Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Marzo 2002 Pag. 8° Agnese Galotti


Agnese Galotti

 TEORIA 

DAL BRANCO AL GRUPPO

Verso il superamento del concetto di "Conflitto di Interessi".
Solo quando l'intersoggettività è diventata la realtà relazionale prevalente,
all'interno di un gruppo di lavoro, cade il concetto stesso di interessi in conflitto.
Quello che possiamo individuare come "interesse comune", infatti, viene allora da tutti con naturalezza riconosciuto essere il più importante, urgente e necessario interesse di ciascuno.

Vale la pena domandarsi, di questi tempi, in quale misura e sotto quali forme una tematica tanto in voga come quella del 'conflitto di interessi' trovi spazio nella nostra vita e quanto invece un buon lavoro d'analisi stia operando a superarla.
Questo per allenarci a riconoscere la natura delle ombre che ci accompagnano per imparare ad elaborarle: le ombre del sociale, che sono anche le nostre.

Gruppo e Branco
Se consideriamo il gruppo quale contesto privilegiato per osservare ed analizzare le principali dinamiche relazionali umane, nelle luci e nelle ombre, partiamo da una delle riflessioni base, cioè quella relativa alla distinzione tra 'gruppo' e 'branco'.
Il branco, così come lo troviamo nel mondo animale, ha come caratteristica (senza dubbio invidiabile!) una compattezza ed una solidarietà tra singoli assolutamente naturale ed automatica in quanto istintiva. La socialità di branco è dunque garantita dal fatto che gli individui restano inconsci, ovvero collaborano lasciandosi guidare da un istinto di specie che si impone in maniera semplice ed immediata in quanto non viene contrastato da dubbi, interrogativi, conflitti, ... tutti elementi che stanno invece alla base della coscienza.
Come individuo dotato di coscienza, dunque, l'essere umano è bandito da quel tipo di organizzazione immediata e 'naturale'. L'esilio in cui si viene a trovare lo spinge a cercare una modalità di aggregazione a lui consona, in cui quindi la coscienza individuale, col suo bagaglio di complessità e conseguente conflittualità, non venga annullata, pena il regredire a dinamiche di 'branco' che, quando vengono agite dagli umani, mostrano il loro lato più bestiale e terribile.
La soluzione più frequentata è l'organizzazione di un gruppo con un capo, l'autorità del quale - qualora sia da tutti riconosciuta e rispettata - diviene elemento ordinatore fondamentale, mediatore di quelle situazioni che possono emergere di volta in volta in termini di conflitto tra interessi di Tizio ed interessi di Caio o, aspetto ancor più interessante, interessi del singolo e interessi del gruppo.
Ma anche il branco è guidato da un capo, allora dove sta la differenza?

