Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Home Anno 5° N° 18
Dicembre 1996 Pag. 2° Ada Cortese

Ada Cortese

 EDITORIALE 

BISOGNO DI SPREGIUDICATEZZA

Nel dialogo interpersonale, senza la disponibilità dell'altro a trovare nuovi significati, le parole si rattrappiscono, si disidratano uccise dallo spirito giuridico.

Alle soglie del Terzo millennio la coscienza è riuscita in molti a saltare su se stessa. Essa resta però prigioniera di un linguaggio che, per sua natura, non le facilita il compito. Eppure le parole sono il bene più grande della vita cosciente ed in esse non sparisce l’essenza simbolica capace di renderle sempre nuove, libere dalla "filopsichia".
Il pensiero è dialogo: interiore o interpersonale che esso sia.
Nel dialogo c’è chi parla, agisce, e chi ascolta, accoglie.
Vi è il soggetto interrogante - la potenza - ed il soggetto rispondente - l’atto o manifestazione.
Questo accade nel nostro pensiero interiore e questo accade quando dialoghiamo, con un nostro empirico interlocutore. Se siamo "soli" con il nostro sentirci pensare, siamo comunque sempre almeno in due: l’interrogarci ed il tentativo di risponderci. Se siamo con un interlocutore empirico, siamo almeno in quattro: il soggetto interrogante e il soggetto rispondente in noi e nel nostro partner.
Nel dialogo empirico, che è sempre pensiero, il soggetto parlante propone già all’ interlocutore un suo parto, un atto (e infatti "parla") che è tentativo di risposta al proprio soggetto interrogante interiore e più del suo interlocutore, proprio perchè egli è "soggetto parlante", è "vittima" del segno - se dice una parola non può dirne un’altra, è più dell’altro nello spazio/tempo - mentre l’interlocutore, in quanto ascoltatore silenzioso può accogliere idealmente la parola del primo in un contesto simbolico che apra ai nuovi significati che pure il primo sta ricercando. L’interlocutore si propone allora come "potenza", femminile, capace a sua volta di restituire al compagno, e passando per l’atto, per la parola anch’egli, una forma più completa alla sua proposta/concetto. Insieme "concepiscono" facendosi l’un per l’altro spirito. Si comprende allora come non vi sia netta separazione di ruoli tra i due e che entrambi potrebbero riconoscersi consustanziali all’essenza (il pensiero) che li costituisce.
Insomma si ricerca in due e per ricercare occorre che colui che ascolta, che è potenza (rispetto al primo che è "atto") si faccia esso stesso testimone attivo, ossia si faccia penetrare dal compagno, e non si limiti a presenziare secondo la "legge". Testimone giuridico è colui che rifiuta di congiungersi con l’altro per partorire nuovi significati; è colui che si accontenta dei significati "tradizionali" e "legali".
Testimone giuridico è colui che accoglie la parola balbettante del primo secondo significati, dunque secondo paradigmi già assodati, secondo la legge. Egli è testimone pigro perchè lascia solo l’altro nella ricerca e non lo aiuta nella esplicitazione del nuovo concetto, della nuova consapevolezza che, dunque, solo formalmente entrambi cercano.
Testimone "spregiudicato" è colui che accoglie sapendo liberare la sua mente dalle vecchie letture riservate alle parole.
Spregiudicatezza è il gesto trasgressivo verso la "legge" che ha deciso il significato legittimo, il segno a cui la parola rimanda. Pre-giudizio è dunque restare nella legge dei significati raggiunti la quale, sola, decide conformità e giudizi. Poter rimettere in discussione segni, significati e dunque visioni del mondo che essi sostengono, è necessità improrogabile per chi voglia riconoscere se stesso come soggetto "in ricerca". Accade spesso che superficialmente si accolga tale definizione per se stessi. E’ talmente "gratificante"! ! Accade però salutarmente che la facciata non regga e ciò si evidenzia proprio nel dialogo empirico perchè qua si evidenziano le rigidità, i pregiudizi, le pigrizie che rattrappiscono l’ascolto delle parole nuove balbettate a favore di vecchie letture dettate da vecchie leggi (visioni del mondo) ormai tiranne.
Per fortuna, nella ricerca solitaria ed interiore, è spesso proprio il Tu interiore a incalzare verso il nuovo e a indurre opera di massima pulizia dai pregiudizi.
L’interlocutore con cui conviviamo perennemente (a meno di non tacitarlo nevroticamente) cerca per entrambi maggiore consapevolezza e libertà. Non sempre è così, ripeto, nel dialogo empirico e quando così non è, ciò significa molto semplicemente che tra i due uno fa sul serio, ovvero si mette concretamente in discussione; e che l’altro simula la ricerca, ossia concretamente la rifugge. Basta riconoscere i luoghi del "vero" e del "falso", dell’"amore" e della "legge" per sapersi regolare.


Ada Cortese


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