Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
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Dicembre 2001 Pag. 9° Tullio Tommasi


Tullio Tommasi

 RICERCHE 

TRASFORMAZIONI NATURALI

Non esiste un punto di arrivo finale, nel continuo evolversi della vita, ma solo una sua continua ridescrizione rappresentazionale

Tra le nuove teorie proposte nell'ambito della psicologia dello sviluppo, una in particolare mi ha colpito, per riflessioni che hanno portata più ampia dello stretto ambito evolutivo del bambino. Si tratta della "ridescrizione rappresentazionale", trattata da Karmiloff-Smith nel libro "Oltre la mente modulare", ed. Il Mulino, 1995.
In breve, la tesi è la seguente: il bambino acquisisce varie conoscenze a livello implicito, sia a causa dell'esperienza che per un programma genetico che lo predispone alla conoscenza. Fin qui, nulla di nuovo. L'autrice del libro però afferma che quando le competenze implicite si sono rafforzate e stabilizzate, allora avviene un salto verso l'esplicito, non ancora cosciente, che permette però di iniziare a elaborare quanto appreso, per poterlo inserire in un contesto più ampio, una ridescrizione di quello che si sa.
In una fase successiva ci sarà una ulteriore ridescrizione che permette di portare alla coscienza quanto appreso e, infine, un'ultima ridescrizione che permetterà di esplicitare con la parola quello che si sa. A questo punto si potrà parlare della propria visione del mondo.
L'aspetto innovativo riguarda il passaggio evolutivo, che avviene non più a causa di fattori, esogeni o endogeni, che scardinano il proprio bagaglio di conoscenze (tipica posizione alla Piaget), ma piuttosto il consolidamento di competenze è il trampolino inevitabile per nuove trasformazioni.
E' possibile ampliare il discorso e considerarlo al di là dell'ambito dello sviluppo del bambino.Di solito il senso comune attribuisce i cambiamenti ad accidenti esterni che scombussolano la propria vita. Nel percorso analitico l'evento doloroso è preso come possibilità di salto verso una visione nuova della propria esistenza.
Capita che in sogni di inizio analisi compaiano stanze della propria casa mai esplorate prima, a sottolineare che le piccole rivoluzioni personali determinano nuove percezioni di aspetti della vita finora mai visti, anche se potenzialmente sempre esistiti.
Tutto questo è sicuramente vero, ma approfondiamo l'altro aspetto del cambiamento, quello appunto della ridescrizione rappresentazionale. Secondo l'autrice del libro tale cambiamento avviene naturalmente, inevitabile quando si è consolidata una prima conoscenza procedurale.
Detto in altro modo, la nascita della coscienza e poi dell'autocoscienza sarebbero possibili quando un precedente livello di competenze e capacità si sia stabilizzato con successo.
Le prime parole che mi vengono in mente sono: abitudine e coazione a ripetere.Il vantaggio evidente della ripetizione è la sicurezza di vivere in un già conosciuto. Tale meccanismo è così perverso che si scelgono inconsciamente situazioni dolorose ma note piuttosto che l'attivazione per qualcosa di nuovo. Gli stessi nostri atteggiamenti tendono a ricreare un noto rassicurante.
L'incompreso e il depresso spesso agiscono per rimanere tali: in tal modo hanno un sottile piacere nel vedere confermata la loro visione del mondo. Forse in quel momento non c'è ancora alternativa, in quanto non ci si sente ancora forti abbastanza per passare a un ordine nuovo di pensare. Invece ci si cristallizza sull'idea che il proprio malessere dipenda da fattori unicamente esterni, come se il proprio benessere fosse in balìa degli accadimenti fuori da noi.
E che dire della coazione a ripetere, che tutti ben conosciamo? Sappiamo tutto, abbiamo buona consapevolezza dei nostri meccanismi mentali, ci ragioniamo sopra, magari ci siamo sinceramente messi in profonda discussione, eppure forze potenti ci riconducono alla ripetizione.