Il gruppo e il capo
Evidentemente c'è modo e modo di esercitare la funzione di capo, e - per quanto concerne i gruppi umani - ai due estremi troviamo da un lato l'autoritarismo, che implicitamente richiede al gruppo la rinuncia totale all'esercizio della coscienza individuale (principio di delega), dall'altro lato l'incarnazione di un principio di autorevolezza che ha il compito di risvegliare in ciascuno la necessità di tutelare la collettività (principio di responsabilità).
Nel primo caso - quello del capo autoritario - possiamo intravedere una sorta di 'brutta copia' del branco, di quella organizzazione animale (e dunque inconscia) da cui, pur essendone stato esiliato, l'umano non si risolve a prendere distanza, mentre nell'altro caso troviamo il tentativo di affermare una nuova naturalezza, un'organizzazione collettiva in cui il corretto uso della coscienza diviene il 'nuovo istinto', il nuovo principio ordinatore.
La presenza di un capo, dunque, non significa necessariamente che i partecipanti al gruppo si votino ad un'obbedienza cieca o che il gruppo stesso si faccia succube dei capricci di chi lo guida, anzi!
Nei gruppi più evoluti risulta semmai chiaro il contrario, ovvero che il capo 'serve' il gruppo, nel senso che si pone al servizio ed in funzione del 'soggetto gruppo' e in questo modo garantisce il rispetto dei diritti della collettività e rende possibile l'espressione della nuova coscienza - che è quella di gruppo - di contro al prevalere di questo o quel particolarismo.
In questo modo è proprio il capo a tracciare la direzione generale verso cui ciascun singolo ha da muoversi, superando egli per primo la logica stessa del conflitto di interessi.
Il capo è allora colui al quale per primo spetta incarnare la consapevolezza di come la tutela dell'interesse collettivo (la coscienza, emergente in ciascuno, del 'soggetto gruppo') sia il fattore di utilità principale per i singoli, dunque, in realtà, il principale e più urgente interesse di ciascuno in particolare.
In effetti, essendosi i singoli individui riuniti in gruppo per svolgere un lavoro (e nel gruppo d'analisi tale lavoro concerne il consapevolizzarsi, da parte di ciascuno, della coralità interiore, ovvero del sociale che ciascuno porta dentro, per accrescerne l'armonia) è nell'interesse di ciascuno:
- intanto che il gruppo esista e sopravviva alle varie vicissitudini,
- che impari a lavorare con efficienza, il che prevede che porti a coscienza ed impari a gestire le dinamiche psichiche ed emotive che di volta in volta si attivano,
- che impari ad apprendere dalla propria esperienza e quindi ad accrescere la propria intelligenza e sensibilità,
- infine che sappia creativamente sfruttare al meglio il bagaglio di risorse, consce ed inconsce, di cui dispone.
Da qui la realizzazione di una fondamentale reciprocità non solo tra individui ma anche tra individuo e gruppo, in cui la crescita di consapevolezza dell'uno è riconosciuta immediatamente essere crescita anche dell'altro e viceversa.
Se allarghiamo il campo di osservazione al gruppo umano più ampio che possiamo immaginare, l'umanità tutta, salta agli occhi con drammatica evidenza la rimozione dei principi base di questa reciprocità, semplice e complessa insieme, ma assolutamente inevitabile.
Prevalgono ancora troppo spesso visioni miopi in cui vengono erroneamente scambiate per secondarie necessità che sono invece fondamentali - rispetto a qualsiasi interesse di gruppi più ristretti - primo tra tutti la sopravvivenza dell'umanità, che passa attraverso il rispetto del diritto di esistenza di ciascuno nonché una corretta distribuzione delle risorse.
Non a caso l'esempio di 'capo' che ancora troppo spesso abbiamo sotto gli occhi non è proprio del tipo autorevole, al servizio del gruppo! Gli esempi sono purtroppo innumerevoli e significativi.

Il Gruppo e l'Edipo
Tornando al piccolo gruppo di lavoro, il cui obiettivo è l'ampliamento della consapevolezza e della lucidità circa i modi della relazione, possiamo individuare alcuni passaggi nodali che segnano l'emergere graduale della nuova coscienza che chiamiamo 'coscienza di gruppo' o 'concretizzarsi del Sé' del gruppo.
Un segnale dell'emergere di tale nuova coscienza consiste proprio nella necessità che tramonti, per il gruppo, l'esigenza di avere un capo.
Quand'anche si realizzi la situazione ideale di un gruppo capace di funzionare perfettamente, con un capo autorevole ed un buon spirito di collaborazione, il lavoro non è ancora finito. Anche qui compare il limite che consiste nella delega edipica.
Un gruppo così costituito, infatti, continua ad avere bisogno che qualcuno in particolare resti calato nel 'ruolo di capo', a garanzia di un equilibrio sufficiente ad assicurare al gruppo il rispetto di quel delicato principio di giustizia che gli necessita; in ciò permane la necessità del ruolo e con essa la dinamica edipica.
Detta in altri termini: finché c'è bisogno che qualcuno 'faccia il padre' c'è altrettanto bisogno che altri 'facciano i figli', e la dinamica edipica si nutre di tale bisogno che perpetua se stesso.
Per quanto cresciuto, un gruppo siffatto appare come l'analogo di un gruppo di pari (fratelli) che vanno d'accordo finché 'tutto va bene', cioè finché non succede nulla di nuovo; quando invece qualcosa si muove e gli equilibri vacillano allora tornano ad avere bisogno di qualcuno più grande (genitore) affinché ripristini l'ordine.
Finché c'è bisogno di questo significa che il gruppo è immaturo, ovvero non incarna ancora in sé, nella modalità relazionale prevalente, la consapevolezza del 'terzo', di quel principio dialettico interiore che sa muoversi tra i contrari e sa superare la conflittualità.
Il grosso lavoro nella crescita coscienziale di un gruppo passa inevitabilmente attraverso l'interiorizzazione di tale principio, lo stesso precedentemente incarnato dal capo, che dovrebbe rendere il gruppo in grado di garantire, di volta in volta, nei momenti di difficoltà, quando si fanno acute le differenze individuali, oppure quando emerge una nuova potente intuizione che ha bisogno di chi le dia voce e le consenta di diventare realtà, una sufficiente capacità di accoglienza, di efficienza nonché l'affermazione di un criterio di 'giustizia' che non potrà mai essere assoluto né rigido, ma che deve essere riconosciuto valido da ciascuno.
Giustizia che richiede a ciascuno di imparare a 'coinvolgere' e a 'lasciarsi coinvolgere' dall'altro, dal gruppo, di volta in volta incarnando in maniera elastica questo o quel copione, liberandosi finalmente dalla rigidità dei ruoli.
Troppo spesso in un gruppo già piuttosto maturo il protrarsi della delega edipica al 'capo' alimenta pigrizia e passività, consente al gruppo di permanere più del necessario in un equilibrio, magari faticosamente raggiunto, in cui ciascuno tende a stare nel copione a lui più consueto, senza sperimentarsi in altre modalità e finendo per irrigidirsi, senza volerlo, in un ruolo.

