Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
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Dicembre 1996 Pag. 4° Agnese Galotti

Agnese Galotti

 PROFILI 

GIOVANNI DELLA CROCE

"O anima bellissima fra tutte le creature, che desideri tanto conoscere il luogo dove si trova il tuo Diletto, per trovarlo ed unirti a Lui! Ormai ti è stato detto che tu stessa sei il luogo in cui Egli dimora e il nascondiglio dove si cela."

Juan de Jepes (1542-1591)
Nacque a Fontiveros, vicino ad Avila da famiglia povera.
Orfano di padre molto giovane, fu apprendista, falegname, sarto, pittore nonchè accolito presso le agostiniane.
Studiò al collegio gesuitico.
Nel 1563 entrò fra i carmelitani. Frequentò i corsi di filosofia e teologia nell’università di Salamanca e nel '67 fu ordinato sacerdote. Stava infine per ritirarsi in una certosa in vita meditativa quando l’incontro con Teresa d’Avila - fondatrice del Carmelo Riformato - lo dissuase, inducendolo a seguirne l’esempio impegnandosi a restaurare, tra i religiosi, lo spirito della primitiva regola carmelitana. Collaborò pertanto alla fondazione di nuovi monasteri e divenne confessore di riformate scalze.
Tuttavia la sua attività di riformatore gli attirò ostilità e persecuzioni ad opera dei confratelli "calzati", fino al carcere conventuale di Toledo, dove rimase recluso 9 mesi.
Morì nel 1591, isolato e privo di ogni carica monastica.
I riconoscimenti da parte della Chiesa giunsero postumi: fu beatificato nel 1675 e canonizzato nel 1726.

Contesto storico
La riforma protestante aveva appena dato il via ad un movimento di riforma anche nella chiesa cattolica, confluito nel Concilio di Trento (1545-1563) in cui vennero ribaditi i punti fermi del cattolicesimo in tutti i suoi aspetti, compresi quelli riguardanti gli ordini monastici.
In Spagna era fiorente una spiritualità di tipo medievale, soprattutto nei paesi rimasti fedeli a strutture sociali e stile religioso tradizionali.
Accanto a ciò nasceva un fermento intellettuale e mistico.
Le conquiste d’oltremare e le recenti invasioni avevano portato l’influenza di altre religioni, il che alimentò la vigilanza di un’Inquisizione particolarmente pesante, sospetta persino a Roma per i suoi eccessi, che contribuì a rendere ombroso il cattolicesimo spagnolo.
Si creò un clima di fermenti innovatori accanto alla rigida ortodossia, il che favorì lo slancio mistico di cui san Giovanni della Croce, con il suo carattere esoterico, fu principale rappresentante.

Pensiero
L’essenza del suo pensiero è esplicitata nei suoi numerosi scritti, caratterizzati da uno stile singolarissimo: egli scrive, ispirato da un dono sublime di poesia, versi che esprimono nell’unico linguaggio possibile l’esperienza estatica dell’incontro dell’anima con Dio, ed insieme il dolore acuto della notte oscura ch’essa si trova a traversare; a ciò fa seguito un commento che sviluppa quanto evocato nei versi con una logica rigorosa e profonda, che guida il lettore nel faticoso percorso quotidiano di chi ha scelto di porre Dio avanti a tutto.
Giovanni si rivolge prevalentemente a religiosi e religiose, i carmelitani scalzi di cui fu guida spirituale, ma è ben consapevole che "saranno una minoranza a trarne profitto, perchè qui non si scriveranno cose morali o molto gustose per tutti gli spirituali che amano andare a Dio con dolcezza e soavità, ma una dottrina sostanziale e solida, buona per chiunque voglia giungere alla nudità di spirito che qui si descrive." Le pagine di Giovanni della Croce per essere comprese nel loro senso più vero richiedono, oltre ad una lettura attenta e ad un buon impegno intellettuale, soprattutto la presenza di un anelito irrefrenabile al contatto amoroso con Dio, che non faccia desistere l’adepto che si addentra nella notte.
"... Notte che mi hai guidato!
O notte amabil più dei primi albori!
O notte che hai congiunto
l’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata! "

Egli non fa mistero delle difficoltà e dei numerosi tranelli in cui si può cadere durante il percorso, sostituendo talvolta appagamenti inferiori all’incontro con Dio stesso.
In "Salita del monte Carmelo" viene spiegato come si può raggiungere la cima del monte, cioè quell’alto stato di perfezione, ch’egli chiama "unione dell’anima con Dio". Si tratta di una salita impervia ed essenziale che impone sacrificio estremo: un lavoro di spoliazione totale che l’anima deve compiere.
In questo scritto, come nella "Notte oscura" che commenta i medesimi versi, egli distingue la notte passiva dei sensi, in cui l’anima si libera dagli appetiti legati alla forma corporea, dalla notte attiva dello spirito, in cui si opera una purificazione dell’intelletto, ovverosia di memoria e volontà.
"Amare Dio è spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio", ferma restando la consapevolezza che è Dio stesso ad operare la purificazione nell’anima che a lui si dona senza riserve.
La notte oscura, dunque, è lo svuotamento totale di qualsiasi contenuto, il nulla, ciò che l’anima ha da sperimentare prima che possa essere pronta per l’incontro con Dio.
Tale esperienza estatica è testimoniata in "Cantico spirituale", composto durante la carcerazione a Toledo, e "Fiamma viva d’amore", in cui sono distinte le fasi che si succedono nell’esperienza mistica: la prima è quella del "fidanzamento spirituale", in cui l’anima realizza che la propria volontà è conforme a quella di Dio, ma non è ancora libera dagli assalti della sensibilità. A questa segue la fase di "matrimonio spirituale", in cui l’anima arriva a percepire continuamente Dio dentro di sè, realizza il legame d’amore che la unisce a lui e ne gode intimamente.
Infine nell’"unione totale" con Dio è realizzata la trasformazione totale della volontà dell’anima, in modo tale che in essa non vi sia più alcuna cosa contraria alla volontà di Dio. E’ un trionfo dell’amore, quello che si realizza quale coronamento delle fasi di spoliazione, notte ed unione, con tutte le esperienze di angoscia, turbamento, desiderio, pace, potenza e dolcezza, nella consapevolezza che "il soffrir tenebre promette gran luce". E proprio nella capacità di accogliere le tenebre, la notte oscura, nell’accettare di non capire, pur soffrendo, diremmo noi - è insito l’atto di umiltà necessario all’anima che aspira alla luce, alla vera comprensione che non può che essere tutt’uno con la vera esperienza di amore.
"...fortunato
chi a quel tempo esisterà,
e con gli occhi suoi umani veder Dio meriterà."


Agnese Galotti


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