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Direttore : Dott. Ada Cortese
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N° 02 Ada Cortese

Ada Cortese

 CONFERENZE 

IGNORANZA SECONDARIA

 

1. Premessa

Prima di affrontare il tema specifico, ovvero il concetto di "ignoranza secondaria", va subito anticipato che esso s'incastona ed è parte integrante del processo conoscitivo e cognitivo. Richiamo brevemente i due punti di vista che ci sono propri e da cui abbiamo sempre trattato il processo stesso. Essi sono il punto di vista psicoanalitico e il punto di vista filosofico. E precisamente:
- della psicoanalisi "dialettica" che si richiama in buona parte al pensiero di S. Montefoschi secondo cui l'evoluzione del processo conoscitivo è regolata dalla legge universale del tabù dell'incesto simbolico e della sua corrispondente infrazione. Da essa dipende la progressione sintetica delle forme conoscitive;
- della filosofia "dialettica" moderna secondo il modello di F.G.W.Hegel e che costituisce a sua volta la più ampia base su cui poggia la psicoanalisi dialettica. Esso prevede la fondamentale configurazione triadica della tesi, della antitesi, e della sintesi.

 
2. Analisi e Ricerca. Sintesi e Sapere

Qualunque sia la metafora descrittiva prescelta, pare inevitabile imbattersi in due fondamentali momenti del processo conoscitivo:
- il momento analitico: coincide con la raccolta delle informazioni secondo precise categorie quantitative e qualitative e con la ricerca propriamente detta;
- il momento sintetico: quando la massa dei dati raggiunti attraverso il processo analitico precipita in una nuova configurazione sintetica e semplificante la complessità precedente in una percezione immediata che trasforma la ricerca in sapere.
Il processo si ripete su piani più elevati in un movimento idealmente spiraliforme . E' così che la ricerca, collassa nel sapere salvo riprendere, sul nuovo piano coscienziale e con nuove metafore, una nuova ricerca destinata anch'essa a collassare in un nuovo livello di sapere (uso il termine collasso prendendolo in prestito dalla teoria epistemologica del caos e della complessità).
Ed è sempre così che prendono forma i simboli ovvero le parole capaci di evocare molteplici livelli di descrivibilità.
Facciamo un esempio: la complessità di un universo descritto sotto forma di mattoni deve collassare in un metodo, per certo verso più rudimentale ma più sintetico, che permetta l'introduzione di una nuova metafora: il muro. Grazie a questo modo nuovo di descrivere l'universo, possiamo introdurre il concetto di case, e così via. La massa delle case collasserà in un metodo descrittivo che ci permetterà di raccontare di isolati, di quartieri, di città, ecc.
La dinamica della percezione pare conservarsi nelle successive fasi del processo cognitivo. E' interessante osservare come la struttura conoscitiva sia tutt'uno con la nostra struttura percettiva . Potremmo dire che nell'atto percettivo si concretizza una forma di conoscenza preterintenzionale, ovvero inconscia; nell'atto conoscitivo intenzionale si concretizza e si coscientizza la struttura percettiva. In entrambi i casi è contemplata la sequenza già menzionata analisi-sintesi. In entrambi i casi la sequenza si compie attraversando la soglia della gestibilità delle informazioni secondo il modo analitico, attraversando, dunque, il collasso della modalità descrittiva analitica, per accedere alla nuova modalità sintetica che a livello percettivo diventa la nuova gestalt e a livello conoscitivo diventa il nuovo concetto.
Un ulteriore esempio in ambito puramente percettivo può essere il seguente: in un foglio di carta ove vengano impressi una serie di punti, il passaggio dalla visione disordinatamente puntiforme alla visione dell'immagine che i punti determinano.
Un esempio in ambito conoscitivo può essere il seguente: la composizione della tavola periodica degli elementi di Mendeliev che descrive l'organizzazione degli atomi secondo il loro peso atomico e che ha permesso di scoprire la periodicità delle loro caratteristiche chimiche.
Il passaggio dalla percezione dei mattoni alla gestalt del muro è segnato da uno stato di tensione in cui pare essere necessaria l'accettazione dell'apparente perdita di informazioni a causa del passaggio da una percezione particolareggiata (i singoli mattoni, i granelli di sabbia) ad una percezione apparentemente più grossolana, il muro, il deserto. Ora, è evidente che l'esempio percettivo riportato descrive un processo conoscitivo la cui elaborazione è delegata all'azione automatica e organizzata del nostro apparato sensoriale e cerebrale. L'ho riportato perchè esso esemplifica un momento del processo cognitivo che si dà anche nelle fasi evolutive successive quando esso passa dall'ambito psicoide, che con Jung intendiamo come la zona di frontiera tra fisiologia e psiche, all'ambito più squisitamente psichico, che con Jung intendiamo come la zona a dominanza simbolica.
Vorrei ricordare che il processo conoscitivo descritto fin qui dal punto di vista del conoscente, l'uomo, segue, ovviamente, identico sviluppo se lo si considera nella sua oggettivazione: le scienze (il conosciuto dal conoscente). Quando esse raggiungono uno stato di complessità ingestibile emerge sempre una nuova visione che sa unificare la massa ingovernabile in un nuovo sistema semplificante. Un solo esempio per tutti: l'attuale sforzo della fisica di trovare un principio unificatore per le quattro forze universali.
Tornando però al punto di vista del soggetto conoscente, quando sia sufficientemente psichicizzato quale è il soggetto umano, pare che per lui sia più facilmente avvertibile lo stato di ignoranza nello stesso momento e per lo stesso evento che porta in sè anche il nuovo stato di conoscenza. E ciò non per perdita di informazioni quanto per annegamento e soffocamento nella sovrabbondanza di dati diventati ingestibili all'interno della vecchia modalità descrittiva, dunque, della vecchia gestalt.
Quanto fin qui descritto, sia pure approssimativamente, pare corrispondere alla legge universale che regola la natura linguistica dell'universo.

