Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Dicembre 2001 Pag. 12° Cecilia Manfredi


Cecilia Manfredi

 TEORIA 

POESIA E SOGNO

Tu vedi cose che esistono e ti chiedi: perchè?
Io sogno cose mai esistite e mi chiedo: perchè no?

Stesa sul letto in un pomeriggio piovoso di settembre mi ritrovai a fissare per lungo tempo, quasi rapita dall'istante infinito, il cadere di gocce lungo il tronco di un grande albero posto innanzi ai miei occhi, oltre il vetro della finestra.
Lo sguardo esitò a lungo su di un punto della corteccia levigata e pallida, ma lucida al contempo; le gocce, si susseguivano costantemente: una al secondo, svincolate dallo scrosciar della pioggia, ora più intenso, ora meno. Mi chiesi il perché di quella cadenza misurata, indipendente dalla quantità d'acqua rilasciata dalle nubi.
Passò del tempo, io sempre lì ad osservare quel gocciolare e il suo tempo, sempre quello.
All'improvviso accadde qualcosa che oserei chiamare l'imprevisto o meglio l'ancora sconosciuto, almeno per me, il non conosciuto che mi permise di conoscere.
Un soffio di vento scosse la fronda e, subito, solo in quel punto a lungo studiato assistetti ad una piccola cascatella d'acqua che si riversò tutto a un tratto sulla corteccia. Il vento scosse anche un ramo dell'albero e m'accorsi che dietro alle sue foglie se ne celava un altro, più piccolo ma solido a forma di mezzaluna e posto proprio al di sopra del mio osservare, abbastanza incavato da riempirsi d'acqua per poi rilasciarla secondo la legge del troppo pieno in un moto costante e armonico.
Grazie alla forza del vento, in un batter d'ali quel piccolo ventre si sgravò e io potei comprendere la metafora che muoveva la mia immaginazione, circa la raffigurazione dell'energia artistica in rapporto con l'uomo, come goccia sul tronco di un albero, là dove la goccia è il quantum di potenza artistica e il tronco lo spirito, l'anima, la mente, la vita, l'essere di ogni uomo.
Entrando appieno nella culla della metafora, permango nella consapevolezza che tutti noi siamo punti della corteccia di uno stesso albero, nutriti costantemente da energia artistica che stilliamo nel nostro vivere, dal primo giorno all'ultimo.
Creiamo inconsapevoli di creare, poetiamo inconsapevoli di poetare, artisti comuni nel consueto affaccendarci quotidiano. Poi, per qualcuno muta qualcosa.
In un punto della corteccia ecco cadere una cascatella d'acqua, non sappiamo per quale grazia e perché quel soffio di vento si sia inserito come un accidente proprio in quel momento a far sì che un surplus di energia andasse a concentrarsi proprio là.
Ecco allora che alcuni, molti nelle moltitudini, da artigiani della vita si trasformino in artisti, poeti della vita, capaci di recuperare da un lato la res amissa, la cosa perduta, e dall'altro di varcare nuovamente la soglia di quella casa vissuta che è in noi e che ospita nostro malgrado l'inconoscibile e l'indicibile umano.
Accade così che l'inconoscibile divenga immagine e che l'indicibile divenga parola, quella parola celata, perduta o dimenticata che sta nel dialogo tra essere e essere.
Ora il sogno dà voce all'immagine e la poesia rende onore alle parole, quelle vere piccole tessere che svelano nel linguaggio la dimora dell'esistenza, quelle parole che già di per sé sono intuizione incarnata e mettono direttamente in azione l'uomo, elevandolo in un nuovo movimento ascensionale teso verso il suo congiungimento con la totalità numinosa dell'essere, quella totalità in grado di lenire ogni contrasto e di armonizzare quel mondo apparentemente privo di senso che ci circonda.