Al di là dell'Edipo
Lavorare, in gruppo, alla soluzione della dipendenza edipica significa tendere a sciogliere qualsiasi ruolo, non solo quello del capo, più o meno abituale e più o meno inconscio, facendo sì che ciascuno impari a calarsi di volta in volta nei copioni differenti che la vita - sua e del gruppo - gli propone.
Di volta in volta imparare a coinvolgere l'energia del gruppo attorno ad un progetto, ad un'intuizione che ci abita, ancora muta, riconoscendosi una forza trainante, o farsi coinvolgere da un'idea apparentemente insolita, lasciarsi incuriosire e contagiare dall'entusiasmo altrui che diviene così forza del gruppo, fidandosi della capacità critica e dialettica del gruppo stesso, è esperienza importante.
E' così che dovrebbe rendersi tangibile l'incarnazione in ciascuno del Sé (associato al Gruppo), ovvero l'affermarsi di un principio universale capace di accogliere ogni particolare nella sua relatività (ovvero nel suo 'esserci' in relazione a tutti gli altri particolari).
E' l'affermarsi di una 'giustizia' che coincide nel realizzarsi di un 'lavoro di tutti a vantaggio di tutti'.
Ma il concretizzarsi di tale intuizione non è affatto semplice né tanto meno immediato e passa spesso attraverso fasi travagliate, agiti, passaggi dolorosi che trovano parola solo in un secondo tempo.
E' difficile arrivare, come gruppo, a quella dimensione in cui ciascuno riconosce il proprio come l'altrui vissuto (pensiero, intuizione) senza più cadere nell'equivoco del conflitto di interessi, che genera guerra, ed integrando invece la crescente complessità in una visione corale e dialettica, sempre più ampia.
Uno degli ostacoli più potenti, una svista tanto frequente quanto subdola ed inconscia, è quella dell'inflazione egoica, che consiste nella tendenza ad assolutizzare la propria particolare visione, spesso credendosi nel Sé, con l'arroganza di una coscienza che si è svincolata dal Sé … senza accorgersene.
E' l'analogo, sul piano sociale, di quei fenomeni di violenza in cui qualcuno si erge a giudice imparziale e legittima il proprio agire nella ferma convinzione di parlare/agire 'nel nome di Dio'.
Il gruppo (e non branco!) come realtà umana impegnata a valorizzare la coscienza individuale, arricchendola e trasformandola in coscienza di gruppo, nel superamento di deleghe edipiche e nell'aumento di responsabilità, sembra l'unica direzione possibile per prevenire tali aberrazioni, a volte più esplicite, molto spesso più subdole, ma tutte menzognere.
Come è possibile distinguere allora un gruppo realmente maturo da uno che si atteggia tale in quanto rimuove l'inflazione egoica di cui ancora soffre?
Risposte esaustive, al solito, non ce ne sono: certo è che un gruppo realmente maturo non può che essere ricco di differenze ed abile a 'sfruttarle' al suo interno.
La capacità di accogliere e sfruttare le differenti tonalità dell'esistenza è prova di armonia reale.
Per contro, un gruppo immaturo non può che tendere all'uniformazione, non può che vivere le differenze interne come pericolose e distruttive, essendo una struttura evidentemente ancora rigida e dunque fragile.
Queste due tendenze nel gruppo non potranno che distinguersi anche nel tipo di relazione con l'esterno: accoglienza e curiosità, contro chiusura e timore del confronto.
Ancora una volta, dunque, il principio 'sano' che si afferma è l'attitudine dialettica, intesa come capacità di stare nel movimento continuo tra polarità e voci differenti, senza cedere alla tentazione - sempre dettata dalla paura - di irrigidirsi in una staticità che, cercando di spacciarsi per vera, non fa che assolutizzare se stessa.


Agnese Galotti


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