3. Ignoranza primaria immediata

Vorrei ora proporre una riflessione sull' ignoranza. La distinguo in ignoranza primaria e ignoranza secondaria. L'ignoranza primaria è il Male al cospetto del Bene se per Bene intendiamo la Conoscenza; è quella categoria che definisce l'innocenza primaria, quella che non conosce se stessa né l'altro avvolta come è in una sorta di Eden. L'ignoranza è il buio, il limite che si rinnova solo per porsi a perenne sfida dell'uomo nel suo processo di umanizzazione. L'ignoranza va dunque percepita e questo è il primo atto conoscitivo cosciente da cui può partire il processo stesso. Il mito dell'uscita dall'Eden ha questo significato. Finchè siamo nell'Eden non v'è coscienza dell'ignoranza, del limite e della morte.
E' lo stato dei primi ominidi, nostri antenati, che ancora è presente dentro di noi e riproduce quello stesso vissuto di sgomento e terrore che è stimolo alla conoscenza. L'ignoranza primaria, quella che ci rende idealmente animali (perché ormai non lo siamo più allo stato puro da tantissimo tempo), vede la nostra psicologia dominata dalla conoscenza istintuale, dall'inconscio inteso e descritto correttamente da Freud come inconscio pulsionale. Prescindendo da quel tipo di ignoranza inconscia di sè (quella della prima coppia nell'Eden e forse dei neonati umani) l'ignoranza primaria si potrebbe distinguere in:
ignoranza primaria e immediata
ignoranza primaria e mediata

La prima è l'ignoranza pura. E' l'ignorare la cosa in modo primario. In quanto sconosciuta, la cosa non esiste. Non siamo ancora stati scolarizzati né dallo Stato né dalla vita. Dalla condizione di ignoranza o di semi-inconscietà primaria nasce nell'uomo delle origini il bisogno di conoscere, bisogno che non doveva essere indipendente dal bisogno di neutralizzare la paura e il terrore.
Nell'età tecnologica del Terzo Millennio si diventa uomini attivando il programma genetico che già porta in sè il programma conoscitivo di quello che siamo. Nasciamo già uomini e abbiamo bisogno di imparare anche a ricordarcene apprendendo modelli culturali, pensieri, nozioni scientifiche, ecc. Si va a scuola, si vive e si interiorizzano nei primi venti anni circa della nostra vita i fondamentali modelli psicologici e affettivi, nonché la logica che governa le cose della vita ed il rapporto dell'uomo con essa.
Ciò che continua ad accomunare il primo uomo all'uomo del duemila è l'angoscia consapevole della morte.
Quando i primi uomini cominciarono a sapere del loro terrore per la morte cominciarono a rappresentarla in ciò celebrandone un rito esorcizzante: la morte che essi vedevano rappresentata non era la loro morte. Lo spettatore si sentiva, pur presente, estraneo a quella sorte; si sentiva inconsciamente fortunato perché la cosa ancora una volta non lo riguardava.
La tragedia, dunque, nasce come prima forma teatrale di elaborazione artistica e sacra ad un tempo perché l'uomo, quando iniziò a farsi consapevole, si fece consapevole per prima cosa della sua angoscia, l'angoscia derivante dalla certezza della propria fine, della propria morte.
Con la tragedia l'uomo imparò da un lato a familiarizzare con l'idea della propria morte, nel contempo a tenerla a bada condividendone il dramma esistenziale con i suoi simili nel rito sacrificale e catartico che il dramma teatrale amplificato dalla partecipazione del coro permetteva.
Solo in un secondo tempo l'uomo trovò la capacità ed il gusto della risata: la commedia fu posteriore perché fu solo in un secondo tempo, fu quando l'uomo potette trovare una soluzione ai rischi e quindi quando si sentì più sicuro avanti ai trabocchetti degli dei e delle Sfingi, che egli si permise di ironizzare su se stesso perché già sapeva che quello che rappresentava, fosse egli stesso coinvolto immediatamente nella scena della commedia come attore (o, diremmo oggi per il nostro tempo, anche come narratore di barzellette), o fosse egli semplicemente il pubblico fruitore, era comunque un viaggio di andata e ritorno dagli inferi dell'angoscia: la commedia è tale perché ciò che avrebbe le premesse per finire secondo la logica della tragedia, finisce in tutt'altro modo che spiazza e diverte il pubblico medesimo. In genere la commedia è costruita sull'equivoco e porta con sé un dramma incombente come una spada di Damocle, salvo che poi il dramma è sventato, l'uomo e la sua arguzia trionfano. Egli torna dalla morte dopo averla vinta. Edipo vince ancora una volta la Sfinge.
Nella tragedia l'uomo si confronta con il suo lato oggettuale che lo rende schiavo della sorte e della natura, sicchè è soprattutto questo suo lato necessariamente succube che deve imparare a sopportare, ed esso raggiunge l'apice nella rappresentazione della morte. Nella commedia l'uomo si confronta con il suo lato agente, creativo e conoscente. Egli verifica la sua libertà spirituale che gli permette non solo di evocare la morte (il dramma incombente) ma di vincerla e sbeffeggiarla.
Nella capacità comica dell'uomo si nasconde la grande intuizione che va a nozze con il secondo principio della termodinamica: niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma. Nella possibilità di ridere si cela dunque la consapevolezza, sia pure inconscia, della nostra sostanza universale.
Ma torniamo alla fase tragica: l'ignoranza primaria e immediata ci avvicina alla necessità di conoscere per vincere l'angoscia della certezza della morte e la tragedia. Il dolore, che ancora tinge di sé la nostra conoscenza, evoca in qualche modo lo stazionamento piuttosto prolungato alla modalità tragica e al carico di paura e paranoie che essa sospinge e cerca di neutralizzare.