Dunque poesia e sogno. Parole ed immagini in mente dei, ancora da essere prima e che trascendono poi, nello sbocciare della loro natura simbolica e evocativa, la loro originaria natura di segno; segno produttivo che genera simbolo. Quindi poesia e sogno quali regni del simbolo, inteso tanto come modalità di emergenza dell'inconscio nel conosciuto quanto nel suo possibile movimento inverso, cioè di immersione del conscio nell'inconscio, attraverso una sorta di espressione metaforica pronta a ridefinire i connotati della parola vita, quella vita che di continuo fluisce e qualche volta chiede testimonianza, in veglia come in sonno, poiché siamo esistenze che di continuo conosciamo e sogniamo la realtà.
Il sogno, e tale è la poesia, rivela nei suoi contenuti innanzi tutto la sfera percettiva di chi ne è l'artefice, che pure riunisce in veste di archetipo la realtà dell'uomo tutto, l'espressione dell'inconscio collettivo.
Ogni volta che, seppur inconsapevoli, ci immergiamo in un sogno, raggiungiamo la porta della casa vissuta, sempre impugnamo il battente ma raramente ci ricordiamo di avere varcato la soglia, quel limine tra veglia e sonno, sonno e sogno, dentro e fuori, di cui il poeta è il custode, ove poesia/ sogno/ vita tornano a unirsi senza residui, al di là di ogni giudizio, compenetrandosi e fondendosi in un atto comunicativo.
In virtù di ciò, è intuitivo quanto poesia e sogno sfuggano sia coloro i quali ne sostengano l'importanza solo a patto di confonderli completamente con la vita in cui li risolvono (in vero sacrificandoli), sia coloro per i quali il loro esserci è funzione pressoché esclusiva di un totale isolamento da essa, sancendo così la loro impotenza rispetto alla vita. Innanzi a queste due posizioni si ergono l'essenza del sogno e l'esperienza del poeta.
Recita Montale : l'esser poeta non è un vanto/ è solo un vizio di natura/un peso che s'ingroppa/con paura/... e continua: l'argomento della mia poesia è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell'avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza e volontà, di non scambiare l'essenziale con il transitorio… Non saprei spiegare come la poesia nasce in me, ho l'impressione che due o tre poesie diverse, precipitando si siano fuse insieme; finito il periodo dell'incubazione scrivo con molta rapidità e con pochi ritocchi. Talora mi accade di non riconoscerle per nulla; altre volte imparo a ravvisare in me qualcosa di me che non sospettavo affatto… Vero è, allora, che il cammino del poeta è indirizzato alla ricerca di una radicalità estrema; è un procedere che non ammette soste e che si compie nell'espressione di un verbo che sappia riunire in se ciò che sancisce l'unione fra le moltitudini e il singolo, fermo restando ciò che lo rende unico e irripetibile.
Quindi, a mio avviso, il linguaggio poetico, filosofico - amico della saggezza - quel linguaggio intessuto di parole piene, abitate da chi le nomina, è la trama che esalta, nel loro divenire, le diadi uomo-realtà, particolare-universale, sogno-reale.
Il sogno, se percepito quale gesto noetico, inteso come atto attraverso cui il soggetto percepisce o conosce o desidera l'oggetto dell'esperienza, è molto vicino al poetare. Poesia e sogno si prefiggono la stessa meta e la raggiungono, seppur con peculiarità espressive differenti; meta che coincide in una naturale produzione di un più conoscitivo, tale da coincidere con quel quid in più, che spinge la coscienza oltre il valico del limite umano.
Entrambi fondano la loro potente fecondità sulla capacità di comprimere in un punto momento un istante particolare, caratteristico sempre di un insieme molto più ampio, esaltandone la profondità, il significato, l'ethos e la complessità, mettendo in contatto immagini lontane/ senza fili, pronte a spezzare la rigida dicotomia in cui siamo soliti considerare sogno e logica, veglia e sonno, giorno e notte, vita e morte.


Cecilia Manfredi


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