Accade dunque che se per il bambino la ripetizione è utile per consolidare una conoscenza e poi ristrutturarla in una visione più ampia e ricca, nell'adulto questo processo si ferma. Ripetiamo, magari consapevolmente, e basta. Solo eventi esterni pesanti rimettono in discussione tutto, altrimenti preferiamo la sicurezza alla felicità, come disse Freud.E' proprio così ?
Ripensando al mio percorso di vita adulta, mi capita di avere ben chiaro che certe tematiche e un mio sentire che un tempo mi accompagnarono profondamente fino a regolare la mia vita, ora hanno perso di significato. Aspetti di me e della mia vita che mi facevano soffrire pesantemente, certi obiettivi per cui mi impegnavo strenuamente, ora sono solo vaghi ricordi appartenuti a qualcuno che non sono io.
Eppure non saprei dire cosa sia successo. Certamente nessun evento esterno eclatante, nessuna grande decisione, e non credo neppure alcuna particolare saggezza sopravvenuta. Ma ciò che sono ora è ben diverso da quello che potevo essere dieci anni fa, ed è probabile che potrò dire lo stesso fra dieci anni.
Cosa accade, dunque, al di sopra delle nostre decisioni, del nostro dire e pensare, al di sopra della nostra volontà?
Difficile dirlo, ma si potrebbe ipotizzare che esiste una continua ridescrizione delle nostre vite, in un processo simile, o forse uguale, a quello che caratterizza l'evoluzione dello sviluppo infantile.
Se, nel caso del bambino, le trasformazioni sono più evidenti, anche perché avvengono in tempi più brevi, nell'adulto i cambiamenti endogeni, non causati da avvenimenti significativi, diventano meno visibili, forse meno eclatanti, comunque sono frutto di trasformazioni strutturali profonde. Più si procede con gli anni, più la visione si amplia e il proprio io diventa sempre più relativo.
L'affermazione personale, anche necessaria nella giovinezza per stabilizzare quel che si è o che si crede di essere, diventa un qualcosa che perde via via di significato. Non è un tirare i remi in barca, e non credo che questo sia semplicemente frutto dell'esperienza.
Ipotizzo che ci sia qualcosa d'altro, di strutturale. Non è un caso che i vecchi abbiano una percezione del tempo ben diversa delle altre persone, come se tutti i tempi precedentemente vissuti permettessero una ridescrizione del tempo, fino ad arrivare all'essenza del tempo stesso.
Non per tutti è così, ed E. Erikson nella sua descrizione del ciclo di vita dice che la vecchiaia è contraddistinta o da saggezza o da disperazione.
Tale alternativa dipende da molti fattori: da tutta l'esperienza passata, da eventi esterni, da fattori fisiologici e, aggiungerei, dalla consapevolezza.
La consapevolezza, parola molto usata ma mai ben definita, può allora diventare lo strumento per una ridescrizione rappresentazionale delle proprie vite. Come il bambino a un certo punto riunisce tutte le sue conoscenze per fare un salto e reinterpretare il tutto, così la consapevolezza nell'adulto permette una revisione dei vari pezzi di sè e delle proprie esperienze, riunendo tutto in una visione un poco più ampia e, di conseguenza, un poco più distaccata da se stessi.
Questi due processi dell'età infantile e di quella adulta potrebbero avere una struttura simile, frutto dell'epigenesi umana e, soprattutto, sono inconsci, senza che la volontà possa decidere qualcosa. Inoltre sono in un continuo evolversi: non esiste un punto di arrivo finale, ma una continua ridescrizione.
Allora noi, esseri coscienti, cosa possiamo fare?
Forse se c'è l'umiltà di riconoscersi esseri in movimento, piccoli esperimenti di noi stessi, possiamo facilitare il processo, senza che un nostro particolare (una vicenda, una credenza, una caratteristica o quant'altro) possa bloccare questo fluire, lasciandoci frammentati nella disperazione.


Tullio Tommasi


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