Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione G.E.A.
Direttore : Dott. Ada Cortese
Via Palestro 19/8 - 16122 Genova - Tel. 010-888822 Cell 3395407999
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Anno 10°
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N° 35
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Marzo 2001
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Pag. 4°
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Tullio Tommasi
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ALEJANDRO JODOROWSKY
La vita tra Atto poetico, Psicomagia e Panico.
Jodorowsky è sempre stato un poliedrico che, nel corso della sua vita,
ha sperimentato un po' di tutto. Nato in Cile nel 1930, figlio di immigrati ucraini
ebrei, parte nel 1953 alla volta di Parigi,
città dove risiede tuttora. Già queste
poche note biografiche indicano che la storia dell'autore è storia di un errare tra
vari aspetti della vita, senza mai fossilizzarsi in un'unica attività o personaggio.
La sua carriera artistica ha toccato vari campi: mimo, attore, regista
cinematografico (El Topo (1971) e La Montagna
Sacra (1973) sono i suoi capolavori), autore di teatro, poeta, romanziere e
sceneggiatore di fumetti. In tutti i suoi lavori l'aspetto
visionario ha sempre prevalso, sottolineando così la necessità di
rompere le strade note e prosaiche.
Uno degli aspetti più affascinanti di Jodorowsky riguarda
la sua figura di psicoanalista sui generis. E difficile
posizionarlo rispetto a una scuola o a una corrente di pensiero, e non
a caso si definisce psicomago. In realtà egli ha elaborato un
modo nuovo di entrare in contatto con l'inconscio.
Il libro Psicomagia (Feltrinelli), permette di avvicinare
l'idea di Jodorowsky riguardo al mondo della psicoterapia. Sotto
forma di intervista, il libro ripercorre le tappe principali della vita
dell'autore, sottolineando le esperienze, anche
difficilmente credibili, che Jodorowsky ha vissuto, fino ad arrivare alla descrizione
della sua terapia, definita panica.
L'appellativo Panico è sempre stato presente nei suoi lavori: con Arrabal
e Topor ha fondato il movimento Panico nel teatro. Panico per dire che l'ordine
del nostro universo, in apparenza così
prevedibile, può venire sgretolato. E Jodorowsky, con la sua vita e le sue opere,
ha sempre ricercato l'atto che destrutturi lo stato delle cose scontate.
L'abitudine, rassicurante condizione che ci permette di nascondere
l'ineluttabile divenire del mondo, allora rimane
spiazzata e intravediamo altre possibilità di
esistenza. La grande scommessa riguarda il cambiamento: Jodorowsky scrive: la
gente desidera smettere di soffrire, ma non
è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare,
a cessare di definirsi in funzione delle sua adorate sofferenze. La terapia panica
vuole essere un modo, dirompente, per azzerare l'abitudine e aprire nuove porte
verso una comprensione diversa dell'esistere. Perché essa funzioni, occorre crederci,
e questo dogma è vero per ogni tipo di azione nel mondo.
Da anni tiene a Parigi il Cabaret Mystique, uno spettacolo a metà tra il teatrale
e la terapia di gruppo, uno show di terapie lampo in una sala in cui l'energia
crea situazioni rare di phatos. Chi assiste ai suoi spettacoli può oscillare tra
l'ammirazione e il dubbio, lo stupore e lo
scetticismo, lo si può chiamare un
ciarlatano trascendentale, comunque Jodorowsky
è una di quelle persone che hanno la capacità, forse una dote naturale, di
scavalcare direttamente tutto ciò che è scontato
per arrivare dritti al cuore. Dolce, umile e gentile in privato, Jodorowsky
quando sale sul palcoscenico può trasformarsi
in un'opera barocca, profonda, eccessiva, sacra, sicuramente non banale.