4. Ignoranza primaria mediata

L'ignoranza primaria e mediata è invece quella che ci rende passivi e succubi della acculturazione in un modo tale che il nostro rapporto con essa si mostra essere della stessa natura che il nostro rapporto con la nostra istintualità. La chiamo mediata perché non siamo più i puri ominidi dell'inizio, perché in effetti molta cultura è sedimentata in noi come processo conoscitivo e come contenuti, come pensiero e come pensati. L'ignoranza primaria mediata è l'approccio alla conoscenza e al mondo del pensiero (sostanza della vita esteriore ed interiore) come fosse una cosa ferma e definita una volta per tutte, insomma è l'approccio alla conoscenza come fosse cosa morta, come fosse solo un conosciuto, un oggetto, un contenuto. Dal punto di vista della descrizione che ne opera Montefoschi è come se il soggetto, pur essendo ormai sul piano coscienziale del soggetto riflessivo individuale, se non addirittura già del soggetto superriflessivo, continuasse a funzionare al livello inferiore della coscienza semplice o autocoscienza caratterizzata dalla polarità semplice soggetto-oggetto. In questo ambiente psicologico non c'è spazio per la coscienza della dialettica, della storicizzazione, nè tanto meno del contrario. Siamo avanti a ruderi del primo Eden e dei primi Adamo. Signoreggiano l'anacronistica incoscienza del pensiero e l'anacronistica automazione dei pensati che inchiodano il soggetto alla ripetitività dell'asservimento al dolore, alla morte, alla sofferenza come fossero gli unici paradigmi fondanti la sua essenza.
Ignoranza primaria e mediata vuol dire oggi e a mio avviso 1)avere a disposizione, per eredità generazionale umana e per possibilità personali, l'occasione di recuperare se stessi all'interno della stessa dinamica della conoscenza e declinare l'offerta e la chiamata della vita a coglierla; 2) oppure è la tragica incapacità di recuperare la propria vita come fatto simbolico e come medium tra l'essere e l'essere
. Ora, lasciando da parte il secondo caso, per cui non ci sono ulteriori riflessioni da svolgere in questa sede, siccome tutto il patrimonio necessario esiste, sia dentro (l'inconscio collettivo che come Jung correttamente ci ha mostrato porta in sè la sintesi della storia universale nei simboli che sa evocare) che fuori negli interlocutori più preziosi (incontri, libri, ecc.), l'ignoranza primaria a cui si rimane colpevolmente ancorati non può essere detta immediata (e in tal caso sarebbe incolpevole) ma mediata da una cultura rinnegata, dunque relegata oltre tempo opportuno nell'inconscio a cui non toccherebbe più il compito di custodirla; cultura e coscienza vengono dunque aggirate e raggirate. E' l'ambiente adatto all'anti-cultura, al pregiudizio.
I concetti di primarietà, di mediazione e di secondarietà che ho introdotto per qualificare i due livelli di ignoranza, reintroducono il modello hegeliano della dialettica. Possiamo dire che il processo è lo stesso solo che, mentre Hegel descrive l'evolvere del processo dialettico della conoscenza, noi cerchiamo di descrivere l'evolvere dell'ignoranza secondaria a nostro avviso tutt'uno con la sapienza o saggezza che, col procedere della gradazione spirituale sempre più alta, si sedimenta nel soggetto.
Se con Hegel si accetta la definizione del processo dialettico dello Spirito quale l'opera, lo strumento ed il fine, appare consequenziale che quanto più ci si avvicina al fine tanto più svaniscono gli altri due lati del processo: quello operativo e quello strumentale. La fine del processo dialettico è il fine del processo dialettico.
Si può dire che così come ignoranza primaria e immediatezza primaria si equivalgono nell' atteggiamento isterico che esse determinano, allo stesso modo si equivalgono ignoranza secondaria ed immediatezza secondaria nell' automazione della consapevolezza che esse determinano.

