fino a penetrare nell'oscuro e terrifico "mondo delle Madri", che lo portò infine alla formulazione del concetto di Archetipo e di Inconscio Collettivo.
Questo, è forse il maggior contributo che Sabina Spielrein ha dato al pensiero psicoanalitico, l'eredità spirituale o il compito che dir si voglia, che Sabina lasciò a Jung: l'incontro con l'Anima, con l'archetipo terrifico e sublime ad un tempo.
Attraverso l'elaborazione interiore, durata anni, di tale rapporto, che oltre all'eroico aprirsi al "sentire" richiese a Jung, come ad ogni adepto al percorso iniziatico nelle profondità di se stesso, l'abiura di ogni "credo" a priori, - l'uccisione del padre - Jung approdò alle forme più alte della realizzazione dell'Eros cui il Femminile prelude.
Egli potè così formulare una concezione del rapporto eterosessuale che non si ferma ad Eva, quale simbolo dell'aspetto pulsionale biologico, ma, pur rendendole giustizia, ne coglie l'aspetto estetico romantico (Elena), quello spirituale (Maria) per giungere a quella che egli individua come la più alta forma, la saggezza (Sofia), là dove l'amore si svela essere tutt'uno con la conoscenza.


Agnese Galotti


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