Già leggere il suo libro intervista psicomagia può dare un'idea di cosa vuol
dire entrare in questo mondo. Accade, o perlomeno, mi è accaduto di provare le
sensazioni che danno alcuni grandi libri: quando un romanzo ti prende e diventi tu stesso
un personaggio che dialoga con gli altri personaggi del libro, o quando un libro
ti mostra un'idea, magari semplice, ma per te nuova e ti sembra di aver trovato
una chiave preziosa per aprire porte dimenticate. I grandi libri lasciano poi una scia
che si prolunga anche quando la lettura è
finita e, più o meno inconsciamente, porta
delle piccole modifiche permanenti nella mente del lettore.
Tra le varie situazioni del libro, due in particolare mi sono rimaste impresse
e possono essere significative sia per sottolineare il modo di Jodorowsky di
vedere la vita sia per dare un esempio di atto psicomagico.
La prima riguarda un episodio di Jodorowsky da giovane quando, con un
amico, decise che quel giorno avrebbe camminato in linea retta, senza mai deviare:
"Se durante una passeggiata ci imbattevamo in un albero, invece di giragli intorno
ci arrampicavamo in cima. O ancora: se il cammino veniva ostruito da una
macchina posteggiata, ci salivamo sopra e camminavamo sul tetto..."
Al di là del contenuto, divertente e magari anche un po' adolescenziale, il
significato rimane impresso: la vita è un
atto poetico. Poesia che si contrappone all'aspetto prosaico per svelare tutto ciò
che l'abitudine ricopre. Dunque l'importante
è mettere tra parentesi ogni aspetto della vita che noi diamo per consolidato e
rimanere recettivi alla meraviglia, che comunque si manifesta nel momento stesso in
cui ci sentiamo vivi.
Inoltre è importante anche l'atto: ovvero un'azione concreta, che influisca
sulla realtà, per non rimanere ancorati
soltanto al pensiero astratto. Il vero intellettuale
è dunque colui che mette in atto i pensieri.
Jodorowsky mette però in guardia dalle facilonerie: l'atto poetico non
è una semplice trasgressione magari narcisistica. E
sempre un qualcosa che va preso con la massima serietà perché
potrebbe diventare pericoloso, in quanto accarezza regioni
nascoste di ciascuno di noi. L'atto poetico permette di
manifestare energie normalmente represse o latenti in noi. L'atto
non cosciente conduce al vandalismo, alla violenza. Per
Jodorowsky l'atto poetico deve essere positivo, deve cercare
sempre la costruzione in modo che possa espandersi la gioia
di vivere.
La seconda immagine che mi è rimasta impressa
leggendo il libro riguarda un cosiddetto atto psicomagico.
L'atto riguarda una donna che ha perso ogni voglia di vivere e che talvolta
pensa al suicidio. La donna ha un chiaro ricordo del pessimo rapporto col padre,
suicidatosi quando lei aveva dodici anni. L'atto prescritto da Jodorowsky può essere
così riassunto: andare in una residenza per anziani, comprare una dozzina di belle
arance, regalarle a dodici persone e parlare con ciascuna di esse per esattamente
dodici minuti. La donna ha cercato di dare qualche interpretazione a priori dell'atto:
dodici è il simbolo dell'impiccato nei
tarocchi, le arance sono simbolo di fecondità,
ma più dei simboli sottintesi, importante
era l'atto in sè, da eseguire con la
massima profondità.
Il racconto è molto toccante: si sottolinea l'importanza di quei dodici minuti
nelle singole conversazioni, quel tempo breve in cui tutto succede e ogni parola
della conversazione diventa essenza.
"...sentivo intorno a noi la forza di quell'amore
che avvolge tutti gli esseri umani..."
Eseguito questo atto, la prescrizione proseguiva come segue: siedi ai piedi
del portale di una chiesa e mangia un'arancia lentamente, per dodici minuti.
Tra i commenti della donna a conclusione dell'atto, mi sembra sufficiente
ricordarne uno: mi stavo autorizzando a vivere.
Tullio Tommasi
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