5. La storia della conoscenza quale processo verso la consapevolezza a-coscienziale

La storia della conoscenza è passaggio da un vecchio ad un nuovo e più sintetico sapere. Essa mira a ripristinare l'immediatezza dell'origine secondo un nuovo stato di crescente raffinatezza o distillazione che altro non sono se non i sinonimi per dire la consapevolezza profonda universalmente ritrovata nella dialogicità dei due soggetti amanti che fanno insieme, sia pure ancora nella riflessione del singolo uomo, la Riflessione Universale. Essa è dunque passaggio da una immediatezza ad altra immediatezza, da quella primaria a quella secondaria che, a sua volta, nel successivo evolvere del processo si rifarà primaria e così via.
Se la sapienza è in sè semplice e, direi, è consapevole a-coscienzialità, ne risulta che la storia della coscienza è la storia delle mediazioni, ossia della gestibilità dello stato di tensione che il passaggio dallo stato primario a quello secondario sempre comporta. Nel momento della mediazione sta il dominio dell'io, della coscienza e dello spazio tempo. Nella primarietà e nella secondarietà dell'immediatezza o dell'ignoranza sta il dominio del Sè, ovvero della Conoscenza che in quanto tale vuol sapersi oltre le categorie conoscitive strumentali a tale fine.
Il nostro pensiero è che il processo dialettico quale modalità linguistica di questo universo stia giungendo a completamento e che dunque si sia alle soglie di un nuovo procedere e di un nuovo stare nel perenne movimento conoscitivo che non sarà più segnato dalla necessità della mediazione quale terzo
punto che esclude ed unisce, quindi dalla necessità dell'Io, ma dalla naturalezza della pura interlocuzione, dunque della dialogicità in cui l'uno si sa nell'altro e viceversa immediatamente in una assoluta intersoggettualità che dovrebbe, secondo il nostro pensiero, liberare l'Essere dalla frantumazione materiale per realizzare davvero l'intento dell'Uni-verso: il movimento verso l'Uno sta concludendo il percorso e sta raggiungendo la meta, l'Uno.
Se dal processo triadico si può passare al processo diadico ciò significa che l'Io del soggetto riflessivo individuale scopre la sua sostanza universale e si traduce nel Sè, ovvero nella Consapevolezza Potente che sa di avere dalla sua parte tutte le altre porzioni di Sè, frantumate o complesse che siano. Ciò significa che questo soggetto sa ritrovare se stesso nell'Altro da sè sempre e al di là delle scorie diversificanti che ancora persistono.
Se nell'Uno i due del dialogo sanno sempre e immediatamente l'uno dell'altro come di se stesso e viceversa, il loro nuovo sapere si traduce in un puro sentirsi reciproco.
Saggezza è sentire la vita, sentirsi vivi e interi.
Accade ogni tanto che l' Uno si percepisca attraverso di noi, poco forse, come pochi sono i momenti estatici, ma accade quel tanto per farci supporre che in questa futura utopia (nel senso letterale e non metaforico) le cose funzioneranno proprio come l'esperienza sporadica ma non rara già ci insegna.
Tornando allora nello specifico dell'ignoranza primaria mediata, forse risulta ora più chiaro di cosa essa si sostanzi secondo il nostro pensiero: della rimozione dei gradi di libertà che il processo conoscitivo ha sviluppato. Ne consegue l'aggrapparsi passivo e subalterno ai contenuti conoscitivi dati, ai già pensati come fossero idoli che vivono di vita propria. Lo Spirito, per dirla con Hegel, è ancora oggettivo, non è rientrato in sè. Non conosce in questi soggetti la gratuità della creatività e dell'arte. L'ignoranza primaria mediata costringe alla dipendenza, alla necessità, alla mancanza e dunque al puro principio di utilità. Da cui deriva il perpetuarsi del potere inteso come egoicità ossia dominanza del particolare rispetto alla nuova visione dell'universale che l'accettazione dell'ignoranza secondaria permetterebbe.

6. Oscurantismo sociale e ignoranza primaria mediata

Accanto alla responsabilità individuale v'è la complicità di certa Ombra sociale : l'oscurantismo che produce anticultura (per esempio le forme pubblicitarie che producono bisogni deviati e demonizzazioni di quanto è contrario all'interesse di chi pubblicizza, dunque l'oscurantismo delle multinazionali, l'oscurantismo del potere politico e religioso, l'oscurantismo dei mezzi di comunicazione di massa, l'oscurantismo di tutte le istituzioni che di esso si nutrono pena non potersi preservare , ecc.). Oscurantismo è la colpevole manipolazione della cultura. In questo ambiente l'ignoranza primaria mediata è certo eterodiretta. Ma va riconosciuto subito che nonostante questa grande ombra nell'organizzazione della polis, nonostante l'atmosfera orwelliana in cui siamo inseriti sempre più massicciamente, la coscienza e la conoscenza a disposizione, dunque il grado di libertà sperimentabile per molti è estremamente elevato sicchè è del singolo soggetto la responsabilità dell'ignoranza primaria mediata ed è del singolo soggetto dunque anche la responsabilità dell'oscurantismo sociale.
L'ignoranza primaria, immediata e mediata, è l'unico nemico degno che valga la pena di combattere ed è tutto nostro. Essa toglie gli altri nemici e ammettere la sua esistenza quale unico vero antagonista sarebbe una grande conquista umanizzante.
 
