Individuazione
Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA
Direttore : Dott. Ada Cortese
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Settembre 1996 Pag. 8° Maria Campolo
 RICERCHE 

L'EREDITA' DI GALILEO


"La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua ne' quale è scritto."

Il desiderio di svelare i segreti del mondo e di conoscerlo secondo le caratteristiche di necessità, totalità, incontrovertibilità, era nato con l’avvento della filosofia e subito ci si era resi conto che tale desiderio non poteva essere appagato dalla pura esperienza.
Le ragioni, i perchè, l’essenza ultima dei fenomeni non poteva essere scoperta attraverso la mera osservazione degli eventi poichè quello che si perseguiva andava ben oltre ciò che si può cogliere con i soli cinque sensi. Fu perciò utilizzato prevalentemente il metodo deduttivo e solo marginalmente l’esperienza.
La filosofia della natura, come venne chiamata, cercava quei princìpi e quelle cause remote che stanno a fondamento del reale fisico, avendo come ammonimento la frase di Aristotele che "dal particolare non si dà scienza".
Galileo, a cui si riconosce la paternità della scienza moderna, abbandonò questa prospettiva e fondò un nuovo modo di procedere nell’indagine sulla natura. Perfezionò il metodo sperimentale integrandolo con la matematica, ma soprattutto comprese che una adeguata conoscenza dei fenomeni non si otteneva cambiando di volta in volta filosofia ma ricorrendo ad un altro tipo di indagine che non era filosofica.
Egli dichiarò la rinuncia a voler "tentar l’essenza", limitandosi ad obiettivi più ristretti, e ciò apparve erroneamente agli occhi dei suoi contemporanei come una rinuncia alla vera conoscenza, un limitarsi agli accidenti senza coglierne l’universalità.
Di fatto Galileo era consapevole di non poter cogliere in un solo balzo una definizione universale della realtà e propose perciò un cammino inverso: esaminando le molteplici "affezioni" degli enti giungere ad un quadro sempre più organico che avrebbe finito con l'offrire una conoscenza autentica e sempre più precisa del fenomeno preso in esame.
Alcuni suoi illustri contemporanei preferirono seguire il vecchio tipo di scienza filosofica e fra costoro Cartesio propose una suddivisione dualista tra le essenze fondamentali: la res cogitans e la res extensa , che abbracciavano rispettivamente la sostanza spirituale la prima e quella degli enti materiali la seconda.
Nel frattempo, e nei secoli che seguirono, il metodo scientifico fornì alle discipline fisico-matematiche un progresso rapido tanto da renderle autonome dalla filosofia. I successi che la meccanica razionale conseguì, la portarono ad essere ritenuta la scienza della natura per eccellenza e un modello di scienza in generale insuperabile grazie alla sua metodologia che poggia su dati sperimentali.
Si finì con il ritenere che il meccanicismo fosse la chiave di interpretazione della natura, arrivando così a farne sostanzialmente una nuova filosofia.
La scienza modernamente intesa, nata con il motto galileano di non voler "tentar l’essenza", rinnegava così le sue radici e si assumeva il compito di poter dire in modo assoluto l’essenza del reale fisico, riconducendola a massa, forza e movimento.
Il positivismo sostanzialmente non è altro che l’accettazione e il riconoscimento alla scienza di essere "la filosofia", tanto da ritenerla un'indagine esaustiva sia circa il mondo fisico sia per quanto riguarda tutti gli ambiti dei problemi umani, dichiarando che essa (ovvero il metodo scientifico) è l’unico mezzo valido per affrontare e risolvere quei problemi che da sempre l’umanità si era posta.
I primi colpi che vennero ad infrangere quest’ottimistica visione furono inferti dalla scienza stessa, o meglio da alcune scoperte che nell’Ottocento erano state compiute: la teoria ondulatoria della luce, alcune scoperte della biologia, l’evoluzionismo e altre ancora, erano difficilmente riducibili all’interpretazione della meccanica classica. Insieme a ciò arrivò, alla fine dello scorso secolo, la nota crisi che investì la matematica nei suoi fondamenti, la quale, ricordiamo, è un punto saliente, una sorta di colonna portante nel metodo scientifico, che finì, con altre scoperte della fisica (come esempio citiamo la legge sulla relatività), col provocare un vero e proprio terremoto all’interno della scienza.
I vecchi schemi meccanici furono abbandonati non senza difficoltà e resistenze, non solo perchè per lungo tempo si era considerato il meccanicismo come "l’interpretazione" del mondo fisico, ma anche perchè, rileva Evandro Agazzi, questa teoria aveva la caratteristica di essere "intuitiva" e in accordo con il senso comune confermando quel dualismo di cui è ancora afflitta la mentalità occidentale. Le nuove teorie offrivano invece forti difficoltà di concettualizzazione e avevano la caratteristica di estrema astrattezza e "non-intuitività" (si pensi alla teoria della relatività o alla meccanica quantistica).
Accadde alla scienza ciò che era successo alla geometria dopo l’avvento, a metà del secolo scorso, delle geometrie non-euclidee: se il meccanicismo non era stato in grado di reggere alle nuove conoscenze significava che non era la "vera" visione del mondo fisico, così come la geometria di Euclide non era la "vera" geometria, ma ciò che ne seguiva era che neppure le nuove teorie fisiche potevano essere ritenute le "vere" teorie.
Tutto ciò ridimensionò le istanze filosofiche della scienza moderna e produsse un atteggiamento che la vede pronta a cambiare "visione" qualora nuove scoperte lo richiedano. Contemporaneamente dal linguaggio scientifico sparì il termine "vero" che fu soppiantato da "oggettivo".
La sostituzione fu il frutto di un certo tipo di atteggiamento gnoseologico, che venne sviluppandosi all’interno dell’epistemologia all’inizio del nostro secolo che, sulla scia kantiana, vede la ragione fallace non solo quando si esprime sulla conoscenza metafisica, ma ora, dopo gli smacchi subiti dalla scienza empirica, anche sul reale fisico; inoltre il termine "oggettivo" sembrerebbe ripulito dalla soggettività, da sempre vista con sospetto anche dalla filosofia.
Born richiama al fatto che le conoscenze "oggettive" non esauriscono e non danno "ragione" a ciò che è la realtà e il rapporto che con essa ha ogni uomo (e quindi anche lo scienziato) e che va ben oltre la conoscenza "oggettiva" fornita dallo strumento scientifico.
Il rimprovero che oggi si muove alla filosofia è quello di non farsi carico del compito che le compete: essa deve tornare a collocarsi dal punto di vista del "tutto" che a lei sola spetta.
Circa la capacità o meno dell'uomo di conoscere in modo veritiero, ricordiamo quanto sosteneva Galileo: "l'intelletto nostro fa di passo in passo, [ciò che] l'intelletto divino, a guisa di luce, trascorre in un istante... ma non avvilisco l'intender nostro quando io vo considerando quante meravigliose cose hanno intese ed investigate ed operate gli uomini... ed intendo essere la mente umana opera delle più eccellenti."

Maria Campolo


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