7. Ignoranza secondaria

L'ignoranza secondaria di cui parlo ha a che fare con la conclusione del ciclo evolutivo del sistema uomo quale soggetto riflessivo individuale e dunque quale strumento parziale di conoscenze parziali. Poichè, nel nostro modello, è esso stesso coincidente con la struttura conoscitiva e linguistica dell'universo per descrivere se stesso, il sistema uomo individuale deve poter collassare esso stesso per riemergere quale sistema coscienziale universale, quale strumento conoscente e sintetizzante l'Uno.
Oserei azzardare la seguente ipotesi: se l'uomo e l'universo sono rispettivamente la coscienza di essere e l'essere, il destino dell'essere dipenderà dalla descrizione che ne darà la coscienza.
Non per una visione soggettivistica ma per necessità interna alla visione evolutiva da noi accolta secondo cui l'energia del mondo, dopo essersi oggettivata nella materia, sta ora ritornando verso se stessa.
Lo stesso fatto per cui da che è comparso l'uomo sulla terra, pare si sia arrestata la proliferazione di nuove forme di vita complessa, virus e batteri a parte, rinforza l'ipotesi secondo cui vi sarebbe una sorta di disegno universale tendente a puntare tutto sul pensiero e dunque noi ipotizziamo che attraverso di esso il mondo si stia smaterializzando.In ogni caso il pensiero pare essere potente energia negaentropica perchè pare capace di rinforzare, come fosse carburante, quella parte di sè avanti a sè che è ancora tensione conoscitiva libera. L'energia della conoscenza e del pensiero ritrovatosi riesce a scaldare e a dare movimento alla perenne dinamica conoscitiva. Il lavoro attuale parrebbe essere segnato più dal lavoro del pensiero nei confronti della materia e dunque del conoscente rispetto al conosciuto, del soggetto rispetto all'oggetto; ma possiamo ipotizzare che quando la materia fosse tutta tornata all'energia del pensiero resterebbe una pura dinamica conoscitiva che, simile ad un campo bipolare, porterebbe con sè, perchè la costituiscono, l'uno e l'altro del dialogo come polo positivo e polo negativo necessariamente interdipendenti.
Non sono io a vaneggiare di materia pensante nel mondo perchè gli stessi fisici, scienziati reali, hanno parlato di "mentoni", di "un universo che quanto più lo si indaga tanto più somiglia ad una grande mente" (Sir Eddington). Allora nessuno ci può fermare nelle omologie fisica-mente ovvero oggetto-soggetto. Possiamo anche ricorrere alla metafora del monopolo dipolare e pensare, insieme al fisico ottimista che a ciò ha già fantasticato, di una futuribile vicenda dell'essere: quando l'universo, riunitosi nell'Uno sempre in dialogo tra sè e sè, pregno di consapevolezza, sarà in perenne vibrazione che gli darà la sensazione del movimento e della stabilità non avendo in realtà spazio-tempo da attraversare. Sarà pura sensazione tanto simile ad un orgasmo cosmico infinito. E chissà che la nostra ricerca di sensazioni forti e di forti emozioni non siano pallide avvisaglie di quel possibile futuro che ci attende?!
Tutto questo per dire che si sta ribaltando il rapporto di potere tra materia e pensiero tanto che ora si può immaginare una potenza del pensiero così considerevole da poter determinare il destino dell'universo.
Allora , con questi presupposti possiamo ipotizzare che quanto meno l'uomo sarà disposto a collassare nella nuova conoscenza e sapienza (dell'Uno), tanto più l'universo verrà letto secondo modelli di morte, vuoi per collasso, vuoi per espansione e allontanamento della materia (il molteplice). E lo farà perchè noi così lo leggeremo. E così lo leggeremo quanto più su di esso proietteremo la necessità del nostro collasso personale e collettivo. Quanto più l'uomo, viceversa, sarà disposto a collassare nel nuovo modello conoscitivo descrivibile esso stesso quale argomento cogente e fondante la sua nuova identità pensante e universale, tanto meno l'universo verrà descritto secondo modelli di morte irreversibile.
Ci sono molti messaggi onirici che parlano di catastrofi e di rinnovamento: sogni di maremoti, di alluvioni, di fine del mondo ma soprattutto di tornadi, o spirali vive che ghermiscono, come grandi buchi neri tutta la materia del mondo e tutti gli uomini. Ma uno significativo parla di collasso della conoscenza di cui è ormai l'uomo stesso il simbolo:
Il sognatore vede se stesso avvicinarsi ad un grande buco. Cammina danzando ed ha paura perchè vede avanti a sè altre persone che raggiungono il cratere e vi si lasciano cadere dentro sparendo al mondo. Si volta e vede una schiera infinita di persone che formano una spirale e che come lui procedono nella stessa direzione anch'esse ballando. L'ansia lo sgomento e l'eccitazione coesistono nel sognatore che sa di dover procedere, e sa che così è per gli altri, anche se nessuno costringe nessuno a lasciarsi cadere.
Il sognatore vede l'umanità distribuita su vari piani circolari sovrapposti attraversati da retta verticale ideale. Ciascuno gruppo umano lavora e vive su ciascun piano secondo coscienza diversa: v'è il piano in cui le persone non s'avvedono nè dei piani sottostanti nè di quelli sovrastanti e pensano che il loro modo di vivere sia l'unico possibile. V'è il piano in cui si sa delle diverse posizioni ma tale coscienza non produce nuovo lavoro. V'è lo zio del sognatore che fuori dal sistema vede tutto, ma in quanto fuori, non può nulla. Il sognatore sa di vivere il piano della consapevolezza, quello in cui si sa della verticalità e dell'orizzontalità ma sente anche che nonostante ciò si gira tutti in tondo...

E' evidente che ci stiamo occupando dei momenti iniziatici ed essi hanno sempre a che fare con l'ingresso in un nuovo sistema conoscitivo. L'ignoranza secondaria ha a che fare con la consapevolezza di un nuovo inizio di cui possono parlare, intendendosi, solo coloro che si trovino allo stesso livello coscienziale.
Da cosa è caratterizzata l'attuale ignoranza secondaria? A nostro avviso essa segna il collasso della stessa struttura uomo sia sul piano collettivo che su quello individuale e porta in sè, come fosse un magico buco bianco, un nuovo mondo fondato sull'identità del soggetto superriflessivo o del soggetto umano unico (Montefoschi e De Chardin).
Se partendo dalla percepita condizione di ignoranza, io Uni-verso e poi io Uomo, ente frantumato e parziale, ho dovuto fissare le conoscenze parziali che lungo il processo evolutivo si andavano assemblando l'un l'altra; se ho dovuto scoprire la stessa struttura del conoscere; se, ciò realizzando, ho scoperto le nozze e l'identità Uomo-Mondo, Energia-Materia, Corpo-Pensiero, Uomo-Donna, Dio-Uomo, Contraddizione-Non Contraddizione, Simbolo-Segno, ecc.; se dunque la mia memoria coincide con il recupero della memoria dell'Essere, ora che l'Essere ha ritrovato se stesso in me Uomo sua struttura conoscitiva, e attraverso di me si è ritrovato in ogni cosa, non abbiamo più bisogno, Io e l'Essere, di ricordare tutta la cronaca dei nostri giorni, i nostri singoli momenti, le fatiche della scienza, della quotidianità e dei rapporti interpersonali e istituzionali, interchimici, interbiologici, ecc. ovvero tutte le conoscenze particolari che ci hanno portato alla visione unitaria, ma solo l'essenziale assimilato dalla digestione della conoscenza. Conosciamo già nel nostro ordinario stato quotidiano quanto qui sto tentando di esprimere. Un solo esempio: la guida e la sua automatizzazione. So guidare quando non ci devo più pensare; so digerire anche se non ricordo più il processo chimico della digestione; so respirare anche se non ricordo più il processo dell'emoglobina. Il tutto in un meccanismo incredibilmente efficiente nel risparmio e nel riciclo dell'energia universale e mia ad un tempo. Torno nell'immediatezza secondaria perchè prima non sapevo proprio (guidare per es.); ora so (guidare per es.) anche se non mi ricordo più come e perchè.
Quello che resta è una pura sensazione in cui tutto è nitido e certo di sé in UNO, che poi sono io con il me che è il resto del mondo. Gli altri si sono fatti trasparenti alla mia mente svuotata così come io posso essere trasparente avanti a loro. L'essere ha recuperato la sua dialettica, i suoi momenti essenziali, la pura dinamica conoscitiva e conosce anche l'uscita dalla dialettica (il tre) per una pura dualità. Un sogno sa esprimere in una sola immagine quanto ancora in modalità digitale (verbale) ha bisogno di tante e tante parole:
Il sognatore vede dall'alto un fiume attraversato lungo tutto il suo percorso dalla sorgente alla foce da un ponte continuo che, come un punto cucito da un sarto, unisce le due sponde in un continuo zig-zag. Il ponte è trasparente e lascia vedere l'acqua che scorre sotto di esso. L'immagine è di un continuo procedere aperto che unisce le due sponde senza costringerle e senza chiudersi mai in se stesso. Sono continui angoli aperti sull'infinito.

 
8. Verso la conclusione del procedere dialettico e della triadicità

Se può esserci la pura dualità nell'Uno, viene a mancare proprio il terzo come altro punto, come concetto finito, come pensato, come sintesi che chiude, come Io parziale e come soggetto riflessivo individuale. La forma triadica può essere abbandonata come fondamento della materia e del pensiero universale.
Così però i pensieri pensati tendono ad indebolirsi e la vita pensante diventa qualcosa di sempre più difficile da comunicare. Difficile ma non impossibile. Difficile ma necessario. Necessario comunicare quanto sta in noi diventando sempre più difficile afferrare e comunicare.
E' importante provarci. Siamo su una soglia nuova. Assistendo e producendo questa cosa, mentre la si sente e la si pensa e mentre la si dice, si assiste e si produce qualcosa di meraviglioso perché un tabù sta cadendo: forse il tabù di analizzare i micromomenti della mutazione mentre stanno accadendo nel soggetto. Sentirsi ricerca e laboratorio. E a volte sentirsi oltre il soggetto riflessivo individuale, oltre il soggetto superriflessivo, sentirsi tutto, dunque sentirsi e basta.
Accogliere questo stato di sospensione è assolutamente importante ma fa anche a volte provare le vertigini perchè si sa di essere al di là dell'umanamente riconoscibile. Accettare di sentire la nuova condizione e la nuova dominanza costituente il soggetto, sapersi come pensiero che si conosce, ci sgomenta perchè questa sapienza passa per la destrutturazione, la dimenticanza, l'inadeguatezza apparente. Ma se tutto questo è davvero ciò che è e come tale, ossia come sapienza, è buona, essa troverà in sè le forme della sua nuova autopreservazione.
L'ignoranza secondaria ha a che fare con la dimenticanza e con la destrutturazione evolutive. Dimenticare tutto e destrutturare tutto tranne la sempre più pura sensazione di essere l'Essere e di saperlo. Da ciò divampa una perfetta gioia tutt'uno con il perfetto distacco, meglio dire quasi perfetto, che sa sempre di più accogliere la vita nel suo lato ironico e comico.
La commedia prevale sull'aspetto tragico e torna a farsi umanamente divina. E semplice. Voglio spendere due parole, non ne so ancora molto e lo potete capire da voi, sulla semplicità sottoponendo anch'essa ad una distinzione in due categorie:
- semplicità come ignoranza primaria (psichismo primitivo, scarso o debole Sé);
- semplicità come ignoranza secondaria. Nessun razionalismo, nessun intellettualismo, nessuna prolissità per dono del Sé ed eredità del genio umano. L'ignoranza secondaria è verificabile dalla spiritualità e dal grado di semplicità raggiunta, o essenzialità, che però non sempre ci si può permettere esteriormente anche quando fosse raggiunta. La parlante, per esempio, non si può certo pensare nella semplicità, ammesso che sia nel suo destino giungere a praticarla. Ora come ora sa che, anche così sentisse, non se la potrebbe permettere (la semplicità) pena far ricadere il costo della sua anima bella su di un lavoro socialmente necessario e che dunque avverte a tutt'oggi come suo elettivo compito: edificare, costruire, o zappare, piantare...cosa? Paradossalmente proprio i presupposti della destrutturazione e per fare questo va accettata, per noi addetti ai lavori, la contraddizione. Non è ancora tempo per le pure contemplazioni e per la libertà individuale se essa s'impone nella scissione dall'universale concreto. Potremmo volare forse, ma, come diceva Dario Fo in Mistero Buffo, basta una vanga in mano e si controllano anche i propri voli e le proprie levitazioni! Insomma non so se sia alibi o cos'altro ma le cose al momento per la sottoscritta pare stiano proprio così!
Trovo interessante portare la diretta testimonianza dell'ignoranza secondaria così come mi sono a volte trovata a percepirla. Una sera ho scritto quasi in automatico due righe che definirei, un po’ per celia, un po’ per presunzione, il "manifesto dell'attuale ignoranza secondaria" che ho pubblicato sul Trimestrale "Individuazione" e dal quale mi è sorto il desiderio di approfondire. Lo riporto:

  • Ci sono dei momenti in cui è tutto così nitido nella sua immediata semplicità, nella sua abbacinante gratuità, da oscurare nel soggetto la vista del processo che a questa percezione lo ha condotto. Che è come dire la perdita della memoria in lui del pensiero logico, storicizzato lungo le sue tappe principali, che, pure in lui ha prodotto l'esplosione di un nuovo mondo.
    Proprio come un nuovo big-bang o come un ennesimo grandioso parto. In entrambi i casi le pene di prima sono passate ...e dimenticate.
    Qualcosa del genere succede.
    Pur senza essere un genio e pur lontana dalla semplicità dell'ignoranza secondaria qualcosa del genere può accadere all’uomo. L'ignoranza secondaria è il ritorno all'Eden dopo aver percorso il lungo giro dell'evoluzione attraverso la dinamica conoscitiva, è il ritorno dell'essere a se stesso con una sapienza tanto completa e presso di sé da non aver più bisogno di passare attraverso la separazione, la distanza, l'oggetto, l'alterità, la morte, l'esilio, la metafora.
    L'ignoranza secondaria sopravviene quando non si ha più tanto da dire nè da dimostrare per il semplice fatto che tutto è accolto. Cosa c'è da dire quando tutto viene detto con un semplicissimo "è quel che è"?
    Proprio come l'essere che nel figlio di dio si autodefinì figlio dell'uomo e disse di sé:
    Io
    sono colui che è.
    Cosa vuol dire?
    A volte ci è chiaro cosa filosoficamente significhi, il che vuol dire che recuperiamo il processo logico e spirituale che lo ha prodotto. A volte siamo nell'ignoranza secondaria in cui tutta la sapienza sembra tradursi in pura sensazione. E' uno stato vicino alla saggezza e perciò ci fa paura perché ci sentiamo soli a sapere il valore di questa ignoranza e quanto ci sia costata. All'esterno però sappiamo che, a volte, possiamo apparire come dei piccoli "Forrest Gump".
    Troviamo amabile l'ignoranza secondaria al servizio della quale pensiamo abbia sempre agito la nostra scarsa memoria e quindi la nostra scarsa attenzione verso gli ambiti eccessivamente specialistici. Epperò sentiamo che sarà nostro preciso compito dare parola al pensiero che ci si agita dentro per tutto il tempo che ancora ci vorrà. Sappiamo che c'è profonda semplicità in noi perchè l'inganno necessario del pensiero rappresentativo e simbolico è caduto; siamo sufficientemente denudati ma è ancora presto per lasciarsi andare; non siamo ancora abbastanza maturi nè salutarmente invecchiati. Ci sarebbe del ridicolo in giro. Il riso è sano, il ridicolo è inconscietà. Insomma abbiamo ancora da agire, da edificare il collasso evolutivo e collettivo. La contemplazione non può ancora catturarci del tutto.
    Proprio per questo sentiamo importante pensare ancora la frase è quel che è. Non crediamo sia qui la sede per svolgere a fondo filosoficamente il concetto che essa esprime ma pensiamo che sia ancora nostro dovere non fermarci alla fruizione solo personale e poetica.
    E' quel che è
    ristora ed è godibile dal soggetto quando egli ricorda in un solo istante tutto il percorso dell'essere.
    Ci proviamo.
    L'evoluzione esplosa il giorno stesso della Creazione si dispiegò all'interno della trinità che si specializzò su due versanti: quello della materia creata (e nel mondo umano del femminile), quello dello spirito creatore (e nel mondo umano del maschile). Nel mondo umano la scissione (struttura psichica dicotomica basata sulla contrapposizione soggetto-oggetto) si riproduce sul piano spirituale tra creatura e creatore dove la prima comprende tutto l'universo materiale e sensibile, uomo compreso, e il creatore è per l’appunto il demiurgo. Nel rapporto tra demiurgo e creatura non c'è possibilità di trovare senso all'imperfezione del mondo creato, responsabile ovvio il demiurgo piuttosto immediato, maldestro, confusionario, assurdo. Ad una tappa successiva dell'evoluzione il rapporto tra creatura e creatore si addolcisce in virtù dell'umanizzazione del dio attraverso l'uomo Cristo. Dio si sposta verso l'uomo e Cristo, per dirsi figlio di dio si definisce Figlio dell'Uomo. Dio muore come trinità solo astratta e nasce nel mondo il quale così redime se stesso uscendo dal precedente rapporto di servitù con Dio. Dio infine si scopre e vive e coincide con l'autocoscienza dell'Uomo e dell'Essere in Uno. L'uomo-dio che guarda alla sua storia e sente dentro che essa non è se non la percezione di dio e della sua storia, l'uomo che sa della fatica universale a ricostruire la Coscienza Secondaria non ha più nessuno a cui domandare o demandare giustizia, perfezione, armonia e non ha più motivo di piangere per lo stato del mondo perché è uscito dalla culla, perché sa che è cresciuto, perché non c'è un mondo che dovrebbe essere come non c'è una vita pregna di consapevolezza che debba pensarsi diversa da come è. Non c'è distanza, non c'è percorso, non c'è giudizio, non c'è turbamento, non c'è paura, non c'è eccitazione particolare, va tutto bene, sempre e comunque perché se in me ritrovo l'amore, la preziosità dell'essenza universale, la consapevolezza, giungo a sapere che tutto tende a questo, giungo a sapere che tutto è già questo in virtù del mio essere in questo: in totale sintonia con l'essenza in me, posso, simmetricamente e in sincronia, sentirmi in sintonia con l'essenza attorno a me. E quando questo ricordo affiora e la mia coscienza può goderne anche solo nella forma immediata della sensazione, allora io so filosoficamente, anche se non lo ricordo più, perché è così dolce, poetico, risanante, consolatorio e amoroso dire e sentirsi dire è quel che è.
    Ho semplicemente abbozzato il mondo spirituale che si incontra quando si esce dalla struttura edipica, piramidale, dicotomica per entrare nella dimensione della Pura Soggettività, della smaterializzazione crescente, del Soggetto Assoluto.
  • Io penso che qualora si arrivasse ad essere pura consapevolezza, o quasi, si finirebbe con il non avere più memoria delle tappe attraversate per raggiungere la nuova condizione. Non credo ci sia pericolo perché il pericolo è della struttura dicotomica. In essa dimenticare sarebbe pericoloso perché si verrebbe ritrascinati a tappe già percorse, sarebbe coazione a ripetere. Ma è proprio per non ripetere che è nata la psicoanalisi. Io non parlo a questo livello di coscienza, dove ancora lo psichico è dilagante. Parlo per coscienze evolute tra cui mi colloco che sappiano il significato dell'iniziazione. E ciò di cui parlo è il collasso della nostra struttura conoscitiva.
    E la conoscenza di cui parlo è un sistema conoscitivo determinato da una logica che tutt'ora fonda la maggior parte dell'umanità me compresa. Me che sento a metà strada, come dicevo, tra nuova condizione in cui mi dimentico giustamente della mia precedente condizione e sono uomo in senso marxiano, coscienza consapevole, pura dialogicità ecc. e vecchia condizione che però, volgendo consensualmente alla propria fine, ha bisogno di sfruttare la persistente vecchia modalità conoscitiva fatta ancora di distinzione tra causa ed effetto, di distanza, di esilio, di metafora, di rappresentazione paradossalmente solo per superarla. E' come dire che vivo sì la contraddizione ma so anche immediatamente che essa è una reale unione di opposti: la novità radicata ancora nel vecchio, il vecchio persistente nel nuovo. Ma anche questo non è una novità. La vita è unione di opposti.
    Come farmi comprendere? Posso fare questo: accordarmi ora ad una condizione ora all'altra delle due tra cui mi sento altalenare. Posso dire perché sono qui e tento di dire queste cose che tento di dire: la logica che mi supporta è quella della comunicazione, della fiducia nelle informazioni che le mie parole contengono e dell'importanza che in me esse vengano trattenute alla memoria visto che le voglio comunicare, dunque è ancora la logica della memoria che mi fa dire. Dunque è ancora la logica della dialettica. D'altro canto sto già in una nuova situazione quel tanto sufficiente per farmi capire che la memoria utile nella vecchia condizione mi sarebbe di ostacolo oggi e allora non so più, non ricordo più. Vi risparmio gli esempi personali.
    Con queste premesse forse è più facilmente comprensibile o intuibile il motivo per cui penso che la decostruzione del vecchio valga più di nuove costruzioni con fondamenta vecchie.
    Destrutturare ovvero perdere ricordi e lasciare andare tutto. Non stringere nulla tra le mani. E nasce la vera forza dell'idea pulita, portata bene dal suo ideante che non la contamina e non la fa ammalare dalle debolezze psichiche del soggetto riflessivo individuale. E', come suggeriva Meister Eckhart, scegliere Dio e basta. L'ideante porta solo la sua idea, sempre divina perchè sempre consapevole della sua essenza universale; la porta con con sé e così, come un genitore con suo figlio, le offre tutta la sua attenzione e la fa crescere, la sviluppa bene e la porta a maturazione: la realizza. L'idea, il sogno, qualunque esso sia, si concretizza.

    Ma quanto sto dicendo implica un nuovo modo di pensare, quello che fin qui è stato comune ai geni o ai semplici. Offrirsi al pensiero ed alla creatività più che al rito quotidiano. Allora non è magia ciò che sto proponendo, non è regressione ad un animismo primitivo, ma esattamente il contrario: amare la conoscenza per la conoscenza. Per questo però è necessario stare sempre in prossimità della frontiera tra giorno e notte, tra sogno e veglia, tra ragione e inconscio, tra follia e norma, tra caos ed ordine. Chi si allontana in un senso o nell'altro si allontana anche dalla creatività.
    Decostruzione, smaterializzazione, fluidificazione e apprendimento dell'incertezza sono i nuovi fondamenti della propria certitudine.
    Tanti sono i sogni che si lasciano leggere quali tracce di questo movimento:
    - della materia del mondo che svanisce in grandi vortici o buchi neri
    - dei sentieri che spariscono appena percorsi
    - delle scale che svaniscono appena salite
    - della nudità crescente.
     
    9. Sapere. Non Sapere. Esserci

    Riepilogando il cammino della sapienza alla maniera di Socrate potremmo citare queste tappe:
    - non sapevamo e non sapevamo di non sapere (ignoranza primaria, Sè inconscio)
    - non sapevamo e sapevamo di non sapere (mediazione, coscienza)
    - sapevamo e non sapevamo di sapere (ignoranza primaria mediata, automazione dei pensati, ignoranza secondaria)
    - sapevamo e sapevamo di sapere (mediazione, coscienza)
    - non sappiamo più e per questo ora siamo in ciò che siamo ma abbiamo paura o pudore di perdere la fede nella cultura come si restasse senza abiti. Ma è quello che sta accadendo a questo stadio di illuminazione.
    Forse non possiamo lasciarci andare del tutto al nuovo stato dell'ignoranza secondaria. Resta ancora viva l'immagine frequente del guado. Ma occorre guadare.
    Guadare, attraversare il fiume da una sponda all'altra, coincide con il lavoro di consapevolizzazione dello psichico (il dominio dell'ignoranza primaria mediata e dunque dell'Io colpevole). Il passato svanisce se diventa passato ed esso diventa tale triturando il presente ovvero avendo l'umiltà di restare a terra per sciogliere lo psichico insieme in gruppo senza più rapporti privatistici con dio, senza più misticismi solitari.
    Concludendo il guado scopriremo, volgendoci indietro che il fiume è davvero fiume, le sponde sono niente altro che sponde, che tutto torna a se stesso, anche noi finalmente torniamo a noi stessi. Ma stavolta è il misticismo corale che fa la differenza. Esperienza corale e razionale di dio: in questo consiste lo spirito e la filosofia dei Gruppi GEA.

    Ada Cortese


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